MANIE D’ASIA
La mania è iniziata qualche anno fa e, come tutte le manie, almeno ai primissimi passi, mi era sembrata carina, buffa, divertente. Asia, grande bacino di manie. L’iperigenismo giapponese e coreano, a suon di mascherine sulla bocca per proteggersi dalle nubi atomiche che impregnano l’aria dei canali di Venezia. Guanti bianchi per toccare tutto, in primis le mani altrui all’atto della stretta di mano, brutti untori che non sono altro. Gli ettolitri d’acqua consumati per lavare una forchetta (immaginatevi per una doccia). Un coreano che si rispetti, quando va al ristorante non ti dice che ha mangiato bene/male, ma che il bagno era pulito/sozzo. E poi: il terrore per i raggi solari, nel ‘primo mondo’ asiatico (Corea e Giappone) perché fa venire il melanoma, nel ‘terzo’ (Cambogia, Vietnam ecc.) perché l’abbronzatura fa contadino, povero, proletario. Dunque cappelli dalle tese larghissime, foulard e maschere gigantesche a coprire i volti quasi come chador, specie di guanti con strascico di collant da braccia, non privi di erotismo, a proteggere ogni millimetro di pelle proteggibile. Calzettoni anche in spiaggia, sotto i quaranta gradi all’ombra. In Malesia e in parte dell’Indonesia si guida la moto vestendo un giubbotto al contrario, infilato solo nelle maniche, a proteggere (dalla sporcizia?) il petto. In India, nonostante l’igiene dominante da stalla, chi beve da una bottiglia non tocca mai la sommità della medesima con le labbra: la cascata di liquido viene versata in gola con geometrica precisione senza scambio di bacilli. Scambio di biglietti da visita a due mani e triplo inchino in Giappone, ombrelli aperti ad altezza di palpebra altrui alla prima nube all’orizzonte di Hong Kong, lunghi raschiamenti di gole catarrose al risveglio in Cina e India, perché qualcuno deve aver detto in giro che tale sonora pratica fa bene all’organismo. La lista delle manie asiatiche potrebbe andare avanti all’infinito, ma quella forse più evidente e dilagante, oggi, è il gesto a V, indice e medio puntati al cielo, di fronte a ogni click di macchina fotografica. Evidente perché esportata dagli asiatici ogni volta che viaggiano e giocano al turista. Stare davanti all’obiettivo come si faceva un tempo, in posa plastica, quasi militaresca, sull’attenti, pancia in dentro e petto in fuori, faccia seria, non è più di moda. Non basta più, è noioso. Per cui qualche anno fa qualcuno ha dato il la a questa mania, dilagata come un blob a velocità della luce fra gran parte degli asiatici. La decima volta che l’ho vista messa in atto ho iniziato a chiedermi ben due perché. Primo: perché solo gli asiatici (mai visto un europeo, africano, americano o australiota farlo, se non per scimmiottare qualche asiatico)? Secondo: dove diavolo è nata?? Al primo perché non ho ancora trovato risposta (sono graditi i suggerimenti), al secondo mi sono dato una spiegazione ipotizzando che il big bang abbia avuto origine dalle parti del Giappone, padre e madre di tutte le manie d’Asia. Magari un personaggio dei manga, un qualche coniglietto rosa da cartoleria, un fumetto o cartone animato doveva aver scatenato quel paio di miliardi di indici e medi levati al cielo. Poi ho indagato, sul serio.
Grazie, web
In realtà non ci è voluto molto per scoprire la verità, e molto altro. Digitando V sign il web mi ha scaricato addosso il mondo, o quasi. Per cominciare, chi vuole sapere proprio tutto sull’argomento, dovrebbe visitare il sito http://asianposes.com/category/pose, dov’è contenuto lo scibile sulla materia, catalogato per nomi, temi, posizioni ecc., con tanto di foto belle e chiare. Codici da tribù, con un forte background socioculturale di nicchia, come direbbe qualche giornalista contadino. Giappone moderno puro, colonizzatore dell’adolescemenza di mezza Asia (e non solo), come Goldrake, Hello Kitty e Heidi ci insegnarono illo tempore. Che fascino, però…
Poi ho stanato diversi blog sulla materia, altra miniera d'oro e d'argento. Cito qualche passo, in ordine sparso:
Amo la V!!!!
Sì, ma è un segnaccio, se lo fai al contrario, con il dorso della mano verso la macchina fotografica
Il gesto V deve morire! È burino!
Sì, puoi fare la V, ma c’è di meglio, come la posa “puffy”
Devo ammetterlo, ogni volta che vado da qualche parte come turista sono tentata di fare il segno V. Doppio, a dire il vero. Ma ci sono altre possibilità!
Conosciuto anche come “Corea”!
Ohhhhh, lo amo!
Il gesto V è nato durante la Seconda guerra mondiale, stando a quanto mi ha detto mio nonno, un veterano giapponese
Sì, non sono sicuro se lo è ancora, ma in Inghilterra era un insulto se fatto con il dorso della mano verso qualcuno
Noi vietnamiti non facciamo la V, è roba cinese, giapponese e coreana. Non lo facciamo nel Sud-Est Asiatico. Noi siamo gente troppo di quartiere per fare segni di pace. Noi preferiamo gesti da gang
Io sono malese e lo facciamo un sacco! La Malesia è nel Sud-Est Asiatico
Quando ho chiesto a un amico di Taiwan che cosa significasse la V mi ha detto: un coniglietto
Sei sicuro che non sia roba da classe media che vuole atteggiarsi a rapper?
Pace, fratelli e sorelle!
Un branco di cretini fanno la V mentre si fotografano. Mi vien voglia di prenderli a sberle, ogni volta che ne vedo uno
Wikipedia, la storia ufficiale
La Treccani virtuale, Wikipedia, dà ufficialità al tutto, dunque anche alla V. Il gesto ha origini antiche. Secondo la leggenda sarebbe nato come saluto tra i longbowmen (arcieri) che combatterono a fianco dell’esercito inglese nella battaglia di Agincourt (1415) durante la Guerra dei Cent’anni. I francesi dissero che avrebbero tagliato ogni indice e medio dei longbowmen, se questi avessero perso la battaglia. Gli inglesi vinsero, e i longbowmen mostrarono ai francesi con orgoglio le loro due dita ancora al loro posto, erette. Popolarizzato da Winston Churchill e dal politico belga Victor de Lavaleye durante la Seconda guerra mondiale come segno di vittoria, in origine era fatto con il dorso verso l’esterno, poi con il palmo. Con il dorso rivolto all’esterno oggi ha una connotazione estremamente negativa. Negli anni Sessanta divenne anche simbolo di ‘pace’. In Estremo Oriente ha una valenza positiva. Come gestaccio è popolare nel Regno Unito, in Australia e in Nuova Zelanda, dove equivale al medio alzato. Il gesto ha provocato svariati equivoci nel corso della storia. È famoso l’episodio dell’ex presidente americano George W. Bush, in visita in Australia nel 1992, quando volle elargire un segno ‘di pace’ agli allevatori di Canberra, inferociti per i sussidi dati ai colleghi americani. Ruotando la mano in maniera sbagliata, in pratica, Bush li mandò a prenderlo in quel posto. Come primo segno negativo viene attribuita la paternità a un operaio di un’acciaieria nei pressi di Parkgate, Rotherham: nel 1901 levò le dita verso il cineoperatore che lo riprendeva, in segno di disappunto. Negli anni Cinquanta scalzò il gestaccio pollice-naso tra bambini inglesi, prendendone il posto. Nulla di peggio, allora, per offendere un compagnuccio di cortile cui si voleva male. Tal Desmond Morris pubblicò addirittura un tomo sul tema (Gestures: Their Origins and Distribution, 1979), senza però arrivare a una spiegazione certa sulle origini della V.
Giappone, lo sapevo
Tutto ciò in tempi passati e nel mondo anglosassone, States esclusi (Bush docet). Per quanto riguarda la mania, asiatica e recente, la storia è altra. Su Facebook oggi c’è addirittura un gruppo chiamato Asian Peace Sign Appreciation Society. Il big bang, stando sempre a Wikipedia, andrebbe attribuito alla pattinatrice americana Janet Lynn, fervente pacifista durante l’epoca della guerra in Vietnam. Partecipò alle olimpiadi invernali di Sapporo e Hokkaido nel 1972, e nonostante fosse caduta e arrivata solo terza sul podio, entrò nei cuori dei giapponesi per aver continuato la propria esibizione ‘interrotta’ con un sorriso sul volto, rialzandosi e facendo il gesto con le due dita erte a V, poi mantenute tali di fronte alle telecamere nipponiche. Pace e comunque vittoria. Secondo un’altra teoria, vagamente più nazionalista, la popolarizzazione del gesto di fronte alle macchine fotografiche sarebbe da attribuirsi invece all’attore e cantante Jun Inoue, apparso con le due dita rivolte al cielo in una pubblicità della Konica, sempre nel 1972. Giappone e anni settanta, dunque. Inoltre, sembra esserci anche una ragione onomatopeica. Il numero due, in giapponese, si dice ni, suono assai simile alle parole associate al sorriso, quali niko niko e niya niya. Concludendo: vittoria, pace, sorridere. Un mix di concetti positivi, tutti racchiusi e sintetizzati in una semplice V. Soprattutto se di fronte all’obiettivo di una macchina fotografica, in un momento piacevole come quello di una visita turistica, ai piedi di un monumento, in un luogo esotico. Provare per credere. Per farlo non occorre essere nati a Tokyo.
http://www.argusphoto.com/argusfeature/travelfeature.travelfeature..(276-342).Asia.218-740000.html
http://www.agefotostock.com/age/ingles/isphga01.asp?querystr=v+sign&ph=scozzari&Page=1
bell'articolo interessante, Pietro!
RispondiEliminagrazie, Maurizio!
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