lunedì 18 luglio 2011

MALESIA - L’ISOLA DEI GATTI


Tioman, Malesia. 
Dove i felini dominano indisturbati

Si dice che la forma di Pulau Tioman, per i più solo Tioman, isola a una trentina di chilometri dalla costa orientale malese, ricordi quella di una tartaruga. Dopo averci passato un po’ di tempo, però, osservando la mappa, non potremo che vedervi un gatto (accovacciato, steso a dormire, su due zampe, fate voi). Lasciato il luogo idilliaco, più che le sue limpide acque ideali per le immersioni e le sue belle spiagge, ce lo porteremo nella memoria accompagnato da un sonoro miao di sottofondo. Gatti, dovunque, a ogni ora del giorno e della notte. Tioman opera di una gattara fissata con i felini? No…



Cani, no, grazie
Al mondo ci sono spiagge per soli nudisti. Tioman è un’isola per soli gatti, almeno dal punto di vista zoologico. Dilarang membawa anjing, ‘cani non ammessi’, così recita un più che esplicito cartello di divieto, in malese e inglese (Dogs not allowed), posto all’ingresso del porto di Mersing, la cittadina portuale da cui si prende la barca per l’isola. Chi non sapesse leggere capirà ugualmente: sopra la scritta spicca un classico segnale di divieto di sosta, al cui circolo interno blu interno è stato sostituito un circolo bianco in cui campeggia la silhouette di un cane dall’aspetto aggressivo (pitbull pronto ad azzannare?). Barrato da una striscia rossa, tanto per essere ancor più chiari. Tale intolleranza anticanina non è motivata - come sarebbe facile credere - da questioni sanitarie (epidemia di rabbia?), di educazione auditiva (Tioman non è un cottage svizzero e i suoi abitanti non ce l’hanno particolarmente con i latrati nel bel mezzo della notte) o perché in passato l’isola sia stata adottata dalla mafia cinese per le sue scommesse di combattimenti fra cani. La ragione, stando al si dice locale, è puramente religiosa. Così come accade in molte altre isole della regione, dalla Malesia all’Indonesia, i musulmani che qui dominano ritengono ‘impuro’ il migliore amico dell’uomo. Un po’ come i maiali, dunque, sono proibiti.


Certo che a voler essere puntigliosi, i gatti dell’isola, nonostante un’auto-toilette incessante, tipicamente felina, a suon di linguate, non eccellono in pulizia scintillante. Tra vita randagia, piatti sporchi lasciati dai turisti e presi d’assalto a mo’ di struzzo (collo infilato sino alle viscere del catino colmo di piatti destinati al rubinetto), pesci rosicchiati al porto, salsedine e sabbia, non sembrano, a grandi linee, usciti da un concorso di bellezza. Si sa, però, che anche di questi tempi, dopo qualche migliaio d’anni dall’invenzione delle principali religioni, il credo non va discusso, mai, e così le sue mille regole e regolette. Lettori-viaggiatori, siete dunque avvisati. Se in generale è impossibile importare un animale domestico - gatti inclusi - in Malesia e in Indonesia (si tenta così di evitare la recrudescenza della rabbia, tornata all’assalto negli ultimi anni), mai e poi mai sognatevi di fare un viaggio con il vostro alter ego a quattro zampe a Tioman. Se mai foste riusciti a farlo passare attraverso le maglie della dogana di Kuala Lumpur, dovreste poi abbandonarlo a Mersing, che non è nota per i circoli canini. Certo è, però, che sull’isola i gatti se la passano piuttosto bene, soprattutto se paragonati ai simili di molti altri luoghi. Assenza di conflitti inter-razziali, grandi quantità di luoghi in cui sonnecchiare indisturbati (barche, carriole, all’ombra di una palma, tavoli e sedie di ristoranti, zerbini e verande di bungalow con vista mare), cibo self-service piuttosto disponibile, grazie agli avanzi dei ristoranti per turisti. Se fossi un gatto, vorrei vivere a Tioman.


Tioman, ‘perla’ della Malesia
Lunga 39 chilometri e larga 12, facente parte dello Stato di Pahang (uno dei tredici - più due distretti federali - che compongono la Malesia), l’isola ebbe il suo glorioso battesimo a livello globale nel 1958, quando Hollywood vi ambientò il film South Pacific. Negli anni Settanta la rivista Time Magazine la dichiarò una tra le più belle isole al mondo. Da allora l’afflusso di turisti è stato incessante. Sia malesi - perlopiù giovani coppiette in cerca di romantici fine settimana - sia di Singapore - perlopiù giovani coppiette in cerca di romantici e alcolici fine settimana. Oasi di pace dal lunedì al venerdì mattina, piccolo inferno di gente vociante e sbevazzante dal venerdì pomeriggio alla domenica sera. Bungalow per tutte le tasche (a partire da una decina d’euro a notte per un cubicolo monofamiliare con ventilatore e acqua fredda) e di tutte le misure, disseminati fra gli otto villaggi principali e relative propaggini periferiche (casupole sperdute nella giungla rigogliosissima). In un paio d’ore la barca che salpa da Mersing raggiunge l’isola, facendo la spola tra le spiagge principali, tutte piccole se viste dal largo, ma più che adeguate per una vacanza in pieno comfort una volta sbarcati. Salang, quella più settentrionale, ultima fermata dei pendolari barcaioli, è quella in cui è stato realizzato questo reportage. Prendete il suo numero di gatti e moltiplicatelo almeno per otto. Otterrete così l’elevata popolazione felina di Tioman, forse maggiore di quella umana (poche migliaia, superate di gran lunga durante l’alta stagione, soprattutto in luglio e agosto). Molti anche gli europei, gli americani, gli australiani e gli asiatici ricchi (giapponesi, coreani), di solito qui per pochi giorni, tra un salto a Malacca e uno a Kuala Lumpur.



C’è chi viene per le immersioni, con le bombole o in semplice apnea, chi solo a meditare sulla propria esistenza mentre osserva il sole levarsi e calare sulla linea dell’orizzonte, stando seduto sulla veranda del proprio bungalow. I più esigenti possono avere camere con l’aria condizionata al doppio del prezzo di quelle con solo ventilatore, e tutti possono avere gratis quantità notevoli di stramaledette sand-flies, specie di microscopiche zanzarine che amano gli arti inferiori dei turisti (anche quelli superiori, se le lasciate fare). Non grattarsi a sangue, dopo il loro passaggio per la cena - il tramonto il momento migliore per invitarle al ristorante -, è umanamente impossibile. Unico antidoto esistente (a parte quello di non venire a Tioman): una melma bianca miracolosa, tal Kapor Sireh - tatuatevi il nome su un bicipite, mi sarete grati e vi ricorderete di me -, venduta per la vorticosa somma di 1 ringgit (circa 20 centesimi d’euro per un intero barilotto da 180 grammi) in qualche rara drogheria locale. Basta applicarne una ditata sulla parte di pelle presa d’assalto, e dopo qualche secondo l’orrore, incredibilmente, scomparirà. Si andrà in giro a pallini bianchi, con una specie di scagliola secca - stando a quanto riportato sulla confezione calcio carbonato Hidrojan Oksid, ma non chiedetemi che cosa sia - ad addobbare gambe e piedi (basta una doccia di quelle buone per togliersela di dosso), ma dopo averla applicata torneremo allo status di esseri umani (prima dell’applicazione: animali rabbiosi con il fuoco di sant’Antonio e il ballo di San Vito).



Code a nodi, roba da gatti
Questo, però, non è un trattato di farmacopea, ma vorrebbe essere un reportage sulla popolazione gatta di Tioman, dunque torniamo ai felini. Ufficialmente sembra non esistere una razza di gatti tiomanesi/tiomaniani, ma dopo averne frequentato qualcuno tutti sarete portati a pensare il contrario. Non per questioni di pelliccia - assortite, spazianti in quasi tutti colori dell’arcobaleno - o di stazza - media o generica, si potrebbe definire - quanto per le code. Quando e se ci sono. L’impressione che tutti avremo, una volta frequentati i gatti indigeni, è che, salve rare eccezioni: 1) a Tioman tutti i gatti lascino non lo zampino, ma la coda, ghigliottinata da qualche porta; 2) tutti i gatti locali passino l’esistenza in lotte sanguinarie alla fine delle quali, nella migliore delle ipotesi, la coda avrà la forma di una zeta o di un nodo; 3) gli umani dell’isola, per qualche degenerata questione estetica (non culinaria: la Malesia non è il Vietnam né la Cina), amino recidere le code dei poveri animali. In realtà nessuna delle ipotesi succitate è verosimile. Le porte di Tioman non sbattono più che altrove per particolari correnti eoliche, i gatti hanno una vita tranquilla quanto quella dei turisti più contemplativi (grazie anche all’assenza di cani, insh’Allah), e gli umani hanno ben altro di cui occuparsi (pane quotidiano da mettere in tavola) che non delle code dei gatti. Se la logica non è chiromanzia, dunque, è lecito presumere che l’Adamo e l’Eva gatti, gli avi numero zero che nella notte dei tempi hanno dato origine alla progenie felina di Tioman, avessero nel dna almeno una coda non fatta esattamente come dio comanda. Riproducendosi fra loro hanno dato origine a una popolazione di gatti con code virtuali, quasi mai uguali le une alle altre. Fattore di distinzione che rende i gatti di Tioman ancor più interessanti.



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