lunedì 18 luglio 2011

INDONESIA - UBUD, SULLE TRACCE DEL VIVERE ORGANICO


DEFINITA ‘MIGLIORE CITTÀ DELL’ASIA’ NEL 2009 DA CONDÉ NAST TRAVELER, LOCATION DEL FILM EAT, PRAY, LOVE CON JULIA ROBERTS, LA PICCOLA E QUIETA UBUD SI STENDE FRA RISAIE E COLLINE A UN’ORA DALLA TRAFFICATA SPIAGGIA DI KUTA. APPARENTEMENTE A UN PIANETA DI DISTANZA.

Organic, organic, organic. Lo slogan stampato sulla maglietta di un’americana che entra nel locale mi fa sobbalzare, mentre godo le fettuccine al pesto quotidiane a un tavolo del Juice Ja Café. Il caffè-ristorante, oltre a scodellare piatti di ottima qualità a prezzi da backpacker e a fungere da punto d’incontro per gli habitué di Ubud, è anche una specie di negozio zeppo di prodotti organici. Zucchero organico, caramelle organiche, fette di torta organiche pure loro. A entrarci ci si sente già più organici, anche se non è chiarissimo che cosa ciò significhi. Il termine, così come il cugino biologico, puzza tremendamente di moda e, come tutte le parole di cui si fa abuso, inizia a starmi antipatico. Maglietta al triplo organico? Dove diavolo l’avrà stanata? In ogni caso non sono fatti miei, per cui dopo essermi ripreso da un eccesso di organicità riprendo la mia attività preferita al Juice Ja: osservare, come al cinema, il viavai di turiste giapponesi nel dirimpettaio negozio di saponi Kou. Innanzitutto perché, mediamente, fra capelli finti biondi, gambe non drittissime e pelle cerulea, le trovo terribilmente belle (fin dal giorno a Marina di Ravenna in cui un amico monomaniacale per le fidanzate giapponesi ne portò una in spiaggia che, all’arrivo della pizza al tavolo, anziché tagliarla a triangoli come gli altri esseri umani, vi incise spirali da compasso, partendo dal centro; misteri imperscrutabili del Sol Levante, eroticissimi). Il cinema, però, non mi stanca anche perché non riesco a capire per quale motivo centinaia di persone ogni giorno, preso un aereo da una nazione a qualche ora di distanza, debbano arrivare in processione fin qui, seguendo pedissequamente una guida con l’indice puntato sulla pagina, fino a trovare il tesoro profumato. Un negozietto grande come uno sgabuzzino ma, a calcolo veloce, dal fatturato pari a quello del resto di Ubud e dei circa diecimila umani che lo abitano. Mi faccio in media tre docce al giorno, ma da qui a fare del sapone un motivo di viaggio ce ne vuole. Meglio, comunque, il negozio Kou e la sua tribù di pellegrine (ogni tanto con fidanzato/marito-cagnolino a traino, il quale la segue zitto e paziente nel tempio del sapone), che la tribù di australiani obesi alcolizzati tatuati nicotinici in canottiere sudate a una quarantina di chilometri, a Kuta Beach. In spiaggia i giavanesi espatriati a far business con i turisti, quando vogliono fare i gentili e chiederti come stai, ti domandano quanto hai bevuto, ieri notte? Il numero di bottiglie di birra Bintang che ti sei trangugiato sono, a Kuta, il misuratore del divertimento. Ogni tanto uno di questi Aussie arriva, di certo per sbaglio, sulle colline di Ubud. La moglie deve essersi annoiata in spiaggia, oppure in un attimo di crisi esistenziale ha deciso di cercare qualcosa di più culturale. L’australiano capitato fin quassù attende fuori dal negozio di saponi, fuma una sigaretta e, un po’ come me - gli posso leggere i pensieri -, si starà domandando: ‘ma che ci fanno, ‘ste donne, con tutto quel sapone??




Il mercato, la Babele degli affari
I misteri dell’Oriente, a Ubud, non si concentrano nel negozio di saponi. Il Circo Massimo, il grande palcoscenico, è il mercato. Ogni giorno ci vengo all’ora del tè, quando il sole inizia a calare, la luce si fa gialla e i commercianti cominciano a chiudere gli ombrelloni. Una scaletta al primo piano è il mio punto preferito. Da lì, come un avvoltoio, zoom tra le mani e sole alle spalle, posso godermi e fotografare lo spettacolo teatrale all’apice della sceneggiatura, accompagnato da una gatta che, tutti i giorni a quell’ora, mi raggiunge e si mette a sonnecchiare. Il momento clou è quando arrivano gli autobus rigonfi di turisti cinesi, perlopiù coppiette abbigliate in maniera incredibile e con una smania bambinesca per gli acquisti. ‘Hai mangiato, oggi?’, questa, a grandi linee, la traduzione della frase usata in parte della Cina, per dire buongiorno, come stai? I commercianti di Ubud l’hanno imparata bene, e pronunciandola strappano sorrisi e accalappiano, quasi sempre, un gonzo da spennare. Contrattazioni estenuanti e, quando le chiacchiere non bastano, il venditore è bravissimo nell’afferrare e trattenere, con le mani e con fare da bagnino romagnolo, la vittima cinese. Tra un sorriso e una battuta, la ragazza si fa abbindolare, anche perché il mix di insistenza da piazzista di enciclopedie e di corteggiamento sembra irresistibile. Con le turiste giapponesi ci vuole più tatto, soprattutto perché non amano il contatto fisico con il primo spacciatore di gatti intagliati nel legno o di piatti colorati che passa. Con le americane/australiane può aiutare qualche frase a effetto, con quelle europee basta lasciarle fare: le merci le attirano da sole, come calamite, non occorre sottolineare a voce le loro incommensurabili qualità. Non a caso una scena di Eat, Pray, Love, la commedia strappacore tutta-cliché con Julia Roberts, tratta dall’omonimo bestseller di Elizabeth Gilbert e uscita sugli schermi americani nell’agosto 2010, è stata girata fra le bancarelle di questo mercato. Ideale per simbolizzare il viaggio, l’altrove esotico, soprattutto se dopo un divorzio e alla ricerca di una vita nuova. Il tempietto indù all’ingresso del mercato, con il costante viavai di fedeli che vengono a depositarvi centinaia di canang, vassoi in miniatura fatti a mano con foglie di banano e ricolmi di offerte - riso, biscottini, caramelle, incenso, frutta - è un salto nel tempo, un baluardo della cultura locale che vive a due metri dal business cosmopolita: venditori d’assalto, legioni di mendicanti, turisti in braghini corti e cappellini sciocchi. Qualche turista russa si aggira tra i banchetti vestita da pornostar, le australiane sovrappeso trascinano le carni al vento, le molte francesi - Ubud è una specie di colonia francese - osservano merci e persone con aria schifata, le americane urlettano wonderful! con falsissime voci ricche di convinzione, mentre indicano ciarpame assortito (portachiavi a forma di fallo, coltelloni da Indiana Jones, croste con Buddha e la risaia spacciate per quadri). Osservate dall’alto della mia garitta da cecchino, le mendicanti, bebè allattato al seno, mano tesa ed espressione di chi sta morendo fra due minuti, sembrano fatturare più o meno quanto il negozio di saponi. Tant’è che, a fine giornata, si radunano vicino al tempio, a scambiarsi opinioni sull’incasso. Anche i parcheggiatori di moto, con il gilè fosforescente arancione, hanno fatto i loro affari. Quando l’ultimo autobus cinese riparte tutti, o quasi, hanno avuto il proprio tornaconto e sono felici e contenti.







Palazzi, maiali, danze: la Trimurti del turista
Sia che facciamo parte di un tour mordi-e-fuggi, sia che di Ubud siamo cittadini con residenza ultradecennale, non c’è modo di scampare all’incrocio madre-di-tutte-le-strade, quello in cui la principale Jalan Raya Ubud/Cokorda Putra interseca la Jalan Monkey Forest. Sulla prima scorre il ‘grande’traffico di Ubud, con gente che trasporta in moto tutto ciò che è impensabile trasportare (famiglie con quattro figli, tubi per le fognature, quadri, galline, bombole del gas), alternato dai pestilenziali tubi di scappamento dei bus turistici. Ogni angolo dell’incrocio ha qualcosa di interessante, oltre le decine di turisti spaesati che gironzolano come zombie, dita puntate sulla pagina della guida e sguardo perso nell’alto dei cieli, schivando mezzi in pericoloso avvicinamento mentre provano ad attraversare la strada. Di fianco al mercato, l’ufficio di informazioni turistiche, davanti al quale, oltrepassata la barriera di trafficanti di biglietti per gli spettacoli di danze tradizionali, si erge il bel Palazzo di Ubud, meta obbligata per ogni turista che si rispetti. Pare accadervi sempre qualcosa, ed è un ottimo palco serale per le danze. Se si è fortunati, durante il giorno si può incappare nelle prove gratuite. Dalla parte opposta della strada la sala coperta, luogo di ritrovo di cani e di umanità assortita durante il giorno, rifugio per le danze serali in caso di pioggia. Di fianco - basta seguire l’aroma - l’osannato ristorantino Bu Oka, laureato in babi guling/suckling pig, maiale arrosto con lawar, purè piccante di carne cruda, una specialità di Bali e, in particolare, di questa istituzione. La dura ma succulenta cotica arrostita viene spezzettata a mano dalle cuoche e servita come ciliegina sulla sommità del piatto. Da quando Anthony Bourdain, lo chef franco-americano autore di Kitchen Confidential vi ha mangiato, il locale è diventato ancor più ricco e frequentato del saponificio per giapponesi. Aperto solo a pranzo (di quelli lunghi, fino all’ora del tè), è quasi impossibile trovarvi un angolino a sedere, soprattutto durante le ore canoniche della masticazione. I gruppi e i cani randagi lo affollano, e i maiali arrosto vanno via come fossero acqua. Oltre la sala per le danze, proseguendo lungo Jalan Raya Ubud, si raggiunge l’esoso Café Lotus, alle cui spalle si apre la meraviglia del giardino acquatico con fiori di loto, atrio all’altrettanto spettacolare Pura Saraswati, entrambi opere di I Gusti Nyoman Lempad, che alla fine dell’Ottocento disseminò Ubud di capolavori architettonici. Per entrare nel tempio bisogna indossare almeno un sarong che copra le nudità degli arti inferiori, osé nei templi balinesi. Il giardino è uno dei palcoscenici di punta per gli spettacoli di gamelan (orchestra e musica balinese, a base di metallofoni in bronzo: fantastica i primi quindici minuti, soporifera dal sedicesimo in poi), di legong (danza classica interpretata da ragazze preadolescenti) e di kecak (danza ‘delle scimmie’). Gran quantità di occhi ribaltati e di falangi pure, elementi che hanno reso famosa la danza balinese in ogni angolo del globo. Per fortuna la tradizione è ancora radicatissima nell’isola, per cui l’antica danza, con mille sfumature variabili da scuola a scuola, viene tramandata con rigore ferreo alle nuove generazioni, sin dall’infanzia. Nei villaggi si compete a chi mette in piedi la scuola migliore. Essere un buon ballerino/a, oltre che a offrire impiego (i turisti accorrono a frotte e pagano 7-8 euro a persona, a Bali una cifra seria), è sinonimo di prestigio personale.






Monkey Forest Road. Scimmie, vetrine, regine francesi e un milione di tassisti
Monkey Forest Road, specie di San Marino a Ubud - ospita la più alta concentrazione di negozi e negozietti -, scende fino alla foresta ‘sacra’, affollata da orde di scimmie predatrici, specializzate nello scippo di banane, bibite (molto apprezzata la dolce Coca-Cola) e qualunque altra cosa commestibile direttamente dalle mani/borse del turista. Le eleganti signore in abiti tradizionali - specie di vestaglie trasparenti ricamate, usate per i riti religiosi ma che da noi si potrebbero tranquillamente trovare in un sex shop -, le quali vendono le banane ai turisti per sfamare le scimmie, controllano il territorio, la bancarella, con bastoni e fionde. Se fanno l’errore di distrarsi mezzo secondo vengono immediatamente depredate da scimmie fulminee. La scimmia-ladra, nel Sud di Bali, presso il tempio di Uluwatu, è diventata pappa-e-ciccia con i ladri a due gambe. Specializzate in macchine fotografiche, occhiali da sole e videocamere, più che in misere banane, lavorano fianco a fianco dei ‘pali’ umani, i quali a furto subito ti avvicineranno proponendoti il recupero del maltolto, con fare malavitoso, previo pagamento di un adeguato compenso. A Ubud le scimmie trafficano ancora solo in banane, ma non per questo la frutta è considerata cosa da poco, soprattutto dalle donne che la vendono. Un giorno ho passato un quarto d’ora a osservare un’elegante e apparentemente imperturbabile signora di mezza età perdere del tutto il controllo, dopo l’ultimo furto. Forse era una questione d’orgoglio, oppure il limite era stato oltrepassato: a ennesimo casco prelevato con destrezza la signora non ha retto più. Imbracciata la fionda ha cominciato a scagliare pietrate a destra e a manca, a ogni scimmia, ladra o meno, nei paraggi. Con luce assassina negli occhi, con volontà di farla finita. Sulla sua traiettoria anche diversi turisti allibiti, che si sono dileguati in fretta.






Dileguarsi dai tassisti, invece, è una missione impossibile se si cammina lungo Monkey Forest Road. I suoi stretti marciapiedi sono un salto agli ostacoli di merci, motorini parcheggiati da cani e, peggiore nemico, turiste francesi in coppia (qualunque turista di qualunque altra nazionalità vi farà passare, una francese MAI). A voler fare conti da ragioniere, si può affermare che due su tre esseri umani che la popolano, turisti esclusi, vi offrirà un taxi. Today? Tomorrow? Se non ne avete bisogno oggi, c’è sempre il domani, i balinesi credono nel futuro. E non importa se la loro attività principale sia quella di negoziante di statue o di cambiavalute: tutti hanno a disposizione un taxi, male che vada una moto da noleggiare. Molti si sono organizzati, e oltre a ripetere la frase consunta (Taxi, boss? - se turisti uomini a Bali siamo tutti boss) mentre passi girano al volo fra le mani un cartello double-face, Transport/maybe tomorrow? I più umili e supplichevoli ti offrono un taxi, please? Come a dire, per favore, ti prego, usa il mio taxi. Non importa se visibilmente ti stai dirigendo al ristorante un metro davanti ai tuoi piedi, con il tovagliolo già al collo: ci sarà sempre qualcuno a offrirti un taxi. Che ci abbiano presi tutti per pigri australiani? Un giorno, in un mix vendetta, esasperazione, curiosità e voglia di fare il simpaticone ho offerto il mio taxi? a una ragazza locale che ho incrociato lungo il marciapiedi. Al volo mi ha risposto, no, thank you, educatamente, come se la mia offerta fosse la cosa più naturale del mondo. Ve lo assicuro, non assomiglio a un indonesiano.



Arte e risaie
Taxi o non taxi, i camminatori o i semplici passeggeri di taxi a Ubud hanno di che sbizzarrirsi. Ubud, sulle bocche dei più, equivale a un’altra parola ritrita (forse quella più ritrita fra tutte): arte. Fin dagli anni Trenta del Novecento, quando il - scusate la parolaccia - movimento artistico Pita Maha, qui sviluppatosi, divenne punto di riferimento internazionale. Se a Kuta non avrete difficoltà a trovare un involucro di gommapiuma per mantenere fredda la lattina di birra, a Ubud troverete opere d’arte di tutti i livelli e a ogni angolo di strada. Il tour dell’amante della bellezza tradotta in tela o in scultura può iniziare dal museo Puri Lukisan, poco oltre il Café Lotus. Quindi, proseguendo lungo la Jalan Raya Ubud, oltrepassato il ponte e schivato con un sol balzo l’insopportabile Antonio Blanco Museum (l’Artista catalano, malato di complesso di Napoleone, ha trasformato la propria abitazione in una specie di reggia in cui, pagando, il suo superego verrà lustrato dalla vostra visita), ci si può inerpicare lungo la salita e raggiungere il museo più interessante di Ubud, il Neka. Intitolato al mecenate che lo volle, il museo ospita qualche capolavoro e svariate tele pregevoli. Visitandolo vi ripulirete occhi e anima dalle croste su tela spacciate al mercato o in qualche galleria privata, abbondanti come funghi nell’altura di Campuhan che circonda il museo. Qui, in una specie di Chelsea newyorchese, fra ristoranti giapponesi e saloni di massaggi sofisticati, ogni edificio ospita una galleria. I livelli vanno dal pessimo all’ottimo, con tutto ciò che vi può stare in mezzo. Da artisti del tipo ce provo (vediamo se arriva il gonzo con il portafogli pieno e gli rifilo quella tela con i sacchetti della spesa riciclati che ho in cantina da tre anni), al Blanco-style (galleria=mausoleo all’Artista vivente, pagando potete pure toccarlo), a quelli, era ora, tranquillini e umili, che dipingono/scolpiscono a voce bassa, per il gusto di farlo, e magari, ogni tanto, producono Roba tutta maiuscola, che meriterebbe spazi in gallerie davvero pregiate.






Sopravvissuti all’overdose artistica di Campuhan, ora sarete davanti a due bivi: 1) torno in paese o raggiungo l’Arte vera (quella di Sora Natura)? 2) se sì, o cammino un bel po’ o prendo uno stramaledetto taxi (per oggi o per domani, i tassisti vi aspetteranno all’uscita del museo Neka). Se vi siete risposti sì, allora dovrete arrivare in qualche modo alle spettacolari risaie a terrazze di Sayan, villaggio/sobborgo di Ubud, a un paio di chilometri. Attraversate dal fiume Ayung, dove gli annoiati fanno rafting, vi terranno a bocca aperta per un ooohhh di meraviglia, di fronte a tanta, vera Arte. Qualche guida locale si offrirà per scortarvi lungo i sentieri, fangosi ed erti, che scendono fino alla sponda del fiume. La contadina che possiede l’appezzamento migliore - quello centrale, una piatta autostrada circondata da camminamenti per trekker esperti - vi chiederà qualche spicciolo, per l’erba della mucca, un pedaggio medievale per il diritto di attraversamento. Fate finta che abbia davvero una mucca e pagatela. Oltre che giusto, vi eviterete fatiche da Ulisse.


Ente Turismo Indonesiano
sito ufficiale del Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica di Indonesia, in inglese

IN RETE
sito inglese sulla ‘comunità’ di Ubud: informazioni pratiche, indirizzi, notizie
sito di Wikitravel, in inglese, con numerose informazioni - pratiche e culturali - sulla cittadina
http://en.wikipedia.org/wiki/Ubud
sito di Wikipedia, in inglese, con informazioni generali su Ubud
http://www.monkeyforestubud.com/
sito in inglese dedicato alla Monkey Forest e alle sue scimmie
http://ubudwritersfestival.com/
sito dedicato al Festival della Letteratura, che di solito si tiene in ottobre




DOVE DORMIRE
Ubud, soprattutto nel periodo che precede l’alta stagione (luglio-agosto), può sembrare un cantiere edile. Pare che tutti, o quasi, costruiscano piccoli alberghi o ristoranti. Chi non vuole avere le martellate dei muratori come vicini di casa dovrebbe trovare un tranquillo rifugio fuori dall’abitato. Nulla di meglio dei fantastici Ubud Hanging Gardens (ubudhanginggardens.com, Desa Buhan, Payangan, tel. 0062 361 982700, fax 0062 361 982800), resort della pluridecorata catena Orient-Express. Trentotto ville adagiate su terrazze a più livelli, ognuna con piscina, nel bel mezzo della foresta, a mezz’ora d’auto da Ubud (collegata quasi ogni ora con navette gratuite). Il solo ‘rumore’ che si rischia di sentire, in realtà un’ottima ninnananna, è quello del fiume Ayung che scorre alla base del resort. Comodissimi letti e un’ottima colazione a buffet, oltre al buon ristorante con piatti francesi e indonesiani. I vari livelli dell’albergo (reception, ristorante, piscina, libreria, spa) sono collegati da una comoda funicolare neozelandese, manovrata da gentilissimi impiegati reclutati nel vicino villaggio. Basta premere il pulsante verde e arrivano (l’alternativa, per gli olimpionici, è costituita da qualche centinaio di scalini). Chi vuole davvero rilassarsi non può mancare il centro benessere (Ayung Spa), situato nella parte inferiore del resort, aperto tutti i giorni dalle 10 alle 20. Tra il suo ricco menù è consigliabile il massaggio balinese, con olio profumato (circa 70 euro). Occasionalmente il resort organizza cene private al lume di candela nel tempio prospiciente, dopo aver attraversato la giungla a piedi, passando su un ponticello di bambù che scavalca il fiume. Ogni mercoledì e sabato pomeriggio, inoltre, il bar a lato della spa ospita lezioni di danza tradizionale balinese ai bambini del villaggio limitrofo.



Per non fare come una coppia di nostri compatrioti che, anni fa, arrivati agli Hanging Gardens, dopo un primo momento di smarrimento dissero: “Mmm… sì, bellissimo. Ma la spiaggia dov’è??” (forse prenotando il viaggio in agenzia non avevano indagato un granché sulla morfologia di Bali), al soggiorno tra le belle colline di Ubud si può unire quello più classico, al mare, nell’altrettanto spettacolare resort Jimbaran Puri Bali (jimbaranpuribali.com, tel. 0062 361 701605, fax 0062 361 701320), anch’esso parte della catena Orient-Express. Situato a brevissima distanza dall’aeroporto, dispone di cottage a due passi dalla spiaggia e dalla piscina, oppure di ville spettacolari con piscina privata. Centro massaggi a bordo spiaggia e due eccellenti ristoranti, uno per piatti a base di pesce l’altro per la cucina indonesiana e internazionale.



DOVE MANGIARE
Fuori dall’ottimo ristorante degli Hanging Gardens, a Ubud ci sono innumerevoli locali in cui pranzare e cenare senza spendere una fortuna. Un eccellente ristorantino - all’apparenza niente di che - è il frequentato Juice Ja Café (Dewi Sita Street, a due passi dal campo da calcio, aperto tutti i giorni dalle 7,30 alle 22,30). Il suo chef è stato rubato alla catena Sheraton e prepara piatti squisiti, con presentazione a 5*. Cucina indonesiana e internazionale, tutto a pochi euro. Per la cucina indo-bali-nesian, come recita il loro slogan: Warung Aja (Jalan Monkey Forest, tutti i giorni dalle 9 alle 22), con piatti regionali classici serviti in maniera ricercata (è un warung - ristorante tradizionale indonesiano - di lusso, ma a prezzi abbordabili). La cucina indonesiana doc, senza fronzoli ma ricca di sapori, si trova da Puteri Minang (Padang Food, Jalan Raya Ubud 77, vicino all’ufficio postale): un’abbuffata di piatti genuini, esposti in vetrina e serviti in foglie di banano, costa un paio d’euro. Chi ama la cucina giapponese organica può provare le delizie di Minami (Jalan Raya Sanggingan, quasi di fronte al museo Neka, minami-bali.com, dalle 11,30 a mezzanotte), raffinato ed elegante, con un bel giardino. Per la cucina indiana c’è Indian Delites (Jalan Raya Pengosekan, di fronte alla fermata dei bus Perama, baliindianfood.com, tutti i giorni dalle 10,30 alle 22,30), il quale offre un menù con 225 piatti vegetariani o a base di carne. Chi non può fare a meno della cucina italiana ha due opzioni, entrambe gestite da italiani veraci: Pizza Bagus (Jalan Raya Pengosekan, pizzabagus.com, fino alle 22,30), con buone pizze e una piccola ma fornita salumeria per panini fai-da-te, e Black Beach (Jalan Hanoman 5a, blackbeachubud.blog.com, fino alle 22,30), nome poco italico - al primo piano il pavimento è fatto di sabbia nera - per un piacevole locale che offre ottima pasta (bucatini all’amatriciana, penne al pesto), torta all’arancia ed espresso doc. Due volte alla settimana proietta film italiani e francesi. Chi, infine, cerca un locale ‘globale’, tra l’Europa e il Medio Oriente - oppure vuole stare in piedi fino a tardi: è l’unico aperto fino alle 3 del mattino -, può adagiarsi sui comodi cuscini e divani dell’XL Shisha Lounge (Jalan Monkey Road 129x, di fianco al lato interno del campo da calcio, xlshishalounge.com). Di proprietà olandese, il locale ha un menù vario - ottimi hamburger - e, unico a Ubud, offre narghilè al tabacco aromatizzato.



SHOPPING
A prima vista il centro di Ubud può apparire come un’unica grande boutique, ma alcuni negozi particolari meritano una visita. Non lontano dal ponte Campuhan c’è Wayan’s (Jalan Raya Ubud, di fronte ai Puri Sekar Ayu Bungalows, aperto tutti i giorni), specializzato in bellissimo artigianato giavanese. Marionette e, in particolare, raffinate maschere di legno, con disegni ricchi di dettagli su fondo marrone e beige, molto differenti da quelle multicolori balinesi. I cultori dei tessuti non perdano il centro tessile Threads of Life (threadoflife.com, Jalan Kajeng 24), non solo negozio, ma anche galleria e scuola. Lungo Jalan Dewi Sita Kado (saraswatipapers.com, tutti i giorni dalle 10 alle 20) ha begli oggetti di carta decorata con fiori secchi. Tre negozi interessanti lungo Jalan Hanoman: Sisilia ha una vasta scelta di oggetti di legno intagliato, dai soprammobili alle statue a grandezza ciclopica. Da non mancare Bikin Kibin, al n° 37 della via. Il suo proprietario, l’italo-etiope Giulio propone lampadari spettacolari, vere e proprie opere d’arte fatte a Sanur. Poco più avanti, al n° 43, Mina è specializzata in oggetti decorati con immagini di cani e gatti, dipinti a mano. Basta fornirle una foto del vostro quattro zampe amato e Mina vi farà una borsa o un cuscino su commissione. Più distanti, lungo Jalan Raya Pengosekan, altri due negozi interessanti. Per belle ceste di tutte le dimensioni c’è Mangku, aperto tutti i giorni dalle 9 alle 18. Un po’ oltre, di fianco a un negozio di vasi, scovate la bottega del sarto Surya, aperta tutti i giorni. Qui troverete i begli abiti tradizionali balinesi, sia per uomo sia per donna, usati durante le cerimonie religiose e fatti su misura.

IL VIAGGIO
IL VOLO
L'aeroporto di Ngueah Rai si trova a pochi chilometri da Denpasar, capitale dell’isola. Si può raggiungere Bali con Garuda (garuda-indonesia.com), compagnia nazionale indonesiana che offre voli diretti da Londra, Francoforte, Amsterdam. È inoltre possibile volare con KLM, Lufthansa e altre compagnie fino a Giacarta, capitale dell’Indonesia nella vicina isola di Giava. Da Giacarta a Bali sono numerosissimi i collegamenti aerei, per esempio con la buona low cost Air Asia (airasia.com, circa 90 euro).

COME MUOVERSI
A Ubud una cosa non mancherà mai: qualcuno disposto a trasportarvi con un taxi o, in alternativa, con una moto. In paese non esistono taxi a tassametro, dunque la corsa va sempre contrattata prima. Nel farlo considerate che la tariffa ufficiale da/per l’aeroporto è di 200.000 rupie, circa 18 euro (un’ora di viaggio). In alternativa, per raggiungere l’aeroporto/Kuta molte imprese locali offrono un servizio di trasporto più o meno a orari fissi. Fra queste la X Trans, con partenze ogni due ore, dalle 10 alle 21,15. Fermata presso il Rendevous Café, Jalan Raya Ubud 14, di fronte al mercato; costo della corsa: 40.000 rupie, circa un’ora e mezza di viaggio. In paese, inoltre, si possono noleggiare moto e auto. Si trovano moto per 30.000 rupie al giorno (500.000 al mese), ma è necessaria una patente internazionale e, in teoria, la conversione della medesima in un documento locale, ottenibile in qualche giorno e con una spesa abbordabile presso le agenzie tuttofare. Quando fate benzina controllate che i benzinai azzerino la pompa prima di inserire la pistola nel serbatoio (le truffe sono frequenti) e circolando ricordate di fermare il vostro mezzo ai semafori entro la linea bianca: se la supererete anche solo di un cm qualche poliziotto, a Bali corrottissimi, sarà più che lieto di multarvi (voi, solo voi, in quanto $traniero, e non il vostro vicino di semaforo, in moto senza casco e con l’intera famiglia a bordo).

UN’ATTIVITÀ PER OGNI TIPO DI NOIA E DI PORTAFOGLI
Stanchi di fare foto alle scimmie della Monkey Forest? A Ubud si può fare molto altro. Gli eterni studenti potranno scegliere tra corsi di batik (Nirvana Pension & Gallery, Jalan Gautama 10, nirvanaku.com, dal lunedì al sabato 10-14, 35/45$ a persona al giorno) e di cucina indonesiana (Café Bali, Jalan Kajeng, inizio alle ore 9, circa 14 euro a persona, oppure lakaleke.com). Camminatori di tutto il mondo, unitevi! A Ubud troverete un’infinità di agenzie pronte a farvi sgranchire le gambe seguendo un tema: piante (baliherbalwalk.com, partenza davanti al Puri Lukisan Museum alle 8,30 rientro alle 12, 18$ a persona), uccelli (stessa agenzia, partenza il mar/ven/sab/dom alle 9 dal Beggar’s Bush, di fronte al museo Antonio Blanco, 33$ a persona, pranzo incluso), natura (mit-bali.dk/nature-walks.html, pick-up in albergo alle 8, circa 18 euro a persona), bici/risaia/trekking (Bali Culture Tours, Jalan Hanoman, pick-up in albergo alle 8/8,30, rientro alle 16, 20/30 euro a persona a seconda del tour scelto, inclusa colazione e pranzo), solo bici (balibike.com oppure happybiketour.com, pick-up in albergo alle 8/8,30, rientro alle 16, entrambe a circa 30 euro, inclusa colazione e pranzo). Chi ama gli uccelli non manchi il Bali Bird Park (bali-bird-park.com, nei pressi di Gianyar, circa 25$ a persona), con circa 1000 volatili di 250 specie differenti, nonché alcuni lucertoloni di Komodo. A circa 2 km da Ubud il bel giardino botanico (botanicgardenbali.com, circa 5 euro) è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 18. Per lo yoga, l’Ubud Yoga Centre (ubudyogacentre.com) o The Yoga Barn (balispirit.com).

Fuso orario
Sei ore in più rispetto all’Italia, cinque quando da noi è in vigore l’ora legale.

Documenti
Passaporto con almeno sei mesi di validità. All’arrivo in aeroporto (code interminabili) si ottiene quello turistico (25$ da pagare in contanti e in valuta americana), valido un mese. Una volta in Indonesia è possibile estenderlo.

Periodo migliore
Da aprile a settembre, inclusi. Ad aprile e maggio le piogge si fanno sentire, alternate a bei momenti di sole. Luglio e agosto i mesi di alta stagione, con prezzi conseguenti.

Lingua
La lingua ufficiale è l’indonesiano (Bahasa Indonesia), usato quanto il locale balinese. È diffuso l’inglese.

Moneta
La moneta ufficiale è la rupia indonesiana: un euro ne vale 11.000 circa.

Prefissi
Il prefisso internazionale per l’Indonesia è 0062, quello di Ubud 361. Per chiamare l’Italia: 00139 oppure 00839.

Pubblicato su Panorama Travel




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Bali, Ubud: Eat, pray, love & art

Ubud is a town on the Indonesian island of Bali in Ubud District, located amongst rice paddies and steep ravines in the central foothills of the Gianyar regency. One of Bali's major arts and culture centres, it has developed a large tourism industry. Ubud has a population of about 30,000 people, but it is becoming difficult to distinguish the town itself from the villages that surround it. 8th century legend tells of a Javanese priest, Rsi Markendya, who meditated at the confluence of two rivers (an auspicious site for Hindus) at the Ubud locality of Campuan. Here he founded the Gunung Lebah Temple on the valley floor, the site of which remains a pilgrim destination. The town was originally important as a source of medicinal herbs and plants; Ubud gets its name from the Balinese word ubad (medicine). In the late nineteenth century, Ubud became the seat of feudal lords who owed their allegiance to the king of Gianyar, at one time the most powerful of Bali's southern states. The lords were members of the satriya family of Sukawati, and were significant supporters of the village's increasingly renowned arts scene. Tourism on the island developed after the arrival of Walter Spies, an ethnic German born in Russia who taught painting and music, and dabbled in dance. Spies and foreign painters Willem Hofker and Rudolf Bonnet entertained celebrities including Charlie Chaplin, Noel Coward, Barbara Hutton, H.G. Wells and Vicki Baum. They brought in some of the greatest artists from all over Bali to teach and train the Balinese in arts, helping Ubud become the cultural centre of Bali. A new burst of creative energy came in 1960s in the wake of Dutch painter Arie Smit (1916-), and development of the Young Artists Movement. There are many museums in Ubud, including the Museum Puri Lukisan, Museum Neka and the Agung Rai Museum of Art. The Bali tourist boom since the late 1960s has seen much development in the town; however, it remains a centre of artistic pursuit. The main street is Jalan Raya Ubud (Jalan Raya means main road), which runs east-west through the center of town. Two long roads, Jalan Monkey Forest and Jalan Hanoman, extend south from Jalan Raya Ubud. Puri Saren Agung is a large palace located at the intersection of Monkey Forest and Raya Ubud roads. The home of Tjokorda Gede Agung Sukawati (1910-1978), the last "king" of Ubud, it is now occupied by his descendants and dance performances are held in its courtyard. It was also one of Ubud's first hotels, dating back to the 1930s. The Ubud Monkey Forest is a sacred nature reserve located near the southern end of Jalan Monkey Forest. It houses a temple and approximately 340 Crab-eating Macaque (Macaca fascicularis) monkeys. Ubud tourism focuses on culture, yoga and nature. In contrast to the main tourist area in southern Bali, the Ubud area has forests, rivers, cooler temperatures and less congestion although traffic has increased dramatically in the 21st century. A number of smaller "boutique"-style hotels are located in and around Ubud, which commonly offer spa treatments or treks up Ubud's mountains. The Moon of Pejeng, in nearby Pejeng, is the largest single-cast bronze kettle drum in the world, dating from circa 300BC. It is a popular destination for tourists interested in local culture, as is the 11th century Goa Gajah, or 'Elephant Cave', temple complex. Ubud and its crowded market has been one of the locations of the movie ‘Eat, pray, love’ with Julia Roberts.

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