lunedì 18 luglio 2011

STATI UNITI - L’ISOLA MATTA che c’è (ancora per un po’)


Coney Island, tra un passato glorioso e un futuro incerto

Spiaggia-luna-park dei newyorchesi, isola che appare come tale solo se vista da un elicottero, luogo di battesimo dell’hot-dog, enclave di immigrati russi, teatro di eventi fuori dal mondo, circo non-stop di umanità kitsch e location di innumerevoli film, libri e canzoni. Se Fellini fosse ancora vivo vi girerebbe almeno dieci deliri dei suoi. Ma il sindaco-magnate Bloomberg la vuole trasformare nella prossima Atlantic City. E le agenzie immobiliari, avidi avvoltoi, si sfregano le mani.



Le origini e lo sviluppo 
I primi abitanti dell’isola, gli indiani Lenape, chiamavano il territorio Narrioch (‘terra senza ombre’), perché - come altre spiagge di Long Island, di cui fa parte - il litorale di Coney Island riceveva la luce solare per tutte le ore del giorno. Gli olandesi, primi colonizzatori di New York (allora Nieuw Amsterdam) la chiamarono Conyne Eylandt, ‘Isola dei Conigli’, animali abbondanti in questa area di Long Island, almeno fino all’urbanizzazione. La storia ‘moderna’ di Coney Island ebbe inizio dopo la Civil War, quando negli anni Sessanta dell’Ottocento la ferrovia che attraversava Brooklyn raggiunse la zona, all’epoca una vera e propria isola (oggi penisola). Nel 1881 seguì la compagnia di traghetti a vapore Iron. Il luogo si dotò ben presto di alberghi e luoghi di divertimento, divenendo la grande ‘sala-giochi’ di New York. Le sue spiagge vissero un momento d’oro all’inizio del Novecento, soprattutto dopo che la ferrovia fu elettrificata e venne costruito il Ponte di Brooklyn. Nel 1915 Coney Island fu raggiunta dalla metropolitana e un anno dopo - secondo la storia ormai divenuta leggenda - Nathan’s vi inaugurò il primo punto di vendita dei suoi celeberrimi hot-dog, considerati i primi ad apparire sulle tavole (marciapiedi) degli americani e, ancor oggi, i migliori. Le spiagge sull’Atlantico, private e pubbliche, divennero allora popolarissime per i newyorchesi in fuga dal caldo estivo e in cerca di divertimento. Corse di cavalli, luna-park (il termine fu inventato proprio qui, grazie a un parco divertimenti così chiamato), casinò illegali e prostituzione tennero alto il nome di Coney Island sino alla fine della Seconda guerra mondiale, quando la zona iniziò a decadere. Il suo famoso Carousel (montagne russe) fu costruito per la prima volta nel 1876, per poi essere rifatto. 






La decadenza
L’arrivo dell’aria condizionata - prima nei cinema, poi nelle case - rese i newyorchesi più pigri e meno disponibili a spingersi fino al ‘divertimentificio’ del litorale meridionale di Brooklyn. In auto si potevano raggiungere spiagge più belle e meno affollate, come Jones Beach. Dopo la guerra cominciò un boom edilizio che portò alla costruzione di numerosi condomini con minuscoli appartamenti per i ceti più bassi. I vincoli ambientali per preservare le aree verdi oltre Surf Avenue - l’arteria che costeggia il lungomare - furono osteggiati dalla comunità locale la cui economia si basava sull’industria del divertimento, la quale entrò in conflitto con il sindaco di New York, Robert Moses. Questi fece demolire diversi edifici abusivi per facilitare l’accesso al bagnasciuga e per far spazio al bel New York Aquarium, oltre che per favorire l’edilizia popolare. Nel 1946 il luna-park fu chiuso dopo una serie di incendi. Negli anni Cinquanta vi imperversarono le prime lotte fra bande rivali e nel 1964 chiuse pure lo Steeplechase Park, l’ultimo dei luna-park della zona. Lunghe battaglie legali per il possesso dei terreni imperversarono negli anni Sessanta, tra imprenditori del mattone, giostrai, semplici residenti e chi voleva più verde. Tutti contro tutti, ma nel frattempo Coney Island continuò a svilupparsi disordinatamente. Negli anni Settanta la zona era parecchio decadente, poco sicura, vi imperversavano droga e prostituzione. Non a caso la scena finale de I guerrieri della notte fu girata a Coney Island. I mega-progetti edilizi fatti a metà e mai conclusi continuarono anche sotto il mandato di Rudolph Giuliani, il sindaco noto per il suo slogan Tolleranza zero nei confronti della criminalità newyorchese.





Il circo è aperto, Siore e Siori!
Circondata da spiagge - Seagate a ovest, Brighton Beach (dov’è concentrata la maggiore comunità russa di New York: terribili condomini clonati da Vladivostok, caviale a prezzi stracciati e panettoni Perugina d’importazione ‘parallela’ scaduti da un pezzo) e Manhattan Beach a est, Gravesend a nord - e abitata da circa 60.000 persone, Coney Island è da oltre un secolo sinonimo di divertimento. Divertimento cheap, direbbero gli americani. Shoot the freak, invita un cartello sul lungomare: Sparate al mostro. Per qualche dollaro puoi sparare proiettili di gomma a un povero cristo che, protetto da una tuta antiproiettile e una maschera da aborto vivente, va su-e-giù lungo un tracciato, tipo vecchio tiro al bersaglio con il grizzly da sala giochi. Se lo centri ti danno la bambolina. Il kitsch in carne e ossa è istituzione a Coney Island, da tempo. Fa cool. Qui è nato, e da qui si è diffuso in mezzo mondo, il cosiddetto Burlesque, spettacolo basato sul grottesco, l’improvvisato, la donna con la lingua biforcuta che cammina sui vetri rotti, lo spalmami-addosso-tutto-quello-che-vuoi, il pubblico senza più ritegno sul palco. Dieci-quindici dollari, e potrai sognare di essere, dal vivo, in un film di Fellini o di Kusturica. Gare di orgasmo simulato, tre dollari e mi puoi camminare sulla pancia mentre mi adagio su un letto di chiodi. Tatuaggi e piercing come seconda pelle, la donna-senza-testa, la sosia di Britney Spears, la sirena vivente. A proposito di sirene: da non perdere, cascasse il mondo, la Mermaid (sirena, appunto) Parade, a giugno. Il tema della sfilata a concorso è il mare e le sue innumerevoli creature, da Nettuno alle stelle marine copricapezzoli, dai pirati del fine settimana ai transessuali per un giorno addobbati da sirenetti.






Wurstel e sabbia
Dal Nathan’s che fu si è sviluppata una vera e propria catena di hot-dogghifici, e la ‘centrale’ di Coney Island è attiva più che mai. D’estate le code per conquistare un ‘cane caldo’ sono chilometriche, ma ne vale la pena, soprattutto se il panino è accompagnato dalle spettacolari patatone fritte, misura XL e affogate nel formaggio fuso al triplo colesterolo (quello cattivo; gli americani, è noto, ci tengono alla salute in cucina). La ‘centrale’ celebra il 4 luglio, giorno dell’Indipendenza, a modo suo: gara di inghiottimento di hot-dog. Il record, da anni, è nelle mani di un ragazzino di origine giapponese che al posto delle viscere deve avere un’autostrada. E la ‘centrale’, soprattutto nei periodi di iperaffollamento, regge alle code anche grazie alla piccola filiale aperta sul bagnasciuga, a pochi metri dalla spiaggia più affollata della ‘Grande Mela’. Poco aroma di mele, però. Sull’arenile, semmai, puzzo di acqua impestata - qui l’oceano è troppo vicino alla megalopoli - e attenzione ai piedi, vetri rotti di bottiglie di birra Corona imperversano qua e là, nonostante i poliziotti in bermuda pattuglino a caccia di bevitori illegali. Fare il bagno a Coney Island, in effetti, sembra una sfida in qualsiasi momento dell’anno: in estate contro le dermatiti e i cocci, d’inverno contro il freddo siberiano. Non a caso gli inossidabili membri del Polar Bear Club vivono il loro momento di gloria a Capodanno, quando coadiuvati da altri folli newyorchesi o di passaggio si gettano seminudi nelle gelide acque dell’Atlantico. Lo fanno anche durante il resto dell’anno, seppure con meno clamore. Il loro scopo sarebbe anche quello di promuovere una maggiore pulizia dell’acqua. Mission impossibile, da queste parti.





La festa è finita?
Anche l’ultimo sindaco di turno (con ambizioni di incarico eterno), il magnate Michael Bloomberg, non è riuscito a esimersi dal tuffarsi nell’ennesimo progetto di sviluppo\rivitalizzazione di Coney Island. Fallite le sue ambizioni per avere NYC sede delle olimpiadi del 2012, nel 2005 ha permesso alla vorace immobiliare Thor Equities di appropriarsi di una grande parte del divertimentificio. L’anno successivo la Thor si è accaparrata pure l’ultima fetta di terreno rimasto ‘piazzabile’. Progetti faraonici, tesi a trasformare Coney Island in una specie di piccola Las Vegas: costruzione di alberghi, condomini di lusso, negozi scintillanti, caffè per signore-per-bene, ‘riorganizzazione’ (bulldozer) del tutto, busine$$. La comunità locale è inferocita, anche perché la frase scritta che più si vede in giro, su cartelloni appesi alle saracinesche abbassate del cinque-palle-un-dollaro che fu, pesca-il-cigno-e-vinci-la-bambolina, istituzioni da sempre, è store for lease, negozio in affitto. A nuovi prezzi, elevati, dettati dal martello di Thor. Martello sotto cui a breve sembra cadranno, ancora una volta, i simboli di Coney Island: la Wonder Wheel e il Cyclone (l’ottovolante). Tra poco della vecchia ‘Isola dei Conigli’, almeno secondo i piani di Joseph Sitt, proprietario della Thor Equities, non rimarrà più nulla. Il popolo del Burlesque, armato di megafono e striscioni come un sindacato del circo in sciopero selvaggio non perde occasione per scendere in strada\spiaggia e urlare la propria indignazione. Le diverse associazioni per la salvaguardia della cultura ‘alternativa’ di C.I. sono sul piede di guerra. Ma, com’è noto, il martello di Thor sconfigge molti supereroi dai poteri invincibili. Figuriamoci se non avrà la meglio contro quattro gatti vestiti di tatuaggi e capelli viola. 




Pubblicato su Smoking



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