lunedì 18 luglio 2011

STATI UNITI - IL GIRO DEL MONDO A QUEENS


Una New York per tutti, in fuga da Manhattan

Essere un New Yorker oggi può avere un significato molto differente di trent’anni fa. Se nel 1979 il simbolo della ‘città che non dorme mai’ poteva essere il Woody Allen di Manhattan, oggi il protagonista di quel film-simbolo probabilmente fuggirebbe dalle proprie schizofrenie. Dove andrebbe? Essendo dotato di eccesso di intelligenza e di salario semi-proletario, stanco delle scintillanti vetrine della 5th Avenue, stanchissimo di essere maltrattato nei ristorantini dell’East Village (prezzi esorbitanti per mangiare un’ostrica, dopo aver prenotato due settimane prima, fatta una fila da stadio e consumato in spazi grandi come sgabuzzini per le scope, gomito-a-gomito con emeriti sconosciuti, zero privacy e fatti degli altri serviti come contorno; come digestivo: ha finito di masticare? Lasci mancia abbondante e vada, non ha notato che il tavolo serve ad altri?), ebbene, il nervoso e ipersensibile New Yorker prenderebbe la capillare subway e ribalterebbe il cliché del bridge & tunnel. Con questa espressione, soprattutto in ambiente da college, tra adolescemi, viene soprannominato il bifolco, colui che vive fuori Manhattan, nel Bronx, nel Queens, a Brooklyn o, peggio dei peggi, nello stracontadino New Jersey. E, appena può, prende un treno e attraversa i fiumi Hudson ed East che circondano il grande sigaro, Manhattan, varcando ponte & tunnel, per venire a leccare le vetrine della Grande Mela e sentirsi più cool e meno campagnolo. La coolness, l’essere fighi (come ti vesti, come parli, che cosa mangi/ascolti, dove lo fai e dove abiti), è uno dei motori dell’esistenza newyorchese, soprattutto per chi ha fra i 13 e i 40 anni di età e abbondante tempo libero da dedicare all’aria fritta. Grazie a questa esigenza compulsiva di coolness, nonostante gli affitti stratosferici e la crisi, i proprietari di locali (ristoranti, bar, boutique, deli di lusso) delle varie zone cool di Manhattan fatturano valute forti: da Soho a Tribeca, dai giovani e gay Village (East & West) alla scintillante Midtown attorno a Central Park e all’osannata Fifth, dov’è supercool abitare in un condominio con portinaio ossequiante in divisa e con il numero civico preceduto dall’articolo e indicato con lettere, giammai numeri (lì The Sixty è considerato un miliardesimo di volte più cool dell’iperproletario 60).






In epoca di globalizzazione applicata, dunque, i veri New Yorker votano bridge & tunnel. Stanchi del proprio snobismo, dell’essersi avvitati sulle proprie nevrosi, lontani anni luce dai tè con biscottini del Tea Party, obamisti nonostante tutto, sono in fuga da Manhattan. Non necessariamente con il camion dei facchini, ma almeno con il train, durante il fine settimana, a caccia di ristorantini, sapori, odori, colori più arcobalenici, più veraci degli Irish Pub di Times Square e del nero degli abiti di chi traffica e fattura roba seria a Wall Street. Meglio un sari oggi che un bond domani, potrebbe essere il motto di questi New Yorker a caccia di una finestra aperta sul resto del mondo. Mondo intero che gli è piombato addosso, attirato dall’inossidabile American Dream. Alcuni fuggono in pianta stabile nei ghetti per artisti di Brooklyn (DUMBO, Williamsburg), a ruota seguiti dalle agenzie immobiliari, attentissime a ciò che fa tendenza. Altri, meno radicali, si accontentano di una boccata di mondo-di-fuori. Per farlo basta poco, qualche dollaro per la metro e un po’ di volontà politica. Ecco una mappa del nuovo cool, a Queens, il vero centro del mondo. Non a caso i due aeroporti internazionali di New York, il JFK e il La Guardia, sono qui. 






Jackson Heights, tra India e America Latina
Poche fermate di subway da Midtown, prendendo la linea F o la più lenta E. Scendete alla fermata di Roosevelt Avenue, a Jackson Heights, sarete su un altro pianeta, anzi, due. Se attraversate la strada, in direzione della 37th Avenue, sbarcherete in India, soprattutto lungo la 74th Street. Polli tandoori vi faranno l’occhiolino dalle vetrine dei ristorantini, nel loro rosso fuoco. Sapori non sempre così ardenti come nella Madre India, per venire un po’ incontro ai palati più delicati degli Americans, ma pur sempre ricchi di perché. E se i colori di una tavola indiana (o bengalese, o pachistana, o afgana, basta scegliere) non vi avranno riempito a sufficienza gli occhi, verrete tramortiti dalle tinte dei sari esposti in vetrina. Il colpo di grazia ve lo darà la musica, pompata a massimo volume dai negozietti specializzati in film di Bollywood, ospitati in scantinati con buttadentro pagati per indirizzarvi là sotto. All’incrocio con la 37th Avenue girate a sinistra e raggiungete la 72nd Street, fra condomini degli anni Trenta - meta di tour organizzati - in origine abitati da italiani e irlandesi, oggi da coreani e polacchi avvolti da miasmi di kimchi e di bigos polacchi. Qui potrete fare la spesa come un vero indiano. Un paio di supermercati incasinatissimi, dove lo zenzero e l’aglio si vendono a carriolate, dove trovare i veri biscottini che i veri indiani mangiano nella vera India… e poi chili e chili di gee, il burro indiano usato anche nei riti religiosi, frutta pazzesca, dolcetti trisunti come solo un indiano può concepire.






Ora, storditi dagli aromi, innescate la retromarcia e ripercorrete buona parte della 37th, almeno fino alla 107th Street (dove visitare la casa che fu di Louis Armstrong, www.louisarmstronghouse.org, oggi museo). Entrerete lentamente in America Latina. Potrete comprare un paio di jeans attillati come solo una colombiana può concepire (mai dimenticherò la visione di un American DOC che, una domenica pomeriggio, qui aveva parcheggiato la sua Harley Davidson con un cartello, scritto a mano, appoggiato tra fanale e manubrio, con sopra la poesia: BUSCO NOVIA COLOMBIANA), farvi lavare a secco un abito in maniera ineccepibile come solo un coreano può fare, oppure infilarvi in qualche altro supermercato a caccia di ingredienti per una cucina globale. Vi troverete buste di preparati per fare il fantastico pão de queijo (panino al formaggio) brasiliano, goiabada (gelatina estratta dalla guava) da mangiare a fette, oppure bibite di guaranà, sia la classica lattina verde Antarctica o quella fabbricata in New Jersey. Doce de leite brasiliano o rivale dulce de leche argentino. Hummus libanese in barattolo, olive greche kalamata vendute a peso, dolci spacca denti colombiani e, ben prima di natale, economici panettoni finti al sapore di cartone. Inoltre: vera pasta De Cecco e vera Nutella, qui tanto esotiche (e care) quanto i colleghi sopracitati. Dimenticatevi il parmigiano, perché è taroccato oppure costa come l’oro.







Se, arrivati qui, avete resistito senza masticare alcunché, dovreste almeno avere una fame da lupi. Per soddisfarla raggiungete di nuovo la sferragliante Roosevelt Avenue (i treni della metro vi passano sopra e sotto) e sbizzarritevi tra la ridda di ristorantini messicani o ecuadoriani, peruviani o colombiani. Mole de frijoles (purè di fagioli) buono da far piangere, oppure un taco o un tamal al volo presso uno dei tanti venditori ambulanti. Sarete sbarcati a Corona, quartiere ispanico che più ispanico non si può. Parlate español, se non volete essere trattati da gringo, e se avete smanie da shopping niente di meglio che passare una buona mezz’ora a cincischiare in un mini-market da 99 ¢ents, per comprare nulla o un po’ di paccottiglia made in China. Magliette a un dollaro, tazze da caffelatte terribilmente americane (stelle-e-strisce a iosa), biscotti al triplo transgenico. I turisti-collezionisti non potranno evitare di accettare dai vari ruffiani messicani ogni bigliettino che questi, con fare losco, gli allungheranno. Sopra sono riportate immagini di donne supersexy, segue numero di cellulare per il servizio delivery, un po’ come la pizza. Nonostante la prostituzione qui sia ufficialmente proibita, e sebbene sia altamente improbabile che alla richiesta telefonica verrete raggiunti dalle dee raffigurate sui bigliettini, collezionarle non costa nulla, non è un reato e ne potrete fare un quadro davvero alternativo, supercool, da appendere in bagno (io ne ho tre). Per digerire, oppure per stendere su un prato la vostra nuova collezione e ammirarla nella sua completezza, oppure per sentirvi piccoli piccoli ai piedi del gigantesco Unisphere (il globo d’acciaio più grande del mondo), raggiungente il bel parco di Flushing Meadows Corona. Qui giocano i campionissimi del tennis, oppure, la domenica, anonimi latinos in infuocate partite di pallone. Per chiudere in bellezza: fate un salto al New York Hall of Science (www.nyhallsci.org), spettacolare museo delle scienze, dove costruire bolle di sapone enormi o giocare con gli effetti bizzarri della luce. Ne uscirete sentendovi come se foste stati sulla Luna.







Astoria, Flushing, Jamaica: tutto il mondo è qui
A qualche fermata di metro da Jackson Heights, oppure con una piacevole camminata attraversando il Northern Boulevard, non mancate in quartiere ‘giovane’ di Astoria. Di giorno pulsa di negozi di abbigliamento per tutti i gusti e per tutte le tasche, tra cui un fornitissimo centro dell’Esercito della Salvezza, dove vestirvi con capi usati dalla testa ai piedi senza intaccare le vostre riserve. Ad Asoria si trasferiscono molti giovani newyorchesi, attirati dai costi minori e dall’incredibile scelta di locali per passare la sera. C’è davvero di che sbizzarrirsi, soprattutto a tavola, tra ottimi ristoranti greci e qualcuno brasiliano, dalla classica churrascaria al più semplice self-service. Qua e là sopravvive qualche vecchia drogheria italiana (qui, in anni vissuti nel Queens, ho scovato l’unico pandoro vero a natale), ma il punto di forza sono i locali mediorientali. I giovani cool di Manhattan attraversano con sommo piacere il bridge e pure il tunnel, per venire a farsi una fumata di narghilè, sorseggiando tè alla menta, senza che nessuno gli tolga la sedia da sotto il sedere e spendendo poco. Nei fine settimana danza del ventre, per chi ama il genere.





In direzione opposta, sempre partendo da Jackson Heights, si possono raggiungere altri mondi. I camminatori semiprofessionisti potranno percorrere tutta Roosevelt Avenue, seguendo la linea sopraelevata della metro, in direzione opposta di Manhattan. Sfioreranno la trafficata Elmhurst, terra natale della cinese più bella d’America (Lucy Liu), respireranno aria di autentica America Latina, poi, oltrepassato il vecchio Shea Stadium - teatro di epiche battaglie del baseball -, dopo un bel po’ raggiungeranno la Main Street di Flushing, trancio di vera Asia catapultato fin qui. I polpacci meno forti potranno prendere la linea 7 della subway (violetta) e scendere comodamente al capolinea. Qui ci si potrà sbizzarrire, ancora una volta, a tavola. Il meglio della cucina cinese, con l’orgiastico rito del dim sum (portate a go-go, su carrelli non-stop), oppure, per chi ama i sapori davvero forti, il meglio della cucina coreana, quest’ultima soprattutto in grandi ristoranti ancor più in periferia, raggiungibili in taxi. E, per chi ama le cose sbrigative ed economiche, ma senza rinunciare al gusto, fantastici noodles da asporto, per un paio di dollari, con verdure e/o carne, cotti sotto i vostri occhi. Vi mancherà una sedia, e le gradinate della Queens Library sono adeguatamente capienti. Per un pasto completo, pure a prezzi simbolici, potete completare con pollo strafritto. Pollo strafritto che ritroverete in toto, come filo conduttore di un viaggio attraverso la gola, a un altro capolinea, quello dell’arancione linea F. Sarete sbarcati a Jamaica, un nome un programma. Quartiere povero, ma che non fa economia sulle proprie tavole. Il pollo fritto, con mille sfumature diverse, è il portabandiera culinario della sua vasta comunità afro-americana, in questa Jamaica che è un po’ l’Harlem di Queens. Potrete perdervi tra ristorantini caraibici e latinoamericani, ma non fatelo se siete a dieta. A fine di questo giro del mondo sulle tavole di mezzo pianeta, anche se non avrete toccato un solo piatto, vi sentirete più grassi. Che impagabile boccata d’aria globale, però.






MANCIA!
Noi italiani, abituati come siamo alla voce ‘servizio’ al ristorante, sembriamo essere gli ultimi al mondo a riprendere l’usanza ottocentesca della mancia. Continuiamo a considerarla come un premio, da elargire o meno, in base al buon (o pessimo) servizio che ci è stato dato. I tempi, però, soprattutto in America, hanno travolto l’etimologia del termine. The tip, negli States, va ben oltre il nostro giudizio, da avventori, sulla professionalità di chi ci ha serviti. Negli USA molti camerieri guadagnano stipendi ridicoli e contano proprio sulle cosiddette mance per raggiungere, a fine mese, uno stipendio degno di tale nome. La ‘mancia’, dunque, è obbligatoria, sia che siamo stati accolti con il tappeto rosso e il triplo inchino, sia che i piatti ci siano stati tirati addosso e che il cameriere abbia preso il nostro ordine trafiggendoci di odio (via pupilla). A fine pasto, comunque sia andata l’avventura, dovremo aggiungere un 15% (10% se siete tirchi e/o avete deciso di odiare personalmente quel cameriere) al conto. Alcuni ristoranti furbetti, di solito nelle zone turistiche (dunque, in genere, non nel Queens), vi aggiungono direttamente tale quota sul conto, specificandola. In generale, dunque: leggete attentamente le voci del conto e rispolverate le vostre capacità matematiche. NB: non confondete la voce taxes, tasse, con tip, MANCIA. Solo così non vi succederà di venire rincorsi fuori dal ristorante, dal cameriere a mano tesa, facendovi sentire a metà strada fra il verme il ladro. Nulla di meglio, per una pessima digestione.




Feste, una per ogni tribù
Essendo un distretto ad altissima concentrazione multietnica, il Queens vede un folto calendario di ricorrenze - feste, parate - dedicate alle nazionalità che lo abitano. Tra queste, ad aprile, il Dia del Niño, grande festa ispanica dedicata ai bambini, nel quartiere di Corona. Il 5 maggio da non perdere la festa messicana che ricorda la vittoria del 1862 contro i francesi, lungo Roosevelt Avenue. Segue, in luglio, la colorata Colombian Parade, lungo il Northern Boulevard, a Jackson Heights.

Fai-da-te
Volete stare a New York, nel Queens, per un periodo lungo (almeno un mese) senza spendere cifre da sceicchi? Consultate on-line le pagine newyorchesi di Craiglist (www.newyork.craigslist.org), l’ottimo e capillare giornale elettronico di annunci. Troverete camere un po’ in tutto il Queens a prezzi nettamente inferiori (da immigrati), se calcolati per diaria, rispetto a quelli degli alberghi. Se possibile vicino a una stazione della subway, così da poter raggiungere ogni punto della città.

ALBERGHI
Hotel Howard Johnson Woodside 
65-09 Queens Boulevard (between 65 Place and 65th Street), Woodside 
Subway 7, fermata Woodside (61st Street)
Tel. (001) 718-426-6200
www.howardjohnson.com
Albergo della popolare catena omonima. Prezzi relativamente popolari (a partire da 140$ per una doppia, tasse incluse) per una camera non enorme ma ricca di carta da parati. La ‘colazione’, inclusa nel prezzo, si fa con le proprie mani, utilizzando i distributori automatici alla reception. Situato in una zona anonima, ma nel cuore di Queens.

Fairfield Inn
45-20 Astoria Blvd, Astoria
Tel. (001) 718-267-0008
Albergo della catena Marriott, offre tutte le comodità della medesima, inclusa una navetta gratuita da/per l’aeroporto La Guardia. Ha 86 stanze su cinque piani, non a breve distanza dalla metro. Vietato fumare, non pet-friendly, senza piscina. Circa 180 euro, tasse e colazione incluse, per una doppia con wifi.

Holiday Inn La Guardia Airport Corona
37-10 114th Street, Corona
Tel. (001) 718-651-2100
Albergo della catena omonima, situato vicino al vecchio stadio Shea, a breve distanza dalla linea 7 della subway e dall’aeroporto, ha 214 stanze su otto piani. Piscina (non sempre aperta), ristorante, navetta gratuita 24 ore per il La Guardia e stanze non gigantesche a partire da circa 120 euro. Non accetta animali, parcheggio a 8$.

RISTORANTI
Mehfil 
76-05, 37th Avenue, Jackson Heights
Subway F, E, fermata Roosevelt Avenue
Tel. (001) 718-429-3297
Fantastico mini-ristorante indiano self-service, ideale per il buffet a prezzo fisso (circa 10$) a pranzo (ma è aperto anche alla sera, con prezzi alla carta). Piatti freschissimi e deliziosi, a partire, quando c’è, dal murg makhani (pollo al burro). Dolcetti inclusi nel prezzo e, a parte, un indimenticabile mango lassi.

Jackson Diner 
37-47, 74th Street, Jackson Heights
Subway F, E, fermata Roosevelt Avenue
Tel. (001) 718-672-1232
Situato nel cuore della ‘Little India’ di Queens, è il ristorante indiano più pluridecorato della zona, una vera e propria istituzione. Ampio locale, seppure con piatti meno curati rispetto al concorrente Mehfil. Se possibile andateci la domenica a pranzo, quando vive il suo momento di gloria, affollato da gente che viene un po’ da tutta New York. Circa 20$ per un abbondante pranzo a buffet, lassi incluso.

Brasilianville 
43-12, 34th Avenue, Astoria
Subway R, fermata Steinway
Tel. (001) 718-472-0090
Piccolo ma eccellente self-service brasiliano, a prezzi contenuti (con una decina di dollari ve la cavate), aperto sia a pranzo sia a cena. Piatti veri, per uccidere la saudade del Brasile: feijoada come dio comanda, e molto altro, il tutto innaffiato da guaranà Antarctica e, come dessert, qualche dolcetto brigadeiro o cajuinho. Obbligatorio provare, se non siete arrivati troppo tardi (alla sera il locale chiude presto), la mousse de maracujá. Mentre mangiate potete guardare alla tv una novela, in portoghese.

Uncle George’s 
33-19, Broadway, Astoria
Subway N, W, fermata Broadway 
Tel. (001) 718-626-0593
Famoso ristorante greco, nel cuore della zona greca del Queens. Senza pretenziosità di arredamento, vi farà sentire in una taverna del cuore di Atene. Menù pressoché infinito, con tutti piatti classici della cucina greca: da un’ottima moussaka a un pesantissimo pastizo di pasta (penne stracotte e trattate come lasagne), vero e proprio mattone adatto agli stomaci di chi entra nel locale con fame autentica, oppure piatti di pesce e di frutti di mare. Almeno 20$ a persona, sempre aperto.

Layali Beirut
25-60, Steinway, Astoria
Subway R, fermata Steinway
Tel. (001) 777-2111
Forse il più popolare e frequentato caffè e ristorante libanese della zona mediorientale di Astoria. Ottimi i piatti classici della cucina libanese, a partire da una buona pita (pane arabo) con hummus (purè di ceci), seguita da dolcetti superunti e digeriti con un corroborante tè alla menta. Il locale è consigliato soprattutto di sera per una bella fumata di narghilè (hookah), con tabacco aromatizzato. Mentre vi inquinate i polmoni, potete giocare a back-gammon (tavole gratis vicino alla cassa, basta chiedere) senza fretta: nessuno vi scaccerà dai divani che, a giudicare dalla pulizia, hanno visto molte lune. In tv preparatevi a ore di sceneggiati e di cantanti arabi.

Punta Dura
41-15, 34th Avenue, Astoria
Subway R, fermata Steinway
Tel. (001) 721-2137
Volete mangiare come un mafiosetto italo-americano? Non mancate questo ampio locale (chiuso il lunedì), di importanza quasi storica, in quanto vi furono girate gran parte delle scene ‘da ristorante’ della serie Sopranos, come ricorda il ritratto del boss Tony all’entrata. Sebbene il locale offra ufficialmente ‘fine Italian cuisine’, in realtà propone pasta addomesticata per palati emigrati. La gestione è croata, dunque meglio dirottare su qualche piatto di pesce.

Prince Restaurant
37-17, Prince Street (between 37th and 38th Avenue), Flushing
Subway 7, fermata Flushing Main Street (capolinea)
Tel. (001) 718-888-3138
Eccellente ristorante cinese, da non perdere per il rito del dim sum, soprattutto la domenica a pranzo (dalle 9 alle 15). Carrelli non-stop con piattini misteriosi e tutti da scoprire, portati direttamente al tavolo. Scordatevi l’inglese, qui non aiuta: meglio un indice puntato verso ciò che si vuole. Chi non può fare a meno di voler sapere che cosa mangia, può ordinare dal menù, anche in inglese ma a prezzi superiori.

Pubblicato su Viaggiando




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