Ventiquattrore nella città più kitsch del pianeta. Camminando dalla Tour Eiffel a Piazza San Marco
‘Città di plastica’, la chiamerebbe Carmen Consoli. E la definizione non potrebbe essere più appropriata. Plastica, ma non solo. Anche acciaio e cemento in costante crescita, luci burine, automobili extra-large, gente con facce da schiaffi, casinò, casino & casini, cibo a carriolante, magliette-souvenir con spiritosaggini da caserma stampate sopra, gente che si deve divertire a tutti i costi. Questo, e molto altro, è il polpettone Las Vegas, semplicemente ‘Vegas’ per gli habitué.
Un grande luna-park dal sapore di déjà vu, grazie a film e serie televisive, anche per chi non ci ha mai messo piede. Ma, e questo è il bello della città, a Las Vegas c’è sempre qualcosa da scoprire. L’ennesima follia (architettonica, coreografica, comportamentale) vi attende dietro l’angolo, anche se già pensavate di sapere tutto del luogo. Il kitsch qui è istituzione e, per natura, ha la necessità di innovarsi costantemente: costruita una follia, questa ha la capacità di stancare in fretta. Bisogna subito inventarne una nuova. E questo i visitatori vogliono, nel loro vorticoso mordi-e-fuggi a/da tutto ciò che la città ha da offrire. Velocità, in effetti, potrebbe essere la parola-chiave di Vegas. Quella delle roulette e delle slot-machine, rapide come nessun altro marchingegno nello svuotarvi il portafogli o, più di rado, a riempirlo. Quella dei self-service all’interno dei casinò, dove si divorano quantità industriali di cibo a prezzo fisso (+15% rigoroso di mancia; se da bravi italiani non abituati al rito ve la ‘scorderete’, il cameriere sarà velocissimo nel raggiungervi e farvi sentire gli ultimi-della-terra). E la velocità con cui si può richiedere una delle migliaia di lavoratrici a tassametro, pubblicizzate dai bigliettini con foto esplicite e numeri di cellulare ancora più espliciti. I bigliettini, figurine patinate da collezionare, meglio di quelle Panini con i calciatori, tappezzano interi isolati, elargite ai passanti da tribù di messicani assoldati ad hoc. Il bello è che a ‘Sin City’, nella città del peccato, vige (vigerebbe) la proibizione della prostituzione. Ma a ‘Vegas’ non c’è spazio per la lentezza e per le regole ferree. Per lo slow food e per la correttezza bisogna rivolgersi altrove. Qui non c’è tempo per alcunché di slow.
Casinò, per tutti gusti
Elenco che andrebbe aggiornato di anno in anno, quello dei Grandi Scatoloni succhia soldi. Le gru sembrano non fermarsi mai, e un nuovo magnate spesso legato alla mafia italo-americana ogni tanto sbarca in città con grossi capitali da riciclare, fin dai tempi di Bugsy Siegel, leggendario mafioso cui si deve, assieme ad altri, la creazione della ‘capitale del gioco d’azzardo’ (oggi peraltro superata, in termini di giro d’affari, da Macao). Alcuni punti fermi, casinò ‘storici’ divenuti istituzione e cartoline della città, vanno citati. Possiamo cominciare da casa nostra. Il Bellagio (classe 1998) è ispirato alle villone del Lago di Como e ogni quarto d’ora funge da calamita per turisti, grazie allo spettacolo di getti d’acqua nel suo lago artificiale. I getti si muovono al ritmo della musica, ipnotizzando i passanti e gli autisti di Limousine a cento porte ferme al semaforo. Le quiete atmosfere lagunari vi annoiano e volete qualcosa di più corposo? Spingetevi fino al Caesars Palace (1966, un’antichità per Vegas), dove potrete immaginare lotte fra cristiani e leoni in una specie di replica del Colosseo, fatta costruire per capriccio di Céline Dion, la cantante canadese da crociera che fa colare miele dai cuori di mezzo mondo.
Elenco che andrebbe aggiornato di anno in anno, quello dei Grandi Scatoloni succhia soldi. Le gru sembrano non fermarsi mai, e un nuovo magnate spesso legato alla mafia italo-americana ogni tanto sbarca in città con grossi capitali da riciclare, fin dai tempi di Bugsy Siegel, leggendario mafioso cui si deve, assieme ad altri, la creazione della ‘capitale del gioco d’azzardo’ (oggi peraltro superata, in termini di giro d’affari, da Macao). Alcuni punti fermi, casinò ‘storici’ divenuti istituzione e cartoline della città, vanno citati. Possiamo cominciare da casa nostra. Il Bellagio (classe 1998) è ispirato alle villone del Lago di Como e ogni quarto d’ora funge da calamita per turisti, grazie allo spettacolo di getti d’acqua nel suo lago artificiale. I getti si muovono al ritmo della musica, ipnotizzando i passanti e gli autisti di Limousine a cento porte ferme al semaforo. Le quiete atmosfere lagunari vi annoiano e volete qualcosa di più corposo? Spingetevi fino al Caesars Palace (1966, un’antichità per Vegas), dove potrete immaginare lotte fra cristiani e leoni in una specie di replica del Colosseo, fatta costruire per capriccio di Céline Dion, la cantante canadese da crociera che fa colare miele dai cuori di mezzo mondo.
Ora volete fare un giro in gondola? Raggiungete il Venetian Resort (1999), una Venezia-in-miniatura, neanche tanto in miniatura. Tra canali artificiali e fiaschi di Chianti (un po’ di confusione regionale non fa mai male), all’esterno domina una replica di piazza San Marco, ripresa all’interno. I turisti americani spendono fortune per un giro in gondola, con tanto di gondoliere/a che canta robe più o meno nostrane. Se dopo un giro tra calli di cartongesso il kitsch non vi ha seppelliti, e avete ancora spazio e tolleranza per altra roba pacchiana, fate un salto al vicino museo delle cere di Madame Tussaud. Il governatore Schwarzenegger vi aspetterà con sguardo cattivo sulla porta (alle spalle una più dolce Lady Diana), poi rimanete in Europa e tornate dalle parti del Bellagio. Nelle giornate limpide il Paris forse si vede dalla lontana Los Angeles, 270 miglia più in là. La sua Tour Eiffel, illuminatissima di notte, è a grandezza naturale e funge da faro per tutta la contea di Clark, di cui Las Vegas è la capitale. A breve distanza, più ad altezza di piccione, si erge ovvio un Arco di Trionfo, anch’esso in scala trionfale. Fatto ooohhh, nasi all’insù, potete addentrarvi nel casinò alla base della torre. Città nella città, tra una slot-machine e un tavolo da baccarà potete scovarvi una baguette come Fauchon comanda. La scontrosità endemica dei parigini qui è sostituita dai sorrisi di plastica delle cameriere, alimentati dal sempre Santo 15%. Ma siamo in America, dunque largo alle americanate DOC. Non vi va di prendere un aereo fino alla ‘Grande Mela’? Fatevi almeno un giro al New York, New York, la statua della Libertà vi condurrà fino all’ingresso. Fuori una replica del ponte di Brooklyn, all’interno scorci di Manhattan.
Per qualche dollaro potete anche far fare quattro salti a sistole & diastole, seduti su un vagoncino delle montagne russe e sognando di essere a Coney Island. Se queste non vi sono bastate, attraversate lo ‘Strip’ - la porzione del Las Vegas Boulevard lungo cui si affollano i casinò e gli alberghi più noti - e affrontate le due montagne russe dell’MGM-Grand, albergo-casinò gestito dalla Metro-Goldwyn Mayer e dalla catena alberghiera Grand. Con 5500 camere detiene il record di capienza della città. Il Molto Grande Mostro è ideale per chi ama lo sport e gli spettacoli: vi si possono seguire partite di ogni tipo in una multi-arena televisiva, così come assistere a incontri di box tra grossi nomi. Tra un match e l’altro vi si esibiscono il Cirque du Soleil e l’illusionista David Copperfield. Non ancora sfiniti? Se i polpacci fanno male o avete la stazza abbondante dell’americano-medio potete prendere qualche scorciatoia fra un casinò e l’altro, magari caricati di peso su uno dei trenini a monorotaia che li collegano fra loro. Attraversate le viscere del Mirage (dal vulcano artificiale alla più grande piscina della città; del 1989, è costato 630 milioni di dollari), del Wynn o del famoso Flamingo, il primo hotel-casinò di Las Vegas (1946), aperto con i soldi della mafia. Stufi di tanta America fosforescente? Voglia di esotismo? Ecco la piramide del Luxor, fatta con trenta piani di acciaio e vetro nero, oltre all’atrio più grande del mondo. Le statue sono quelle di Aswan, la Sfinge è quella che è. Visto che l’oggettino in mezzo a tanta bailamme poteva passare inosservato, qualcuno ha pensato bene di farlo notare con un fascio di luce che parte dalla sommità e illumina il Creatore, ventiquattrore al giorno, alla faccia della crisi. Voglia di tropici? Godetevi l’acqua di piscine e fontane al Mandalay Bay, specchiandovi nelle sue vetrate dorate. Voglia di giochi? Al Treasure Island potete sognare di essere pirati sull’Isola del Tesoro, all’Excalibur cavalieri di Re Artù, circondati da un castello medievale. Ora, forse, è giunta l’ora di dormire. Prima di crollare nella vostra camera d’albergo, fate un rito scaramantico: infilate una moneta, una sola, in una slot-machine. Se la perderete non vi cambierà la vita, ma se vincerete una cascata sonante domattina vi sveglierete con un sorriso.
Deserto e alcol, outlet e vecchietti
Chi raggiunge Las Vegas via terra, magari provenendo dai parchi della California e dell’Arizona, ha un’idea di quale follia possa essere stata costruire una città così nel bel mezzo del deserto del Mojave. L’acqua che zampilla in ogni dove può sembrare un lusso da sceicchi del petroldollaro, se si considera l’habitat che accerchia la città. L’amministrazione comunale, consapevole dei limiti di Sora Natura, ha dovuto correre ai ripari, considerando anche le esigenze sprecone dei nuovi abitanti di Las Vegas: orde di pensionati che, ammaliati dalle vibrazioni che una slot-machine può dare e dalla disponibilità di alcol ventiquattrore su ventiquattro, hanno deciso di trasferirvisi da tutti gli altri quarantanove Stati della federazione. Meglio passare qui gli ultimi giorni dell’esistenza facendo un po’ di baldoria, piuttosto che in qualche sbadigliosa città di provincia dell’Arkansas o del Minnesota. Il risultato è che negli ultimi anni la popolazione di Las Vegas è esplosa: la crescita demografica è la maggiore degli USA e nel 2008 vi si contavano oltre 1.800.000 abitanti. Molti nuovi residenti tra un whisky e l’altro si sono dati al giardinaggio. Prato all’inglese, of course. Ma l’erbetta ispirata alle verdi colline del Sussex beve come un cammello. E poco importa se il nome della città derivi dai prati (vegas, in spagnolo, lingua del Messico cui questo territorio apparteneva) che un tempo qui crescevano naturalmente, grazie a qualche pozzo nel deserto. Quei prati, veri, non esistono più. Il governo locale sta cercando di convincere gli aspiranti giardinieri a darsi una calmata, valorizzando semmai le piante endemiche (cactus e parenti, parchi nell’uso dell’acqua) e stimolandoli all’utilizzo dello xeriscaping, un tipo di giardinaggio basato sul pietrisco bianco, rocce e ciottoli alternati a cactus e aloe. Quando le palme che si vedono in giro non sono di plastica vuol dire che qualcuno le ha piantate facendo l’equazione bellezza = risparmio d’acqua.
Altra caratteristica di Vegas ignota ai più, soprattutto nella periferia in costante crescita, è il proliferare dei mall, centri commerciali a cinque stelle. I grandi capitali finiscono non solo in casinò faraonici, ma anche in città dello shopping faraonico. Da qualche anno ha fatto un irruente ingresso l’outlet, parola che noi italiani abbiamo imparato benissimo. Grandi Firme a prezzi scontati, non necessariamente per acquistare maglie Ralph Lauren con i buchi sotto le ascelle o Nike con le suole scollate. I turisti di mezzo mondo accorrono come mosche sul miele, spendono e spandono. Questo loro vogliono da Las Vegas, questo Las Vegas dà loro.
Las Vegas, un’avventura anche catodica
Chi non ha visto almeno una puntata della serie televisiva Las Vegas scagli la prima pietra. Prodotta dall’NBC e in Italia trasmessa su Rai Due e SKY (Fox), narra le avventure dello staff del Montecito Resort & Casinò, istituzione che nella realtà non esiste ma che assomiglia terribilmente al Mirage. L’eterna lotta fra bene e male qui si consuma nei fantasiosi tentativi di un esercito di ladri professionisti, in puro stile Ocean 11 e sequel. Le vie della fantasia truffaldina sono infinite, ma pure le contromisure degli eroi del Montecito non sono da meno. A capo della baracca sta un attempato ma sempre-sulla-breccia James Caan, qui nelle vesti di Edward ‘Big Ed’ Deline, ex agente della CIA (da notare che Big Ed suona come Big head, ‘testone’ o, se vogliamo, ‘geniaccio’). Il Montecito ha un nome da difendere, vantando i sistemi di sicurezza più all’avanguardia del creato. Non si può dunque far alleggerire dal primo furbastro che passa, non importa quanto le sue tecniche siano sopraffine. Sullo sfondo, o ai tavoli da gioco come ‘cammei’, suonano o appaiono nomi famosi della musica o di Hollywood. Gli spettatori li riconoscono e Las Vegas si lustra le medaglie.
Con oltre 140.000 matrimoni civili all’anno, ‘Vegas’ è una macchina non solo per fare/perdere soldi. Tutti i grandi alberghi offrono ‘pacchetti-matrimonio’, spesso in linea con lo stile del luogo (all’Hilton potrete farlo su un ponte replica di quello dell’Enterprise, per i fanatici di Star Trek) e in combutta con agenzie turistiche che vendono il tutto-compreso. La burocrazia in materia qui è ai minimi storici: in Nevada bastano poche ore per inoltrare la domanda e 16-17 anni d’età, a seconda della contea. I candidati non devono essere sposati secondo i registri nazionali, e non è richiesto loro alcun esame del sangue (prassi comune in molti altri Stati). A celebrare il rito una ridda di wedding chapels, piccole cappelle in stile fast-food, sia civili sia religiose (cristiane, protestanti, ebraiche). Capita, trascinandosi lungo lo ‘Strip’, di vedere coppiette fresche di chicchi di riso. La cosa, di recente, è molto in voga anche tra i giovani artisti delle grandi città, che considerano il kitsch di Las Vegas molto cool, quasi una installazione vivente dell’arte a tutto campo. Poi ci avete ripensato? Nessun problema, così come vi siete sposati potrete divorziare al volo. Pagando, ovvio. Se nei quartieri popolari di New York le agenzie specializzate offrono divorzi a soli 399$, a Las Vegas la cosa è ancor più semplice, visto che non è richiesto un periodo obbligatorio di separazione legale. Qui il divorzio è così facile che la gente viene apposta dagli altri Stati.
Non sembra, ma ‘Vegas’ ha pure un po’ di storia…
Specie di oasi nel deserto del Mojave, nella metà dell’Ottocento Las Vegas apparteneva al Messico, per passare agli Stati Uniti nel 1855. Allora vi giunse una trentina di missionari mormoni con l’intento di convertire gli indiani Paiute. Nei pressi dell’attuale downtown fu costruito un fortino che fungeva da stazione di posta lungo il cosiddetto ‘corridoio mormone’, la lunga via di comunicazione tra Salt Lake City e la neonata colonia di San Bernardino, in California. Il villaggio vero e proprio fu fondato il 15 maggio del 1905, allora parte della contea di Lincoln. Solo quattro anni dopo fu istituita la contea di Clark e Las Vegas fu dichiarata ‘città’ nel 1911. A lungo importante snodo ferroviario verso la California, Las Vegas crebbe notevolmente dopo la costruzione della grande diga Hoover (1936), la quale formò il bel lago Mead. Già cinque anni prima qui era stato legalizzato il gioco d’azzardo: la combinazione del gambling e del nuovo resort lagunare ne fecero un centro di primaria importanza turistica. Ai giocatori e ai turisti, poi, si aggiunsero i militari della vicina base aerea di Nellis. Qui e nel Nevada Test Range, durante buona parte della ‘Guerra Fredda’ (anni Cinquanta e inizio Sessanta), si fecero numerosi test nucleari a livello del terreno, continuati sottoterra dopo la firma del trattato dell’Atmospheric Nuclear Ban (1962). Risolte le questioni belliche, da allora Las Vegas si è dedicata a ciò che più le compete, il business del gioco, crescendo come poche altre città degli Stati Uniti.
ALBERGHI
Bally’s Las Vegas
3645 Las Vegas Boulevard
South Las Vegas
Tel. (001) 702-739411
www.ballyslasvegas.com
In posizione strategica, nel cuore dello ‘Strip’, è un grande albergo-casinò, un istituzione della città. Dal pianterreno, zigzagando tra le slot-machine, si raggiunge il Paris, dove si fa colazione. Unica pecca: lunghe code alla reception.
The Venetian Resort
3355 Las Vegas Boulevard
South Las Vegas
Tel. (001) 702-4141000
www.venetian.com
Oltre 4000 camere e 19 ristoranti, all’ombra del campanile di San Marco. Se, dopo una notte passata nella Poker Room, avete bisogno di una boccata d’aria, per 16$ a persona (più mancia) potete prendere una gondola e fare un giro nel Canal Grande. Per vivere un’avventura surreale.
Bellagio
3600 Las Vegas Boulevard
South Las Vegas
Tel. (001) 888-9876667
www.bellagio.com
Quasi 4000 camere, nel cuore dello’Strip’. Tra i suoi ristoranti va citato l’Epicurean Epicenter, dove gli i cuochi si esibiscono nella preparazione di piatti toscani sotto gli occhi dei commensali. Per digerire, nulla di meglio dello spettacolo della mega-fontana ‘musicale’ all’esterno.
RISTORANTI
Planet Hollywood
3667 Las Vegas Boulevard
South Las Vegas
Tel. (001) 702-7855555
Benvenuti nell’americanata più americana che ci sia. Fra i ritratti, le foto e i gadget dei VIP di Hollywood si può mangiare in una serie di ristoranti tematici (giapponese, messicano, piatti di mare, buffet). Per la cucina classica americana (hamburger con patatone, bisteccone) c’è lo Strip House (55$ a persona il costo medio).
Eiffel Tower
3655 Las Vegas Boulevard
South Las Vegas
Tel. (001) 702-9486937
All’undicesimo piano della Torre Eiffel, sognando la Senna mentre si osserva, dall’alto, lo spettacolo della fontana ‘danzante’ del prospiciente Bellagio. Cucina francese piuttosto elaborata, firmata dallo chef Joho, è aperto solo alla sera.
Lahaina Grill
4570 South Hualapai Way
Summerlin
Tel. (001) 702-309-9911
Cucina hawaiana, per provare un’esperienza differente. Sempre aperto (24 ore), offre piatti esotici ed eleganti, inclusa un’abbondante scelta di sushi. Costo adeguato.
Nove Italiano
4321 W. Flamingo Road
West of the Strip
Tel. (001) 702-9426800
Per chi non può rinunciare alla nostra cucina, ecco uno dei ristoranti più gettonati di Vegas. Situato al cinquantunesimo piano della Palm’s Fantasy Tower, è aperto solo a cena. Costo elevato (minimo 50$ a persona). Non fate troppo caso alle doppie consonanti impazzite del menù: sono così in tutti i ristoranti italo-americani.
Pubblicato su Smoking, Viaggiando
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