sabato 1 dicembre 2012

UNGHERIA - BUDAPEST, SOTTO LA NEVE


Già nel periodo socialista Budapest era una città particolare, che si distingueva in buona misura dalle altre capitali dell’Est. Lì comparve uno dei primi, se non il primissimo, McDonald’s del blocco comunista (con file chilometriche di clienti), alcuni tassisti appendevano bandierine americane allo specchietto retrovisore, le merci giunte chissà come dall’Europa Occidentale sembravano più abbondanti che altrove. Una ragazza cilena che conobbi nel 1988, venuta fin nel cuore dell’Ungheria dalla lontana Patagonia per vivere in campi di ‘lavoro volontario’, mi disse che «Budapest è capitalista, ma è la provincia magiara che rappresenta la vera anima socialista del paese». La caduta del Muro non fece che confermare l’impressione di chiunque visitasse la città: una gran voglia di vivere, lavorare liberamente, uscire dal grigiore e da schemi ormai divenuti insopportabili.



Negli ultimi anni il boom economico e la trasformazione della vita, così come in tutte le ex capitali socialiste, sono divenuti anche troppo percettibili: nuovi ricchi con magnifiche auto comprate in Germania o in Austria, nuovi poveri giunti dai paesi limitrofi, telefoni cellulari ostentati che trillano un po’ dovunque, vetrine sfavillanti di fronte a un’economia generale ancora modesta, fast-food centuplicati di numero. Il fascino di questa grande città - vi abitano oltre due milioni di persone, pari al 20% dell’intera popolazione ungherese, in costante crescita -, nonostante uno sviluppo disordinato che mescola anarchicamente magnifici palazzi ottocenteschi, obbrobri di cemento popolare del Dopoguerra e nuovi, sfavillanti, alberghi di lusso, è comunque grande: forse proprio per la commistione delle decine di etnie che hanno formato il popolo ungherese, e che oggi influenzano il gusto del vivere con una vasta gamma di sfumature. Poche città come Budapest, in effetti, nella storia hanno subito tanti influssi dai popoli che le hanno conquistate e abitate. Già i romani, per esempio, si insediarono qui, nella loro Aquincum, nel 150 d.C. Ma erano stati preceduti dalle tribù balcaniche, da sciti, cimbri, illiri, celti e traci; e furono seguiti dagli unni di Attila, dagli ostrogoti, dai longobardi, dai gepidi e dagli avari. Solo nell’896 i magiari, guidati da Arpàd, il leggendario gyula (condottiero), conquistarono questa città - allora non ancora tale - e la regione circostante. Ma non era finita: nel 1241 arrivarono i mongoli che, approfittando del fatto che la Duna (il Danubio, che divide in due la città) fosse ghiacciata, e non ancora attraversata da ponti permanenti, galoppavano sul fiume durante i loro attacchi sanguinari. E poi i turchi (con i loro bagni termali, una delle migliori eredità della storia), gli austriaci (con il loro paternalismo), i tedeschi (con le loro bombe, che distrussero tutti i ponti fra Buda e Pest) e i sovietici (con i loro carri armati)... La posizione strategica di questa città e di questo piccolo paese, tra Oriente e Occidente, da sempre sembra averne condizionato il destino.





Dagli anni Novanta Budapest è una delle città dell’Est più visitate dagli italiani, così come la ‘cugina’ e vicina Praga. Quest’ultima, però, conserva un sapore più antico, medievale, mentre Budapest, in gran parte ricostruita sul lungofiume dopo i massicci bombardamenti dell’ultima guerra, si offre in maniera meno intima. I suoi grandi edifici, di ieri e di oggi, le sue larghe vie, si svelano subito in tutta la loro grandezza, vogliono essere visibili da distanza. Non a caso, da alcuni, la capitale ungherese è stata (generosamente) ribattezzata come la ‘Parigi dell’Est’: imponente e volutamente svelata, senza grossi segreti o labirinti di piccole vie oscure, come alcuni quartieri della capitale francese. La conferma di ciò si ritrova nei suoi monumenti più massicci - come l’enorme Parlamento (Orszàghàz, del 1902: è composto da circa settecento stanze e diciotto cortili) -, oppure nei grandi ponti che collegano la città vecchia, Buda, con quella nuova e frenetica, Pest. A unire i due quartieri per la prima volta ci pensò Istvàn Széchenyi, un aristocratico di spirito liberale che, nel 1848, decise di sbarazzarsi di un modo di vivere antico e di aprire il paese al famoso ‘progresso’. Il vecchio ponte provvisorio, che collegava le due sponde durante la bella stagione - in inverno il ghiaccio forma una specie di asfalto impenetrabile, quasi un’autostrada -, fece posto definitivamente al Ponte delle Catene (Széchenyi Lànchìd), costruito dall’architetto britannico Clark. Al nuovo ponte ne seguirono altri, e la città visse il proprio boom. Ma la parte vecchia, arroccata sulla collina di Buda, attorno al quartiere del Borgo o del Castello, nonostante lo sviluppo seppe conservare la propria anima, più antica, intima e monumentale al tempo stesso. Qui, ad esempio, si trovano il Bastione dei Pescatori, da cui osservare il ‘bel Danubio Blu’, e l’attigua chiesa di Mattia, un vero e proprio tesoro dedicato al re illuminato che nel XV secolo si sposò in questo tempio. All’interno, se i tesori costituiti da vetrate, affreschi e bassorilievi non fossero sufficienti, si possono far luccicare le pupille ammirando tutto ciò che è conservato nel Museo di arte sacra, che si snoda attraverso la struttura della chiesa stessa: corone, abiti da cerimonia, ostensori, icone, calici, reliquiari, altari.







Attraversata la Duna, invece, troviamo la città nuova, frenetica e sfavillante come le vetrine ricche di ogni merce ipotizzabile di Vàci utca, la via-passerella dello shopping, l’instancabile motore commerciale della città. Qui Budapest offre la sua concezione di presente e di futuro: bellissimi negozi di artigianato - primi fra tutti i costosi ricami floreali provenienti da Kalocsa e Mezokovesd -, ristoranti italiani e modernissimi fast-food, grandi magazzini per l’abbigliamento e l’elettronica, agenzie di cambio e di turismo. A un’estremità di questa via si erge il grande mercato centrale, ristrutturato di recente e anch’esso ricchissimo: delizie culinarie dai nomi incomprensibili al pianterreno - l’ungherese è considerata una delle lingue più difficili dell’universo -, souvenir a quello sopraelevato. Dalla parte opposta di Vàci utca si apre la grande piazza Vorosmarty, permeata dal profumo della celeberrima pasticceria Gerbeaud (http://www.gerbeaud.hu/). Fra le tante concorrenti, tutte ottime, questa è la numero uno. Nonostante i prezzi siano un po’ più alti che altrove, ogni cosa è al di sopra della media. Le paste, sia dolci sia salate, sono un concentrato di bontà (immancabile la torta Dobos), il servizio ottimo, e il luogo una specie di museo dei profumi. Risale al 1883, anno in cui fu acquistato da un pasticcere svizzero. I marmi sembrano essere impregnati dagli aromi secolari.






Budapest, in effetti, vanta - non a torto - una buona fama di città che unisce buona cucina a vita sociale, ore piccole a gusto della tavola. Un altro di questi templi del lieto vivere è il New York Kàvéhàz (Erzsébet korùt 9, metro Blaha Lijza tér, http://www.newyorkcafe.hu/). All’interno del massiccio e cupo Palazzo New York, in puro stile Art Nouveau, si trova questo magnifico caffè-ristorante, noto durante il regime comunista con il nome di Hungaria. Da sempre ritrovo degli intellettuali magiari - e, oggi, anche di molti turisti -, è frequentato sia per i suoi piatti sia per l’atmosfera rilassata e rétro, favorita da un’architettura estremamente accogliente. Il simbolo per eccellenza della migliore cucina magiara (chi non assaggia il porkolt, da noi erroneamente ribattezzato gulash, non può dire di essere stato in Ungheria), però, è il ristorante Gundel (http://www.gundel.hu/site/index.php?page=en), un’istituzione della città fin dal 1894, anno della fondazione. Situato lungo il perimetro del parco Vàrosliget e a fianco dello zoo (triste come ogni suo simile), questo tempio della buona tavola andrebbe sperimentato almeno una volta, nonostante i prezzi da capogiro. Il parco vicino, soprattutto se visitato in pieno inverno, quando la neve arriva al ginocchio, può sembrare surreale, uscito da una storia di Walt Disney. Il castello Vajdahunyad, che si erge al suo centro, poggia su un isolotto circondato da un laghetto, dove i volatili attendono tempi migliori. La struttura del castello, così come quella della piccola Cappella Jàk - arricchita da fregi un po’ inquietanti (guglie affilate, piccoli animali in pietra che fanno strane smorfie) -, non lascia dubbi: fu costruito imitando una fortezza della Transilvania, verso la fine dell’Ottocento.






Un altro fra i tanti pregi di Budapest è quello dei bagni termali. Numerosissimi, tutti antichi, offrono un salto nel passato ottomano e una ventata di benessere fisico, ancor più tangibile se si è reduci da una camminata tra la neve. Il più sontuoso e noto, quello dell’Hotel Gellért (del 1918), è talmente bello da costituire, di per sé, un’attrazione turistica. Fra le code alla biglietteria c’è chi è giunto fin qui per fare un bagno o un massaggio, ma anche chi vuole semplicemente curiosare. Sempre pieni, sia in estate sia in inverno, i bagni sono un’istituzione per gli ungheresi, che li frequentano, oltre che per purificarsi corpo e anima, anche per socializzare, giocare a scacchi, rilassarsi.



Molti altri sono i luoghi e i monumenti degni di nota e di visita - dalla Galleria Nazionale, anch’essa sulla collina di Buda, all’interessante Museo ebraico, ospitato nella grande Sinagoga di Dohàny utca -, ma se si vuole concludere ‘in bellezza’ un viaggio surreale attraverso la città - reso ancor più tale dalla neve e dal ghiaccio che ricopre la Duna, con i gabbiani che si lasciano trascinare sui lastroni dalla corrente -, non si possono mancare altri due luoghi, collegati da un filo conduttore. Dato per scontato che il passato socialista è stato archiviato - le Mercedes ce lo ricordano incessantemente, qualunque siano le nostre convinzioni politiche -, si può affrontare un salto nel passato prossimo, con spirito storico. Arrivare al parco Szobor (Parco delle Statue), situato nell’estrema periferia della città, con i mezzi pubblici è un po’ un’impresa (bisogna cambiare qualche autobus), ma ne vale la pena. Qui, confinate lontano dagli sguardi quotidiani, si ergono nella loro magnifica impotenza le gigantesche statue degli eroi comunisti, almeno quelle scampate alle distruzioni di piazza della fine anni Ottanta. È un luogo piuttosto inquietante, addirittura fantascientifico se visitato con la neve, unico nel suo genere.


Per approfondire questo filone e fare una cosa utile al tempo stesso, infine, si può cenare da Marxim (Kisròkus utca 23, II settore, Buda, metro Moszkva tér, http://marximpub.hu/). È questa una pizzeria ‘tematica’, piuttosto kitsch, frequentata soprattutto dagli adolescenti e ispirata al passato comunista: i tavolini sono circondati da filo spinato e i muri decorati con memorabilia - murales, gagliardetti, bandiere - del mondo socialista. Anche le pizze, ottime ed economiche, oltre a essere autentiche (vero pomodoro e origano), sono ‘a tema’. Alcuni nomi: A la Leninvàrosese, A la Sztàlinvàrosese, A la Anarchismo, A la brrr...AVO (il nome dell’ex polizia segreta), Kulàk (Gulag). La più grande è la Marximàlis à la Balsoj.

Pubblicato su Qui Touring


Su Budapest, leggete il racconto Alpini e clarini, da L'importante è muoversi
http://pietrowrites.blogspot.it/2012/03/limportante-e-muoversi.html


altre foto di Budapest su:


FILIPPINE - MANILA, DIVISORIA MARKET



Caotico, caldo, rumoroso, sporco. E, come tale, bellissimo (ma non per tutti gli spiriti). Se si ama il contatto umano e si è nella grande Manila non si può mancare di fare un salto al mercato noto soprattutto per i tessuti, nel quartiere di Binondo (un taxi il modo migliore per raggiungerlo). Fate una colazione abbondante prima di visitarlo, avrete bisogno di energie (e tolleranza per il prossimo gomito-a-gomito), e lasciate in hotel i gioielli, facendo attenzione alle mani randagie a caccia di portafogli. L’ideale sarebbe arrivarci alle 7 del mattino, così da poterne fuggire verso le 10, quando il calore inizia a incalzare. 
















Prezzi abbordabili per tutto, ma chi non ama il fai-da-te potrebbe trovare utile l’uso di una guida locale, sia per non perdersi nella babele di viuzze e bancarelle, sia per ottenere prezzi migliori. Vi si trova ogni cosa ipotizzabile, da tutti i tipi di merce taroccata (DVD, scarpe, orologi, t-shirt di ‘stilisti’, jeans di marca a metà prezzo) a montagne di frutta tropicale (se è stagione sarete travolti dall’olezzo forte del delizioso jackfruit), camion arrivati a scaricare giganteschi cubi di ghiaccio, giocattoli (soprattutto al pianterreno del Divisoria Mall). Bancarellari perlopiù cinesi, riconoscibili dagli scarsi sorrisi. Per riprendersi dalle fatiche, una bella acqua di cocco fresca e/o un pranzo in uno degli ottimi ristoranti cinesi della zona. Per uno snack, un’istituzione è il deli Eng Bee Tin (628 Ongpin Street, engbeetin.com), specializzato in hopia, ‘biscotto buono’ filippino ripieno di pasta di fagioli, in origine giunto dal Giappone.

Pubblicato su Panorama Travel