sabato 1 dicembre 2012

STATI UNITI - SANTA CLAUS SI È FERMATO A TIMES SQUARE


Il natale più natale che c’è. A New York

Posseduti dalla febbre dello shopping, a natale più che mai. Questo sembrano essere i nostri compatrioti, in buona compagnia di mezzo mondo, crisi o non crisi, soprattutto lungo il tratto di Fifth Avenue che va da Grand Army Plaza al Museum of Sex, a Manhattan. Qui si concentrano le vetrine più scintillanti, da Tiffany agli stilisti italiani e francesi, potenti calamite di un’apparente follia collettiva del consumo natalizio. Un tempo si diceva L’importante è il pensiero, frase che, lungo questo tratto di strada in occasione del ‘santo’ natale, è un motto solo virtuale. Qui, in realtà, L’importante è spendere. E gli italiani, oggi, nonostante la crisi, sembrano aver guadagnato la medaglia d’oro alle olimpiadi di chi spende di più. Un tempo i giapponesi erano sinonimo di fotografia e di shopping ai limiti della psicosi, oggi lo siamo noi. E lo sanno bene i ragazzi che, sempre con il sorriso sulla bocca, lavorano instancabilmente all’Apple Store, ricevendo quotidianamente orde di Italians lì con la smania di portare a casa l’affare del secolo. Un computer, l’ultimo iPod, un telefono cellulare satellitare con servizio di frigobar. Ciò che importa è mantenere le promesse fatte a figli, amici e nipoti. Amici degli amici. L’idea è che tutto qui costi meno, senza badare troppo alle sottigliezze tecniche, tipo tastiera del computer priva di accenti italiani o telefoni cellulari di ultimissima generazione che da noi non funzionerebbero mai. Meglio andare sul sicuro, dunque. Dietro il cubo trasparente dell’Apple, moderna opera faraonica dedicata al business tecnologico, basta entrare - a natale in coda! - nel Tempio Moderno del Giocattolo, ossia GEO Shwartz, nome ostico per un negozio uscito dal sogno collettivo di ogni bimbo del globo. Qui veniamo catapultati alle origini della nostra infanzia, ma senza perdere il passo con i tempi. Giocattoli per tutti i gusti e quasi tutte le tasche. È impossibile uscirne a mani vuote e senza avere speso almeno un quarto d’ora a bocca aperta osservando l’infermiera delle bambole. Le bambine ricche portano qui le loro creature, fanno fare loro una visita completa, con tanto di stetoscopio e misuratore di pressione, cambio pannolini e, le più esigenti, servizio di baby-sitting notturno. Ma non è finita, poco oltre ci sono i gioielli spettacolari di Tiffany, gli articoli da basket - qui rigorosamente basketball - dell’NBA, le cioccolate infiocchettate della Lindt, le vetrine matte allestite per il natale. Queste, vere e proprie opere d’arte, sono uno spettacolo natalizio a sé, con la gente che fa la fila per guardarle, fotografarle, fare oooohhh. Fra le più gettonate, lungo la Fifth e nei dintorni, Lord & Taylor (424 Fifth Avenue e 38th Street), Bergdorf Goodman (Fifth Avenue e 57th Street), Saks (611 Fifth Avenue), Barneys (660 Madison Avenue e 61st Street), Bloomingdales (Lexington Avenue, tra la 59th e la 60th Street) e l’arcinoto Macy’s (Herald Square, tra la 34th e la 35th Street, lungo la Broadway). Se, sopravvissuti a tutto ciò, gli occhi non vi fanno ancora male, conservate qualche grado della vista per le luminarie e per l’infinito albero di natale alla base del Rockefeller Center. Fatevi spazio fra le orde di turisti, guardate gli instancabili pattinatori e recatevi alla base dell’alberone. Ci si sentirà piccoli piccoli, di fronte all’immensità del Natale.





Luce, di tutti i colori
La luce può essere lo spunto per un viaggio newyorchese natalizio, all’inseguimento degli spettacoli luminosi più interessanti - le vetrine della Fifth e dintorni sono solo l’aperitivo. Lo sconfinato Central Park, all’angolo con Grand Army Plaza, chiama, soprattutto nelle assolate giornate invernali, con o senza neve. Qualche giostra qua e là, in puro spirito natalizio. Altra area verde, infinitamente più piccola, è il Madison Square Park, giardino alla base del Flatiron Building. Qui gli alberi vengono illuminati con migliaia di luci e lucette, dando un colpo d’occhio formidabile. Se la temperatura esterna è inaffrontabile, meglio rifugiarsi nella spettacolare stazione centrale, il Grand Central Terminal (East 42nd Street e Vanderbilt Avenue). Qui, oltre che delle orge culinarie nel sotterraneo e nel mercato di prelibatezze, si può godere, nasi all’insù, dello spettacolo di luci caleidoscopiche proiettate sul soffitto. La bandiera americana è di una grandezza arrogante e si rischia il torcicollo, ma ne vale la pena. Bevuto un caffè rovente si può tornare fuori e raggiungere di nuovo Grand Army Plaza (tutto è Grand, da queste parti). Venite qui qualche giorno prima di natale (quest'anno dal 9 al 16 dicembre), quando inizia l’Hanukkah, il Festival delle Luci ebraico. 


Nella piazza il sindaco e il rabbino capo accendono simbolicamente i sette bracci di una gigantesca menorah - il candelabro ebreo -, dando il via a otto giorni di festa. Periodo di gioia e di auguri per la folta comunità ebraica di New York, ligia osservatrice del calendario religioso e delle sue gioie (rari momenti di festa) e dolori (infinite regole e proibizioni). Poco più in là, dalla parte opposta di Central Park, si può raggiungere il Lincoln Center, dove un albero di natale ‘concorrente’ di quello del Rockefeller Center viene illuminato con tutti gli onori. Alla cerimonia di accensione partecipano diversi VIP della tv, cori di gospel, Mickey Mouse a grandezza umana, band musicali e famiglie con prole estasiata per tutto quel luccichio. Broadway Avenue e i suoi teatri è la regina newyorchese delle luci. Chi ama il musical può fare le code interminabili di Times Square e acquistare un costoso biglietto presso la biglietteria installata qualche tempo fa per rispondere alla domanda impressionante dei turisti di mezzo mondo. A proposito di luci natalizie, è proprio a Times Square che qualche giorno prima di capodanno viene issata la ‘palla luminosa’, tutta specchi e specchietti, che abbaglierà la notte del 31 dicembre, quando migliaia di persone si accalcheranno qui, al freddo polare della mezzanotte, per festeggiare il passaggio dell’anno. Spettacolo natalizio per eccellenza di Broadway e dintorni è quello delle Rockettes, che si esibiscono per dodici giorni alla celeberrima Radio City Music Hall. Le file per lo show hanno un che di biblico. Chi preferisce la natura alle cantatine, invece, dovrebbe prendere un treno della subway e raggiungere il bellissimo zoo del Bronx. Oltre che ad ammirare l’intera arca di Noè ospitata in condizioni tra le migliori possibili, a natale si può godere lo spettacolo di luci a bordo di trenini con tanto di cantastorie. Per bambini e per adulti bambini, tra bufali e orsi polari, così da sentirsi in sintonia con la stagione.


Altri riti, altri alberi, altri babbi natale
A New York, città in cui tutto convive, c’è anche spazio per l’attività anti-natalizia, come vuole il politicamente corretto. Chi è solo, in effetti, rischia di non sentirsi mai tanto solo quanto nel periodo natalizio. Le imitazioni del nostro panettone si trovano a prezzi abbordabili - tanto più stracciati tanto più ci si allontana da Midtown -, ma se non si ha con chi condividerli la festa rischia di diventare un inno alla depressione. Sentimento catalizzato dall’attività della New York City Atheists, un’organizzazione che, come dice chiaramente il nome, non lascia spazio a divinità di ogni sorta. Per controbattere lo sfavillio delle feste natalizie e la strage di alberi, l’NYCA organizza una semplice cena in un ristorante per riprendere l’antica usanza pre-cristiana di celebrare il solstizio invernale. Il loro motto è “Tired of looking for the right holiday gift for Uncle Ralph - which he's going to throw away anyway?” (“Stanchi di cercare il giusto regalo natalizio per lo Zio Ralph - che lo butterà via comunque?”). Chi, invece, non è stanco di regali, sono gli animali dello zoo di Central Park, che per un paio di settimane prima di natale ricevono leccornie, adeguatamente selezionate secondo i dettami dietetici delle specie, sotto gli occhi divertiti degli spettatori (la scena ricorda l’inizio del film di animazione Madagascar). Il ‘postino’ dei regali è Santa Claus, che in questo periodo ha un gran da fare, almeno a giudicare dalle quantità che ne circolano in città. Il ‘la’ lo dà il Santa della sfilata dei grandi magazzini Macy’s, in novembre, attraverso le vie di Midtown. Verrà seguito da un collega in pianta stabile, almeno fino a natale, nei magazzini stessi, pronto a ricevere le file di bambini ricchi di richieste. Verso l’8 dicembre un altro Santa si insedia al Museum of the City of New York, dove riceve i piccoli questuanti. Altri babbi natale, a centinaia, sono assoldati da enti caritatevoli, in concorrenza con i volontari dell’Esercito della Salvezza, sguinzagliati in giro con campanellini e canti natalizi a caccia di fondi. Babbi natali, in carne e ossa o in legno e cartapesta, decorano l’intera città, con stili variabili a seconda delle zone. Quelli del Chelsea Market sono piuttosto chic, mentre quelli senza troppi fronzoli lungo la Roosevelt Avenue nel Queens, abitata perlopiù da latinoamericani, invitano a consumare un pasto nei ristoranti colombiani ed ecuadoriani. I manichini di mezza città portano un cappello rosso sulla testa, da quelli per abiti da sposa o per modelle maggiorate del Queens a quelli terribilmente erotici della catena Victoria’s Secret. E gli alberi di natale non sanno a guardare, ‘prendono posizione’ - come direbbero gli americani - pure loro. Quello del Museum of Sex ha appesi preservativi (sigillati) al posto delle palle colorate, quello della Cattedrale di Saint John the Divine, a due passi da Harlem, porta appesi i nomi degli ultimi morti di AIDS. All’American Museum of Natural History l’albero è decorato con oltre cinquecento origami a forma di dinosauro, mentre quello del MET (Metropolitan Museum of Art) riprende lo stile più classico. E a Little Italy, per rimanere in tema, i negozi di pasta fresca espongono bellissime composizioni tricolori a forma d’abete. Si sa, anche lo stomaco vuole la sua parte, a natale.


Il bagno di capodanno a Coney Island
Poco dopo natale la festa continua. I membri del Polar Bear Club, un nome una garanzia, vivono il loro momento di gloria a Capodanno, quando coadiuvati da altri folli newyorchesi o di passaggio si gettano seminudi nelle gelide acque dell’Atlantico presso l’inquinata ma gloriosa spiaggia di Coney Island. Lo fanno anche durante il resto dell’anno, seppure con meno clamore. Il loro scopo, oltre a quello di sfidare Madre Natura, sarebbe quello di promuovere una maggiore pulizia dell’acqua, qui di solito inquinatissima. Il battesimo collettivo si tiene alle ore 13 del 1° gennaio - ma è bene arrivare almeno un’ora prima, così da vedere un interessantissimo campionario di umanità assortita -, lungo la Boardwalk (passerella di legno che costeggia la spiaggia) all’altezza di Stillwell Avenue. Alcuni, con ancora buone quantità di alcol nel sangue lasciate dai bagordi della notte precedente, sembrano immuni al freddo. Altri sull’orlo del collasso termico. Attenzione: la follia è contagiosa e l’energia collettiva riscalda gli animi. Per precauzione, anche se fare un bagno qui oggi è l’ultimo dei vostri piani, portatevi un costume da bagno, non si sa mai (malissimo che vada un’ambulanza vi attenderà all’ingresso della spiaggia).



Kwanzaa Posadas y Pastorelas
New York, città dalle mille minoranze, ognuna con le proprie tradizioni, orgogli e rivendicazioni. Il natale sembra aver stimolato, oltre l’Hanukkah, diverse altre festività concomitanti, non necessariamente legate alle celebrazioni cristiane. La grande comunità afro-americana, per esempio, dal 1966 celebra il Kwanzaa (o Kwanza), una festa che prende spunto nella tradizionale festività africana del raccolto. Dura sette giorni, a partire dal 26 dicembre e fino al 1° gennaio. Sviluppatasi come evento a sé in terra statunitense, è imperniata sull’importanza della famiglia. Da non perdere lo spettacolo annuale presso l’American Museum of Natural History (79th Street e Central Park West). Qualche giorno prima, intrisa invece di valori cristiani, si tiene la festa messicana di Posadas y Pastorelas (quest'anno il 16 dicembre). Anch’essa imperniata sull’importanza della famiglia, prevede una Posada, tradizionale processione cantata, e una Pastorela, commedia religiosa di ambientazione bucolica. L’evento si conclude con la rottura di una piñata (contenitore di cartapesta ripieno di dolciumi, da spaccare con un bastone) per la gioia dei bambini. Da non mancare la celebrazione del 20 dicembre pomeriggio, presso il Museum of the City of New York (1220 Fifth Avenue e 103rd Street).


Questioni linguistiche
Mentre da noi vengono addirittura bocciate leggi sull’omofobia, negli USA - e in particolare a New York, città costantemente sull’orlo di una crisi di nervi - la sensibilità nei confronti di qualunque ‘diversità’ è sempre ai massimi livelli. Il politicamente/eticamente corretto domina qualunque aspetto della vita, dunque il concetto stesso di diversità, qualunque essa sia, è bandito. Qualsiasi parola che sottolinei in maniera anche lontanamente negativa l’appartenenza a una congregazione più o meno volontaria (quella dei grassi, degli afro-americani, degli omosessuali ecc.) è rigorosamente tabù. Qualche tempo fa è finito sotto accusa persino il Columbus Day, sfilata degli italo-americani del 12 ottobre, per questioni di orgoglio nativo (gli indiani d’America, qui native Americans, non hanno ancora buttato giù il trattamento di riguardo ricevuto dai bianchi). Una conoscente grafica di New York mi ha confidato come abbia avuto problemi a disegnare una Christmas card - biglietto d’auguri natalizio - per la compagnia in cui lavora. L’oggetto, secondo la sgridata del boss, conterrebbe in sé una parola (Christ) scorretta nei confronti delle altre religioni. Meglio, secondo alcuni, i neutrali Happy Holidays o Season's Greetings...

Pubblicato su Viaggiando


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