giovedì 1 dicembre 2011

NICARAGUA – CULTURA, A FETTINE


Corn Island, l’inferno delle tartarughe

Corn Island, isola idilliaca situata lungo la costa atlantica del Nicaragua, è un paradiso in terra, ma non per tutti. Andrebbe boicottata, almeno finché l’antica tradizione locale di ammazzare le tartarughe marine non venga abbandonata e gli animali (vivi), semmai, siano convertiti in attrazione ecoturistica, come avviene già da anni nel vicino Costa Rica. A Corn Island, infatti, ancor oggi è possibile acquistare e mangiare un’intera tartaruga vecchia di qualche secolo per circa 25$. Poche centinaia di chilometri a sud, nel parco nazionale di Tortuguero (Costa Rica), i turisti pagano 60-100$ al giorno per escursioni che permettono di osservare le tartarughe mentre depongono le uova senza toccarle né disturbarle con i flash. Sull’isola, invece, basta camminare fra Briggs Bay e Picnic Beach per incontrare un angolo d’inferno. In un capannone giacciono a pancia in su, vive e con le pinne legate, una dozzina di tartarughe, sempre pronte per essere affettate. Vengono mantenute così per venticinque giorni, semivive e ‘fresche’ grazie a qualche secchio d’acqua che gli viene gettato addosso ogni tanto. Lo spettacolo è disgustoso, ma nessuno sembra fare nulla. Le organizzazioni per la difesa degli animali pare che non abbiano ancora scoperto questo ennesimo misfatto e la gente del posto consuma impunemente la carne di tartaruga giustificando tutto ciò come un aspetto della loro cultura. Quando di tartarughe non ce ne saranno più finirà anche la cultura? I pescatori si dicono ‘ecosensibili’ perché pescano solo quelle adulte e ogni anno interrompono la caccia per ben tre mesi, permettendo così la deposizione delle uova. A volte tuttavia le tartarughe pescate sono vecchie di secoli e la matematica non è un’opinione.






Che cosa fare? Qualche turista ricco e sensibile che, ogni tanto, incappa in questo orrore, decide di comprarle tutte e le ributta in mare, facendo attenzione che il pescatore non faccia dietrofront. Ma non è certo questo il sistema. Innanzitutto bisogna far conoscere il fatto agli enti che si battono per la difesa dell’ecosistema, peraltro solo agli inizi in Nicaragua. Poi, a livello istituzionale, sarebbe doveroso far pervenire qualche protesta ufficiale alle varie sedi consolari sparse per il mondo. Infine, individualmente, al momento possiamo fare una sola cosa: boicottare l’isola, sottolineando il perché di tale azione a ogni nicaraguese che incontreremo durante il nostro viaggio.

Pubblicato su Diario, Panda










domenica 20 novembre 2011

CINA – CANI A MERENDA


L’uomo è una bestia

‘Cani ammazzati per essere mangiati? Ma dài, è un luogo comune…’
Così, qualche tempo fa, un’amica fashion blogger aveva replicato al mio disgusto per quanto avevo visto nel reparto macelleria del mercato di Yangshuo, nel Sud della Cina.
‘Luogo comune?? Mo’ beccati questa’.
E, via internet, le inviai la foto qui sopra, così da essere più chiaro. Urla (e-mail) di chi sta per vomitare, dall’altra parte del computer.
Non so voi, ma io non ci vedo nulla di comune, in questo luogo.
Prima di entrarci, avevo letto sulla Lonely Planet degli orrori che vi si annidavano, dunque vi ero andato mentalmente preparato.
Una volta lì, mi sono reso conto che per certe cose non si può mai essere preparati.
Preceduto da reparti di macellazione di altre bestie, l’angolo dell’orrore massimo è presto scovato, basta guardare che cosa giace impiccato sui banchi del mercato.
Visto ciò che non avrei mai voluto vedere, la Nikon mi è partita in automatico. Ho lasciato in albergo ogni remora e timidezza nel fotografare, e ho iniziato a scattare più in fretta possibile. Il primo macellaio, quello di questa foto, dopo avermi guardato per un po’ con aria minacciosa, a un certo punto ha presto la mannaia e l’ha battuta violentemente contro il ceppo da boia sul quale ammazza gli animali. Il botto è stato deflagrante, ma la mia Nikon non si è impressionata, né tantomeno la mia mano.
Sullo sfondo, in alcune gabbie, ammassati i cani ancora vivi, in attesa di essere scannati. Finito con il primo macellaio sono passato al secondo, intento a servire un po’ di clientela bisognosa di spezzatino. Ai miei click ha reagito con bestemmie cinesi, lingua che per fortuna non parlo. E visto che le chiacchiere non mi fermavano, ha reso più concreto il suo pensiero politico iniziando a bersagliarmi con pezzetti di carne appena macellata. Un paio hanno raggiunto il mio cappottino nero finto-Armani, in realtà una copia di uno stilista di Santo Domingo acquistata per andare a un funerale qualche tempo fa. L’abito giusto per il luogo giusto. Lo spezzatino - per fortuna senza sugo, se non sangue fresco - catapultatomi addosso non ha scalfito la mia fermezza nell’immortalare lo schifo che stavo vedendo. Ciliegina sulla torta, una bella gabbia di gatti, vivi pure loro, ai piedi del banco del macellaio. In attesa di essere scannati anche loro, ça va sans dire. Per chiudere in bellezza, il terzo macellaio, con dolce consorte. L’impresa familiare è dedita al reparto spellatura, previa bollitura. Un vero schifo a dirsi, immaginatevi a vederlo e annusarlo.









Ho lasciato il mercato di Yangshuo con una voglia incommensurabile di vendetta, in un mix di film hollywoodiani alla Rambo, francescanesimo pro-Sora Natura, mamma per natale regalami un M-16 che poi ripasso da ‘ste parti, appena torno fra gli umani mi iscrivo al ramo violento che è uscito da Greenpeace reputando l’associazione troppo all’acqua-di-rose. E inizio a pareggiare i conti.
Sul marciapiedi prospiciente il mercato, un paio di peones sta vendendo un cinghiale fatto a coriandoli, in un fiume di sangue. Non devono avere l’autorizzazione per farlo all’interno del mercato, dunque la testa della povera bestia giace sul marciapiedi come se fosse una sedia o un motorino. Attraverso la strada, e a un isolato mi imbatto in un ambulatorio veterinario specializzato nella cura di pets, cani e gatti domestici. A pochi passi da un ristorante che, nell’ampio menù, vanta succulento spezzatino di cane del Lingchuan.
Cina, luogo comune?
In che senso?




Per fortuna non tutti i cinesi mangiano cani e gatti. Qualche anima evoluta, perlopiù giovane, ha notato che la Madre Terra fornisce altri alimenti. Alcuni cinesi espatriati-incazzati hanno un blog molto illuminante (Sina Weibo) sulla vera Cina, molto lontana da quella dei dèpliant turistici. Il blog, ovvio, è inaccessibile all’interno della Cina, così come ogni sito che tratti di temi rognosi per l’integrità morale del glorioso, bellissimo Paese. Tra i vari temi che affrontano c’è un capitolo particolarmente impressionante, proprio dedicato al migliore amico dell’uomo in funzione di ragù. I ragazzi non ne avranno a male, se ho copiato qualche loro immagine e la riporto qui di seguito (il nemico è comune, no?). Signore e Signori, se avevate trattenuto le budella con le foto fino a qua, ora potete rilassarvi e vomitare in santa pace.






Queste immagini sono relative all’edizione del 2006 dello ‘Zhejiang Jinhua Festival della Carne di Cane’. Un evento nella provincia più medievale del grande Paese, che ha deciso di dedicare un vero e proprio festival a questa prelibatezza. Massacro venduto come specie di salsicciata-al-Festival dell’Unità (o menù a base di carne d’orso alla Festa della Padania), nella città di Jinhua, nella regione dello Zhejiang. Viste le foto, alcuni cinesi che contano si sono incarogniti, e il festival è stato cancellato. Ma state tranquilli che qualche altro subumano, prima o poi, arriverà con un rilancio della medesima ‘festa’. Dulcis in fundo, c'è un villaggio nella provincia di Hebei specializzato nel fornire carne di cane all’intera Cina. Gli indigeni ammazzano in media 2000 cani al giorno, per poi spedirli ai cultori di questa carne.








Gatti, altra brutta storia. Qualche pasdaran della difesa degli animali tempo fa è intervenuto per svelare l’orrore - l’ennesimo - fra i vagoni della stazione ferroviaria di Tianjin, nel distretto di Nankai. Alcuni volontari, avuta l’imbeccata, si sono precipitati alla grande stazione e hanno cominciato la caccia al tesoro. Finalmente, dopo lunghe ricerche, hanno scovato le gabbie con ottocento gatti vivi, ammassati. Qui sopra le immagini, da Sina Weibo, il suo nome sempre sia lodato. La voce si è sparsa, altri amici dei gatti sono arrivati, mentre chi doveva spedire le povere bestie verso qualche macello (i proprietari della carne ingabbiata) si è fatto di nebbia. Alla fine la folla di gente incarognita ha obbligato la polizia a sequestrare il carico e dirottarlo al sicuro nelle aule vuote di una scuola, finché della cosa non si è occupato la Tianjin City’s Animal Health Supervision Authority. Alla fine sembra che i gatti siano stati salvati. A quanto pare, anche nella triste Cina, c’è qualcuno vivo e dotato di cuore.





Nel 1994, a Canton, rimasi scioccato dallo ‘Snake Restaurant’, uno dei tanti che pullulavano in Cina. Il posto era famoso, tanto da essere riportato sulla Lonely Planet. All’ingresso sembrava di essere allo zoo. Tra le gabbie mancava solo il panda. Dietro le sbarre c’era tutto ciò che era ipotizzabile metterci. Opossum, gatti, tartarughe, conigli, un pastore tedesco - pensate a un animale dell’arca di Noè, esclusi rinoceronti, elefanti e giraffe -, lì c’era. Non occorreva parlare né cantonese né mandarino, bastava indicare la vittima designata. Un’addetta (cameriera?) prendeva la gabbietta, la portava sul retro, e tu ti potevi accomodare a tavola, presto sarebbe arrivato il pranzetto fumante.









Ipocrisia, brutta bestia.
‘Perché, una mucca/pollo/maiale non soffre quanto un cane/gatto, nel momento in cui lo ammazzi per cibartene?’
Quante volte (troppe volte) ho sentito questa replica al mio - e per fortuna di altri - grido di orrore.
Ve lo giuro sulla testa di mia mamma: vorrei essere vegetariano, anzi, vegano (‘Perché, una bietola/zucchino/patata non soffre quanto un cane/gatto, nel momento in cui lo ammazzi per cibartene?’), ma a tutt'oggi credo di non potercela fare. Ho iniziato a concepire l'insalata come cibo alla tenera età di 46 anni, e non posso nutrirmi di sole Girelle e Buondì Motta. Oggi mi strafaccio di rucola, ma fino a poco tempo fa la consideravo erba per capre.
La colpa è senz’altro della mia amata nonna che fu, Giorgina. Lo so, non è bello dare la colpa a chi non c’è più, ma in questo caso devo sottolineare una verità storica: nonna Giorgina era la più brava cuoca bolognese del mondo, e mi ha svezzato a suon di ragù di classe superiore. Ogni sabato, lasciati parecchi neuroni sui banchi di scuola e poi andato a trovarla, affondavo compulsivamente cucchiate nel tegame del ragù appena fatto e le dirottavo in gola. Solo così riuscivo a tornare fra i vivi.
Nonna Giorgina, dunque, mi ha deformato, irreversibilmente, il DNA. Temo che rimarrò parzialmente carnivoro fino all’ultimo dei miei giorni. Lungo il cammin della mia vita, però, sono stato così bravo da riuscire a crescere un po' e limitare la cerchia delle mie vittime. Non più vitelli (bambini di mucca), conigli (hanno il naso rosa, come me) né quaglie (hanno il sapore del pasto per gli Dèi, ma mi sembra di mangiare neonati). Il montone puzza di testicoli e il castrato dei testicoli che furono. Purtroppo, nel reparto mors tua vita mea, ho dovuto lasciare creature del Signore quali mucche, maiali e polli. Non per piacere, ma per necessità indotta (nonna). Per carità, se potessi lascerei tutte le mucche del mondo a brucare erba verdissima nei pascoli della Milka o a cagare cacche sante nelle viuzze di Varanasi; i maiali, esseri splendidi, li vorrei tutti vivi a pisciarsi addosso appassionatamente e a fare pace con i musulmani; le galline a fare miliardi di uova, purché lontano dalle mie orecchie, soprattutto all’alba.
Spero, un bel giorno, di ampliare la mia black list degli animali da non mettere sotto i denti, ma temo che se non l’ho ancora fatto a quarantasette annetti suonati…


Tempo fa ho discusso con un coreano cretino sulla necessità di mangiare il cane.
‘È eccellente per recuperare forze dopo una malattia’, mi ha detto lo stolto, con un certo orgoglio imbecille da difensore della propria cultura (bandiera sventolata abusivamente troppo spesso dagli stolti e dagli imbecilli che non sanno a cosa aggrapparsi per difendere le proprie scelte scellerate).
Non poteva passare in farmacia a prendere un po’ di vitamine, anziché far scannare un povero cane? Ragionamento troppo banale, evidentemente, il mio. I coreani, d’altronde, sono cinesi con le gambe lunghe, e come tali soffrono delle stesse sfighe e manie. Ma, tornado alla domanda chiave, perché le mucche sì (mannaia) e i cani no?
Io, il mio no, di solito lo fornisco dicendo che cani e gatti hanno un’infinità di comportamenti simil-umani, che ci offrono un'impagabile compagnia, a volte una complicità, spesso migliore di quella di tanti umani. Non parlano (la nostra lingua), purtroppo, ma è come se lo facessero. Non riesco a intravvedere questa stessa capacità comunicativa in un tacchino o in un bue, spero che mi scuserete per questo. Dunque dovendo (nonna) in qualche modo mettere un po’ di ciccia sotto i denti, preferisco farlo sacrificando chi più è distante da me. Giustificazione facilona e egoistica, sono d’accordo con voi, ma al momento non riesco a trovarne una migliore.




‘Di che cosa sa il cane?’, chiesi tempo fa a un amico che viveva a Saigon.
Ci pensò qualche lungo secondo, poi mi disse:
‘Di cane bagnato.’
Il mio amico, con ristorantino italiano a Pha Ngu Lao – il quartiere di Ho Chi Min City più amato dagli italiani, anche perché con nome facile da imparare (fanculao) -, mi diede la dritta. Gira la prima a sinistra, percorri tre isolati, infilati nella stradina a sinistra.
Seguendo la mappa della caccia al tesoro, trovai la succursale locale dell’orrore. Tre-quattro ristorantini specializzati in piatti di carne. Esclusivamente di cane. Con tanto di salsicce. Da evitare alla mattina presto, quando si procede alla macellazione.
Bon apetit!






Più a Nord, nelle belle montagne del Vietnam a ridosso della Cina, convivono decine di etnie dagli abiti fantastici, coloratissimi. Sapa è la cittadina fulcro di ogni loro attività commerciale, oltre a ghetto per turisti. Poco cambia nel tempo, a Sapa. Tant’è che tornatovi a distanza di cinque anni, il vassoio - l’unico - su cui giacciono teste di cane da merenda al mercato è sempre allo stesso posto. Con un panno a coprire ciò che rimane della povera bestia, forse per non far inorridire gli occhi dei molti turisti stranieri. Nel resto del Paese è un viavai di moto guidate dai fattorini della macelleria: grandi ceste sul portapacchi, piene di maiali, polli, ma anche cani e gatti, ammassati vivi come se già fossero morti.




Sora Natura, in questi angoli del mondo, però, non lacrima sangue solo per finire negli intestini degli indigeni cannibali. Grande motivo della mattanza è anche la cosiddetta ‘farmacologia naturale’, per non parlare della più futile vanità. Pelli di bestie in via di estinzione per coprire i sellini del motorino, abiti, cappelli, gadget ornamentali di varia natura, solitamente con gusto da giostraia. Le vie della strage sembrano infinite, tanto quanto quelle della fantasia dell’uomo. Uomo, chiamiamolo così…













ANCHE IN COREA:
http://www.causes.com/causes/147116-dogs-are-food-in-korea-we-must-stop-this-cruelty?fb_action_ids=4155463378512&fb_action_types=causes%3Arecruit&fb_source=timeline_og&action_object_map=%7B%224155463378512%22%3A489921679991%7D&action_type_map=%7B%224155463378512%22%3A%22causes%3Arecruit%22%7D&action_ref_map=%5B%5D

inoltre: anche in Cina i cani hanno un'anima. Vedere per credere:

http://video.repubblica.it/natura/cina-fedele-fino-alla-fine-sulla-tomba-del-padrone/81225/79615?ref=HREV-3

L'ultima follia del mercato dei gadget cinesi, piccoli animali venduti come ciondoli, in sacchetti contenenti ossigeno e liquido nutrizionale sufficienti a farli vivere qualche settimana. Tartarughe e salamandre trasformate, ancora vive in stupidi portafortuna. Non esistono davvero parole per definire la follia che può stare dietro all'ideazione di una simile tortura.