lunedì 18 luglio 2011

VIETNAM - L’ISOLA FELICE


  PER STACCARE DAL CAOS E DALL’INQUINAMENTO DEL CONTINENTE, E PERDERSI NEL MICROMONDO DI UN’ISOLA SEMPLICE E SIMPATICA, TRA PERLE E PEPE. PHU QUOC, LA NUOVA META DEL TURISMO IN VIETNAM

La vicina Cambogia, da quando ha iniziato a liberarsi del ricordo indelebile delle stragi dei Khmer Rossi e ha abbracciato il business, rivendica il possesso della bella Phu Quoc, fazzolettone di terra (567 kmq, circa 62 km di lunghezza e fra i 3 e i 28 di larghezza) nel Golfo di Tailandia. Ko Tral, il suo nome in lingua Khmer. In effetti, osservando la mappa di questo angolo del globo, verrebbe naturale pensare che l’isola appartenga al Regno Khmer - lo fu, in passato -, ad appena quindici chilometri. Questione geopolitica che, in fondo, poco interessa ai turisti di mezzo mondo che, sempre più numerosi accorrono a godere dell’isola felice. Traffico ridicolo, gente più carina e simpatica del vietnamita continentale medio, belle spiagge, qualche resort spettacolare, prezzi bassi e un’atmosfera rilassata. Questo il menù della località di mare forse più interessante dell’intero, grande Vietnam, oltreché della maggiore isola del paese. Arrivarci non è complicato. I più frettolosi lo fanno direttamente da Ho Chi Min City, ad appena tre quarti d’ora sulle ali, con i voli quotidiani (fino a otto, durante l’alta stagione) della Vietnam Airlines, spesso prenotati con largo anticipo. Chi non ha il fiato sul collo può prendere il volo, uno solo al giorno, che parte dalla vicina Rach Gia, città carina sul Delta del Mekong. Da qui, all’ora di colazione e a quella di pranzo, partono anche i traghetti ‘di lusso’ dai nomi indimenticabili (Savanna, Superdong) che in due ore e mezza abbondanti vi depositano sul molo di An Thoi, nell’estremità meridionale dell’isola. Qui, 25 km a sud del capoluogo Duong Dong (molti turisti, per facilità, la chiamano Ding Dong, e i locali vi capiranno comunque, abituati come sono agli strafalcioni linguistici degli stranieri), sarete assaliti da una truppa di tassisti, autisti di van o di moto-taxi. Per un paio di euro vi porteranno alla ‘capitale’, che non è New York. Una dozzina di vie intrecciate attorno alle curve del fiume… Duong Dong, altro nome che ricorderete a lungo. Più che dai semafori, ‘DD’ è caratterizzata dalle fabbriche di salsa di pesce, uno dei prodotti più noti dell’isola. Ne circolano diverse marche - Khai Hoan la più famosa -, vendute in tutto il Vietnam e in mezzo Sud-Est Asiatico, fino in Corea. Un vietnamita che si rispetti difficilmente pasteggerà senza insaporire il proprio piatto, non importa se a base di carne, con un po’ di anima liquida di pesce. In paese - chiamare ‘DD’ città sembra eccessivo - potete intrufolarvi in una della fabbriche (nessuno vi scaccerà) e vedere come vengono riempite quelle bottigliette odorose che dominano i tavoli dell’isola. Basta seguire il naso. Dopo un po’ vi orienterete in base alle fabbriche di salsa di pesce, più che con semafori e ponti. Il primo incrocio a destra, dopo la seconda puzza, vi verrà di dire, per indicare la strada a qualche turista che sull’isola ha passato meno tempo di voi. Entrando in una fabbrica capirete al volo il perché dell’allarme rosso nelle vostre narici. Pesci non ne vedrete - probabilmente vengono ‘lavorati’ altrove, alla fonte, estraendone tutto ciò che è estraibile (viscere & friends) -, ma ammirerete tini giganteschi in cui, come paludi infernali, giace pericoloso e sonnolento un denso liquame nerastro. Una specie di pozione infernale in cui NON vi verrà spontaneo infilare un indice e poi assaporarlo.




Non solo puzze, per fortuna
Phu Quoc non vive di sole puzze. Gli altri prodotti doc dell’isola sono il pepe e le perle. Meno odorosi e più eleganti. Fa molto figo (e costa quasi come un salario medio vietnamita), nella regione del Delta o a Saigon, mangiare filetto ‘al pepe di Phu Quoc’. I francesi, in Vietnam, non hanno solo lasciato le baguette e il ricordo di un colonialismo feroce. La mia lingua, però, mi dice che il pepe di Phu Quoc assomiglia molto al pepe nero che compro nel supermarket sotto casa, ma io sono un essere superficiale. Senz’altro gli intenditori sapranno apprezzare le particolarità di questo pepe che sull’isola cresce ovunque. Alberelli qua e là, stuoie con grani a essiccare lungo ogni strada. A forza di vederlo viene voglia di sgranocchiarlo. Grani tondi, più o meno come quelli delle perle, lavorate e vendute soprattutto nei negozi/laboratori di Long Beach (Bai Thuong), la spiaggia molto looong che si stende per 20 km sulla costa sud-occidentale, subito sotto ‘DD’. Qui verrete accolti con sorrisi a trentadue denti dalle commesse, che con parlantina preregistrata vi narreranno vita, morte & miracoli delle perle phuquonghesi. Da piscine in miniatura, sul retrobottega, estrarranno per voi alcune graticole da barbecue, dove vivono imprigionate dozzine di ostriche con la sorpresa dentro (non sempre; diciamo il 90% delle volte). Per voi alzeranno il sipario del teatrino, sventreranno live una povera bestiola viscida che fino a quel momento se la cavava benissimo, e, oplà, vi faranno vedere, ammirare, se proprio volete toccare, l’anima rotonda e lucente della medesima. Vi racconteranno che in media un’ostrica ci mette due anni a partorire una perla come Nettuno comanda. Il passo successivo, dopo il vostro oooohhh, sarà quello di trascinarvi all’interno del negozio, una specie di Tiffany in miniatura dove è proposto tutto ciò che è umanamente possibile fare con una perla. Collane braccialetti orecchini e chi più ne ha più ne metta. I manufatti fanno un po’ Signora Tatcher, però, si dice in giro, una perla non stanca mai.


In sella, si parte
Per esplorare l’isola, non piccolissima, è quasi obbligatorio noleggiare un motorino (a ‘DD’) e saperci fare con le strade e le buche più dure. Ufficialmente servirebbe anche il casco, che vi verrà dato assieme alla moto, ma sembra che nessun poliziotto si prenda la briga di arrestavi se non l’avete. È curioso come ogni abitante dell’isola vi dica, con fare da poliziotto, di usarlo, se vi vedrà senza a bordo del vostro cavallo. Mai visto un luogo in cui la gente locale segue così pedissequamente una legge (le isole e gli isolani sono strane/i, si sa). Cominciate dalle cose facili: la strada asfaltata, che copre circa un quinto dell’isola. Un assaggio di avventura a due ruote lo potete assaporare lasciando ‘DD’ dopo aver imboccato la 30 Thang Tu, nome bizzarro per indicare la strada che, costeggiando il fiume, va a est. Passate un paio di puzze, il traffico scompare e la strada si fa bella. La strada termina a Ham Ninh, villaggio a 14 km da Duong Dong, dove s’incunea il lungo molo per i traghetti che vanno, tra mille onde da voltastomaco, a Ha Thien, porta d’entrata per chi è diretto in Cambogia. A metà di questa strada, sulla sinistra vedrete una specie di arco di trionfo con scimmie penzolanti di cemento, affiancate da una mega-rana con un’enorme moneta in bocca, di cemento pure loro. Imboccate l’arco e vi troverete in un giardino ricco di sculture tra il kitsch e il bucolico. A fine sentiero potrete parcheggiare la moto per qualche spicciolo (pagatelo, se volete le gomme gonfie quando ve ne andrete). Oltrepassate le orribili bancarelle in cui l’intera Sora Natura è stata messa sotto spirito (liquami afrodisiaci, sostengono gli spacciatori locali di cadaveri di lucertole e cavallucci marini), e imboccherete un sentiero avvolti da una giungla uscita dai film sui Vietcong. Dopo una decina di minuti di sudore raggiungerete la resuscitatrice cascata di Tranh. Un bagno, con l’idromassaggio naturale, è d’obbligo. Il getto d’acqua è così piacevole che si rischia di passarci il resto della giornata, se non fosse che la cascata è a due posti, avanti il prossimo (dopo di voi ci sarà sempre qualcuno che, con la lingua di fuori per la sudata, scalpita per prendere il vostro posto). Tornati sulla strada, poco oltre la cascata potete imboccare l’ultimo tratto asfaltato che va a sud, fino al molo di An Thoi. Qualche chilometro prima di questo seguite le indicazioni per Sao Beach. Il nome, un po’ brasileiro, corrisponde alla spiaggia più bella (così dice il marketing turistico locale) di Phu Quoc. La sabbia bianca, in realtà, sarebbe molto bella, se le immondizie non abbondassero e se il bagnasciuga non vedesse scorrazzare i soliti imbecilli che impazzano in jet-ski tra i bagnanti. La spiaggia, comunque, vale una sosta, magari per mangiare un buon piatto di pesce in uno dei pochi ristorantini.



Terra rossa. Troppa
Ora è giunto il momento di vedere chi ha i peli dentro al petto. Lasciato l’asfalto, inizia la vera festa. Necessari gli occhi corazzati o, almeno, un paio di occhiali sa sole, se ieri non è piovuto. La terra rossa da campo da tennis domina, polverosa, tutto il resto dell’isola. Lasciata Sao Beach potete imboccare la strada disegnata in rosso (i cartografi, si sa, hanno poca fantasia) che risale fino a ‘DD’, costeggiando il litorale occidentale. Oltre alle perle, di cui già sapete tutto, vi imbatterete - soprattutto nel tardo pomeriggio, momento migliore per seguire questa strada -, nell’attività frenetica dei pescatori. Saranno contenti di avervi come spettatori nel momento in cui tirano a riva barche e reti, spulciando queste ultime fino all’ultimo pesciolino, aiutati dalle rispettive famiglie. Volendo rimanere in tema, se arrivate a Duong Dong per il tramonto, andate ad ammirarlo dalla terrazza presso il piccolo faro, nel punto in cui il fiume incontra il mare. Varcherete così le soglie di un tempio cinese, e dall’alto potrete scorgere l’istmo dove vivono i pescatori della città, circondati da un continuo viavai di pescherecci. Di sera potrete attraversare il ponte pedonale che si trova alle spalle del villaggio, e andare a contrattare fino allo spasimo per acquistare un po’ di frutta tropicale spettacolare al mercato (town market, sulla mappa-bibbia che circola gratuitamente a Phu Quoc). Poi, a cena, potete perdervi tra i ristorantini di strada del mercatino serale (night market), da non confondere con quello della frutta. In quello notturno, oltre a pesci di ogni razza cucinati in tutti i modi, potrete fare un po’ di shopping. Perle, tanto per cambiare.
Il mattino successivo, digerito il bolo di terra rossa ingoiato ieri, potete inforcare nuovamente il vostro bolide a 125 cavalli e prepararvi per la seconda razione. Ieri il Sud, oggi il Nord. Imboccate la strada che porta al fantastico resort Chen La, seguendo il cartello marron che si trova a un paio di chilometri dall’aeroporto, sulla sinistra poco oltre la centrale dei taxi Sasco. Il resort domina la spiaggia privata di Ong Lan: questa è la spiaggia più della dell’isola. Più a nord raggiungerete Cua Can, snodo riconoscibile per un ponte e qualche baracca attorno. Quella sulla destra, subito prima del ponte, è il saloon dei motociclisti assetati e impolverati, una sosta di rito per chi si deve schiarire idee e occhi e fondoschiena. Passato il ponte inizia uno zigzag di stradine sterrate. Imboccare la principale non è un’impresa facile (quale? dove?), e chiedere ai locali, indice puntato sulla mappa, può salvarvi dalla perdita della bussola. Passate alcune belle spiagge semiprive di infrastrutture (Vung Bau, Dai), si prosegue lungo la costa fino a raggiungere il villaggio di pescatori di Ganh Dau, punto estremo del Nord-Ovest. Altro faro e molti pesci stesi a essiccare, alcuni dei quali arricchiti da una buona mano di peperoncino. Un dedalo di viuzze odorose e vocianti, che da solo vale la fatica di esservi spinti fino a qua. Voi sarete l’attrazione del paese. E, se avrete bisogno di una spuntatina, un barbiere serissimo si occuperà di voi. Potrete scegliere il taglio preferito, indicando una delle foto dei ‘modelli’ appese sulle pareti dell’azienda.


Senza esagerare, però
A questo punto dovreste aver fatto il pieno di terra rossa, e l’osso sacro vi sarà grato se, per tornare alla base, seguirete a ritroso la strada fatta all’andata. L’alternativa sarebbe quella di imboccare la dirty road che raggiunge il cuore del Nord dell’isola, eventualmente allungandovi fino a Bai Thom (27 km da ‘DD’), villaggio nell’estremità nord-orientale. Se così farete, però, avvisate in hotel e a casa che qualcuno vi venga a recuperare in elicottero. In questa zona, seguendo la strada che circonda il parco nazionale di Phu Quoc, e che, sempre volendo farsi del dolore, ridiscende lungo la costa orientale fino a Ham Ninh, le strade, oltreché infinite, sono davvero infami. Da evitare in caso di pioggia e se non siete motociclisti provetti. Anche perché in un giorno solo, a meno che non si parta all’alba e si torni a mezzanotte, non ce la si fa. Se, tornati a Ong Lan Beach o a Duong Dong proprio dovete fare altri chilometri, fateli per raggiungere l’altra cascata (cascatella, nei periodi di siccità), quella di Da Ban. Si trova a pochi chilometri dal capoluogo, basta seguire la strada principale (la Nguyen Trung Truc, asfaltata prima, sterrata poi) che continua oltre la deviazione per il Chen La. Non fate come me, e come presumo tutti gli stranieri che mi hanno preceduto: NON svoltate immediatamente a destra, appena vedete il cartello che indica la traversa per la cascata. Se così farete finirete nell’aia di una signora che, ormai abituata al flusso costante di gente piovuta dalla Luna che ha sbagliato strada, vi urlerà NO!, facendovi chiari gesti con le braccia piegate a curva, per dirvi che la strada giusta è quella successiva. Un genio topografo ha piantato il cartello qualche metro prima del dovuto, e la signora non deve poterne più di tutti quei turisti che le arrivano in salotto in moto. Per raggiungere la cascata, parcheggiato il motore, come dicono in Romagna, bisogna dondolarsi su un pericolosissimo ponte sospeso fatto con gli stuzzicadenti. Roba da Indiana Jones, assolutamente sconsigliato a chi è sovrappeso. Se sopravvivrete e avrete raggiunto la parte opposta della trappola mortale potrete iniziare una bella camminata in salita, tra rocce e rivoli d’acqua. Il luogo è lasciato a se stesso, con immondizie assortite, ma ogni tanto si trovano pozze d’acqua fresca in cui immergersi con sommo piacere. Volendo, ci si può inerpicare per centinaia e centinaia di metri, ma non troverete venditori di bibite o altro. La zona assomiglia vagamente alla Chapada Diamantina, nella Bahia, Brasile. In miniatura e con più cartacce, ma pur sempre piacevole. Ora basta. Avete attraversato tutta Phu Quoc, e un paio di polmoni non può ingerire più di un quintale di terra rossa al giorno. Spegnete il motore, restituite la moto. Mettetevi orizzontali su uno sdraio, in spiaggia. Ve lo siete meritato.


Ufficio Promozione del Turismo e dell’Artigianato vietnamita in Italia (Ufficio Visti)
Via Federico Campana, 24 - 10125 Torino
Tel. 011 655166, fax 011 6686336
mar-gio ore 8,30-13,30

IN RETE
http://www.discoverphuquoc.com/
sito in inglese, con informazioni varie sull’isola
http://www.qviaggi.it/vietnam/localit%C3%A0-di-mare/isola-di-phu-quoc/
sito in italiano, con indicazioni di vario tipo
http://www.mondoviaggiblog.com/2008/07/24/viaggio-in-asia-indocina-a-phu-quoc-l-isola-piu-bella-del-vietnam-vicino-al-golfo-della-thailandia/
idem
http://wikitravel.org/it/Phu_Quoc
sito canonico di Wikitravel, in italiano, per un’infarinatura generale sull’isola


DOVE DORMIRE
Chen La Resort & Spa
chenla-resort.com
Ong Lang Beach
Tel. (0084) 77 3995895, fax 77 3995896
Fantastico resort a 7 km dal capoluogo Duong Dong (9 km dall’aeroporto), a gestione italiana, il Chen La è un luogo da sogno in cui dimenticarsi ogni tipo di stress. Tranquillità e silenzio, circondati da una vegetazione lussureggiante. La bella piscina è a pochi passi dalla spiaggia privata di Ong Lan. Pulizia eccellente, ottimi piatti nel ristorante con piatti mediterranei e locali, e un centro massaggi composto da capanne a bordo piscina. Camere spettacolari, sia le 36 camere standard, sia le 12 ‘ville’ che si affacciano sulla spiaggia. Chi vuole una vacanza da re può alloggiare in una delle 6 jacuzzi villas, appartamenti di 280 mq arredati con grande gusto: sono antiche case di Hoi An, qui trasportate di peso e ricostruite con tutti i comfort più moderni. Sotto il ristorante c’è un bel bar, con accesso gratuito a internet, e in spiaggia si possono fare diversi sport acquatici, incluse le immersioni. L’alloggio nel resort include il trasporto da/per l’aeroporto.

DOVE MANGIARE
Fuori dall’ottimo ristorante del Chen La, si può mangiare bene in qualche ristorantino di Duong Dong. Molto accogliente, con ottimi piatti di carne o di pesce (eccellente tonno), il Terrace Café (40 Tran Hung Dao, non lontano dal mercato serale), arredato con bizzarre opere di artisti locali. Punto di ritrovo degli stranieri è Buddy (26 Nguyen Trai), un caffè che offre buone macedonie, caffè freddo, gelato e internet gratuito. Per i piatti di mare Song Xanh (Duong 30/4, sul lungofiume), per una buona e autentica cucina indiana Ganesh (97 Tran Hung Dao).

SHOPPING
Perle! In uno dei laboratori che le estraggono e lavorano lungo la costa sud-occidentale (Long Beach). Tra questi: Ngoc Hien (Duong To). Oppure, al mercato serale di Duong Dong. Chi ama l’arte può acquistare opere particolari presso il Terrace Café di Duong Dong.

IL VIAGGIO
IL VOLO
Phu Quoc è collegata in aereo a Saigon (Ho Chi Min City) e alla vicina Rach Gia dalla Vietnam Airlines (vietnamairlines.com), la compagnia di bandiera con voli internazionali quotidiani da Bangkok, Parigi, Francoforte. Il piccolo aeroporto è a breve distanza (2 km) dal centro di Duong Dong. L’ufficio della Vietnam Airlines è al 219 di Nguyen Trung Truc, tel. (77) 3980778.

VIA MARE
Per raggiungere Phu Quoc via mare l’imbarcadero migliore è quello della città di Rach Gia, nel delta del Mekong, a circa 3 ore di bus da Cantho. I traghetti con posti numerati (circa 10 euro) partono ogni giorno verso le 8 e le 13 e ci impiegano circa tre ore. Per tornare sul continente, soprattutto se si è diretti in Cambogia, può risultare conveniente la barca che salpa dal molo di Ham Ninh e raggiunge Ha Tien, a 6 km dal confine cambogiano. Questa imbarcazione salpa alle 8,30 e ci impiega un’ora e mezza (consigliate le pillole contro il mal di mare). Costo: 10$.

COME MUOVERSI
Il mezzo migliore per muoversi nell’isola è un motorino, noleggiabile per pochi euro al giorno (dai 4 ai 6 per uno scooter automatico) in una delle diverse agenzie di Duong Dong. Di solito si lascia il passaporto in deposito e vi viene dato un casco, obbligatorio. L’isola abbonda di pompe di benzina ma l’80% di Phu Quoc ha strade sterrate, dunque un paio di occhiali da sole può essere molto utile. Tra le diverse compagnie di taxi la Sasco risponde al (77) 3995599. Un taxi da Duong Dong al Chen La costa circa 4 euro (2 in moto taxi). Gli amanti della bicicletta possono noleggiare una mountain bike a 24 marce presso Indochina Adventure Travel (60 Tran Hung Dao) per circa 2 euro al giorno.

IMMERSIONI
Oltre al buon centro immersioni del Chen La, alcune agenzie offrono il servizio di snorkeling e organizzano escursioni in barca attorno all’isola: Rainbow Divers (prodive-vietnam.com), John’s Tours (johnsislandtours.com) e/o Anh Tu’s Tour (anhtuphuquoc.com). Tra le mete più interessanti, le An Thoi Islands, 15 belle isolette a sud di Phu Quoc.

Fuso orario
Sei ore in più rispetto all’Italia, cinque quando da noi è in vigore l’ora legale.

Documenti
Passaporto con almeno sei mesi di validità. È indispensabile il visto (Ambasciata a Roma: via di Bravetta 156, tel. 06 66160726; oppure all’Ufficio Visti di Torino - vedi sopra), da ottenere prima dell’arrivo in frontiera. Di solito, salvo casi eccezionali, dura un mese. Una volta in Vietnam è possibile estenderlo.

Periodo migliore
Da novembre a marzo. Il monsone colpisce il Sud-Ovest, con piogge tropicali, da aprile-maggio a ottobre.

Lingua
La lingua ufficiale è il vietnamita. Poco diffuso l’inglese. Qualche anziano parla ancora un po’ di francese.

Moneta
La moneta ufficiale è il Dong (VND): un euro ne vale 26.500 circa.

Prefissi
Il prefisso internazionale per il Vietnam è 0084, quello di Phu Quoc 77. Per chiamare l’Italia: 0039.

Pubblicato su Panorama Travel




Nessun commento:

Posta un commento