lunedì 18 luglio 2011

INDIA - L’ULTIMA SPIAGGIA


L’International Animal Rescue Center di Assagao, Goa. Dove i cani indiani trovano rifugio

Tappeto per pneumatici il più delle volte, i cani in India hanno una vera vita da cani. Decimati quotidianamente sulle strade del grande Paese asiatico, sembrano in gran parte usciti da una guerra. Arti amputati, profonde dermatiti, fame atavica. A Goa, però, tra le vecchie case portoghesi e i palmeti, qualche anima pia sta facendo qualcosa.

Un panorama stradale desolante
Per avere la patente in India sembra che basti pagare, almeno a giudicare dal comportamento medio dei guidatori. Fatta qualche lezioncina presso una scuola guida complice, e soprattutto pagata la medesima, ti viene rilasciato un pezzo di carta che, all’atto pratico, è una licenza di uccidere. Tutti, il giorno dopo l’esame, sembrano essersi dimenticate le regole più elementari che chiunque, con un volante fra le mani, dovrebbe seguire. Zero frecce, zero precedenze, zero sguardi agli specchietti. Piede a pieno polpaccio sul gas e via andare. Passa per primo chi è più grosso, secondo l’antica tradizione della giungla. E di notte fari abbaglianti a go-go, chi se ne frega se acceco il prossimo. Nel dubbio, suono. L’unico accessorio davvero indispensabile su qualunque mezzo di trasporto indiano è il clacson. Funziona sempre e tutti lo sanno usare benissimo. Un camion all’incrocio, tre pedoni sulle strisce pedonali e due moto in contromano? Una bella clacsonata e si và. Speriamo che Vishnu mi protegga. E che la polizia, in perenne ricerca di baksheesh (la ‘mancia’, qui il vero stipendio), non mi fermi e trovi qualche scusa per arrotondare le entrate.
Chi paga per una tale, profonda cultura dell’etichetta stradale? In primis gli stessi automobilisti, macellati quotidianamente con stragi apocalittiche a base di camion-kamikaze che, carichi di benzina, viaggiano come meteoriti; autobus i cui autisti, concentrati con entrambe le mani sul clacson, non hanno tempo da perdere con quisquilie tipo guardare-dove-vado; nuovi ricchi e figli di papà, forti del nuovo fuoristrada fiammante, fate-largo-che-passo-io; furgoncini per il trasporto di turisti che sfrecciano alla velocità della luce. Più un’altra collezione di assassini patentati, tutti assieme appassionatamente a massacrarsi (purtroppo, spesso, a massacrarci/ti) sulle strade indiane. Tra un colpo di clacson e l’altro. Se i cristiani/indù/musulmani/altri gruppi minori sono le prime vittime di tale luna-park, gli animali sono al secondo posto del bollettino di guerra. Un indiano al volante che si rispetti non ha tempo da perdere, dunque se il cane è in mezzo alla strada (1) non deve essere intelligente dunque si merita di morire (2) è il suo destino e così senz’altro vuole Shiva. Il risultato di tale sensibilità ecologica generalizzata è un esercito di migliori-amici-dell’uomo zoppicanti, con tre arti quando va bene. Malconci e a perenne caccia di qualcosa da mettere sotto i denti o, almeno, di una carezza. Di gatti, in giro, se ne vedono pochi, probabilmente perché o già finiti sotto qualche pneumatico o fra i denti di qualche cane. Terzo soggetto dello zoo di strada, fondamentale su questo panorama, è la mucca, sacra dunque libera di andarsene a zonzo dovunque a qualsiasi ora. Anche nel bel mezzo dell’autostrada, in piena notte. Frequenti sono gli schianti con un bovino che, nel buio delle strade indiane (le tasse finiscono direttamente nelle tasche dei politici, dunque nessuno illumina le strade, se non con un occasionale neon ogni cinque chilometri di buio pesto), improvvisamente ti si trova davanti al naso. Se lo schivi sarai grato a tutta la Trimurti per il resto di questa vita e delle prossime tre. Se lo affondi (e sopravvivi), oltre a dover pagare i danni, rischi pure il linciaggio. Nandi, il veicolo di Shiva, qui è sacro, anche se in giro lascia scivolosi escrementi grossi come bidè, e il sacro, come ci raccontano da oltre duemila anni, non si uccide.


L’Animal Rescue Center di Assagao
Prolificanti come conigli, fino a un po’ di tempo fa i cani a Goa venivano catturati e uccisi da qualche boia autorizzato dal governo. Di recente, sotto la pressione delle associazioni animaliste straniere, le regole sono cambiate. Almeno in questo Stato della confederazione oggi i cani vengono ufficialmente lasciati vivere (morire sulle strade), ma il massacro, se non più via accalappiacani, come detto continua. Che fare?
L’organizzazione inglese International Animal Rescue ha fatto il primo passo. Dal 1998 l’IAR opera sul territorio settentrionale di Goa, in particolare lungo le note spiagge di Anjuna, Vagator, Baga, Calangute e Candolim. Il primo centro fu inaugurato una decina d’anni fa a Saligao e dopo un anno trasferito nella sede attuale, a Madungo Vaddo, una frazione di Assagao, villaggio dell’interno noto per le belle ville portoghesi, in gran parte restaurate e oggi abitate dai molti stranieri semi-residenti di Goa. Il centro per la protezione degli animali, situato alla fine di una breve strada sterrata e isolato dal resto dell’abitato, però non ha nulla di lussuoso. Essenziale ma efficiente, viene tenuto in ottimo stato e pulizia impeccabile da una quarantina di persone, perlopiù volontari (retribuiti) locali. Sei veterinari, tre autisti e ventisei operatori con mansioni varie, queste le cifre dello staff dello IAR di Assagao. L’esercito degli ospiti, variabile di ora in ora, consiste mediamente di un’ottantina di cani, una ventina di gatti e di qualche bovino. Rimpolpa l’inventario delle anime un piccolo ma agguerrito gruppo di ‘passeggiatori’ (walkers), stranieri annoiati dalla troppa spiaggia che qui vengono a purificarsi lo spirito e far sgranchire le zampe ai quadrupedi. E, infine, Peggy, la cagnetta a tre sole zampe che, come una receptionist d’albergo, vi accoglie piena di entusiasmo claudicante appena varcate la soglia del centro. Vi seguirà un po’ dovunque, ma il suo luogo preferito è l’ufficio, dove gode il titolo di ‘preferita’.


I cani adulti sono divisi in ‘stanze’ (gabbie da canile) singole, pulite e adeguatamente capienti. Tutti gli ospiti, o quasi, sembrano bisognosi all’ennesima potenza di carezze. Chiunque entri nei padiglioni del canile viene accolto da una ridda di uggiolati e latrati, che tradotti suonano come un coro di “mi porti a spasso?”. Il sistema dei walkers è intelligente e studiato. Ogni ‘stanza’ ha appeso alla grata un legnetto di colore variabile, giallo da un lato e rosso sull’altro. Un cartello all’entrata comunica se in questo preciso momento bisogna far passeggiare i cani con il legnetto giallo o quelli con il rosso. Esistono anche legnetti bicolore, come quello rosso e nero (il cane in questione è diffidente e può essere pericoloso: non può essere portato a spasso) e quello blu e nero (l’animale non può uscire per questioni mediche).
In un’altra sezione del complesso sono ricoverati i cani infetti e contagiosi. A volte i cani che arrivano al centro sono in condizioni così disastrose da dover essere soppressi. A tal scopo, quando è possibile reperire un proprietario, ogni volta che un animale viene trasferito al centro per cure il padrone deve firmare per accettazione un documento in cui ne autorizza l’eventuale soppressione, qualora questa sia indispensabile. Non tutti i cani, per fortuna, sono a pezzi. Molti ospiti sono madri con mariti latitanti e abbondante prole in costante arrivo. In una sezione separata abbondano dunque i cuccioli, sempre in attesa di qualcuno che li adotti. I nuovi genitori, una volta prelevato il cucciolo dal centro, possono godere di un anno gratuito di trattamento completo, a partire dal vaccino e, se richiesta, dalla sterilizzazione.


Di fianco ai cuccioli c’è il reparto per i gatti, in tutto analogo a quello per i cani. Miagolii non-stop come si varca il cancello, oltre a occhi che elemosinano affetto al primo che passa. I gatti non hanno necessità quotidiane di passeggio, ma di qualcuno che offra loro un tetto e che gli apra le scatolette. Diverse signore goane di mezza età rispondono all’appello. Il lunedì è giorno di doppi miagolii, in quanto allora i gatti vengono sterilizzati. I gatti di strada che finiscono qua, a parte il lunedì, non se la passano affatto male: il menù quotidiano prevede cinque pasti, prima colazione a base di latte alle 7, croccantini alle 10, pranzo alle 14,30, secondo giro di croccantini alle 17,30 e tazza di latte della buonanotte alle 21.
Ultimo ma non meno importante, lo spazio riservato ai bovini. Pochi, una mezza dozzina, ma di più non ce ne possono stare. Il centro ha in progetto di allargare i propri confini e sta acquistando terra attorno al complesso. Il numero degli ospiti, vista la carneficina delle strade, è in costante aumento, dunque bisogna ampliare il perimetro. Le mucche, che osservano i visitatori senza grossi rumori ma con il tipico distacco bovino, finiscono qua soprattutto a seguito di incidenti stradali, ma non solo. Parecchi fedeli indù, nel generale panorama d’indifferenza per il prossimo che, nonostante Gandhi, oggi regna in India, sono i primi a preoccuparsi per una mucca malata e a chiamare lo IAR.


Il centro è, in pratica, un eccellente ospedale veterinario ad ampio raggio (l’unico di Goa ad avere i raggi x), dove tutto ciò che è vivo e non è umano - a volte quasi - viene salvato, se possibile curato, eventualmente sterilizzato, poi rilasciato nel luogo in cui era stato trovato o catturato dopo la segnalazione. Una cagna figlia ogni fine settimana? Un cane è finito sotto un’auto? Una mucca zoppica? Basta chiamare lo IAR, dare qualche dato di base - luogo, nome, descrizione dell’animale, problema, recapito telefonico - e il giorno dopo, al massimo due, i ragazzi dell’organizzazione arrivano a bordo di qualche ambulanza per il trasporto di cani e gatti, o di un mezzo extra-large per le missioni speciali (mucche, in gran parte). Come un’Arca di Noè, il centro è aperto a tutte le possibilità. Se i grandi alberghi vantano nel curriculum qualche ospite-attore-famoso, lo IAR di Assagao ogni tanto vede l’arrivo di qualche serpente confiscato, di scimmie (di solito il macaco Bonnet, venduti ai turisti sulle spiagge) o di un impegnativo elefante, quest’ultimo di solito maltrattato dal padrone (catena al piede) che si giustifica ai quei rompiscatole che glielo portano via sempre con questioni religiose (Ganesh e dintorni), nonostante in India, almeno sulla carta, esista una chiara legge in materia che proibisce di mantenere animali in cattività.


Come fare una donazione,
quando visitare il centro

  Oltre che direttamente in loco in uno dei suoi centri o al banchetto che l’associazione ha presso il Flea Market di Anjuna (ogni mercoledì), eventuali donazioni allo IAR possono essere effettuate contattando l’organizzazione attraverso il suo sito web (www.iar.org.uk) o attraverso gli indirizzi di e-mail info@iar.org.uk, info@internationalanimalrescue.org
  Il centro di Assagao (tel. 0832.2268328, prefisso 0091 per chi chiama fuori dall’India; e-mail iargoa@satyam.net.in) è aperto dal lunedì al sabato dalle 10 alle 12 e dalle 14,30 alle 16, 30 (chiuso la domenica). I visitatori possono godere di un breve tour guidato alle 11 e alle 15,30. Nell’area del centro è possibile assistere a un video illuminante sulla santa attività dell’organizzazione e sui vari orrori che in India l’uomo è capace di infierire agli animali.


Gli altri centri dell’organizzazione
Lo IAR di Assagao è solo uno dei centri della International Animal Rescue. In India l’organizzazione è attiva negli stati dell’Uttar Pradesh e del Tamil Nadu. Ad Agra, assieme all’associazione amica Wildlife SOS, gestisce un centro per il recupero e la protezione degli orsi. Orsi ‘ballerini’, salvati dalle grinfie dei nomadi Kalandar, che da secoli hanno questa tradizione circense ambulante. Per tenere in piedi il loro spettacolo, i Kalandar spaccano l’incisivo e il canino al cucciolo di orso, così da far entrare nella cavità, sotto la gengiva, un anello e una cordicella che esce dal naso. La ‘briglia’ così ottenuta è dolorosissima e costringe l’animale a seguire i movimenti del domatore in una specie di balletto. Questa pratica è ufficialmente fuorilegge dal 1972, ma secondo le stime del 2006 in India circolerebbero ancora circa 600 orsi in queste condizioni. Il progetto avviato dallo IAR e dal Wildlife SOS prevede l’aiuto ai Kalandar che decidono di abbandonare la professione. A quelli che consegnano l’orso nelle mani di una guardia forestale vengono forniti un piccolo capitale iniziale e l’istruzione necessaria per avviare un’attività alternativa, l’assistenza medica e un sussidio alle famiglie. Nel progetto sono coinvolti diversi dentisti veterinari, indispensabili non appena l’animale viene confiscato e deve subire un doloroso processo di ‘ritorno alla normalità’. Di solito le gengive sono così malconce e infiammate da dover subire delicate operazioni in anestesia totale. Inaugurato alla fine del 2002, il centro di Agra, soprannominato 'santuario degli orsi', agli inizi del 2007 aveva salvato oltre 350 orsi. Altri sono stati recuperati dai circhi o dal Safari Park di Bangalore, dove subivano torture analoghe o non avevano spazi sufficienti per condurre un’esistenza decente. Alcuni di essi oggi sono ospiti di un secondo ‘santuario’, quello di Bannerghatta, nei pressi di Bangalore. Nel Tamil Nadu, nella città di Trichy, è invece attivo un centro IAR che si occupa in gran parte di aiutare i cani, più o meno come quello di Goa. La sterilizzazione e il vaccino antirabbico sono le due funzioni principali del centro, oltre a curare gli animali adulti e a far adottare i cuccioli.


Un altro progetto estremamente utile dello IAR è quello avviato nel 2004 in collaborazione con l’associazione indonesiana ProAnimalia. Obiettivo principale delle due associazioni è la tutela di specie in pericolo di estinzione, in particolare macachi, l’occhiuto Slow loris (primate del genere Nycticebus) e il nibbio Brahminy (Haliastur indus), simbolo nazionale ma, all’atto pratico, preda nazionale di famiglie che lo ingabbiano come animale domestico. IAR e ProAnimalia hanno un centro a Jakarta e una base per il rilascio degli animali nell’isola di Kotok, a nord della capitale, all’interno del Parco Nazionale Thousands Islands. Qui i nibbi vengono reintrodotti nell’ambiente naturale, dove imparano nuovamente a volare e a catturare il pesce. Le scimmie, invece, vengono rilasciate solo dopo un periodo di quarantena e di controllo veterinario. I macachi hanno bisogno di un certo periodo per risocializzare, in gruppi, prima di essere rilasciati. Più bisognoso di cure è lo Slow loris, animale estremamente delicato. Un terzo di questi muore dopo poche ore di cattività, mentre gli altri fanno la stessa fine, nelle mani dei proprietari, grazie a frequenti infezioni ai denti e alle gengive che rapidamente li fanno ammalare di polmonite. I proprietari, infatti, all’atto di mettersi in casa un Slow loris, hanno l’accortezza di recidergli i denti, così da evitare di essere morsi.


A Malta lo IAR ha un centro particolarmente attivo nella protezione degli uccelli, in gran parte marini. La sede di La Valletta cura e rilascia uccelli di tutti i tipi, così come qualche tartaruga marina, gatti e cani randagi. Occasionalmente questo centro ha dato una mano a paesi come Lettonia, Slovenia, Cipro, Grecia e Polonia, luoghi in cui cacciatori e bracconieri, così come a Malta, imperversano pressoché impuniti. Negli Stati Uniti lo IAR ha una sede a Shrewsbury, nel Massachusetts, il cui ufficio si occupa principalmente di reperire fondi per i mille progetti seguiti dall’associazione. La sede madre si trova a Uckfield, East Sussex, Regno Unito. Da lì vengono coordinate le attività dei vari centri e, in territorio britannico, quelle del British Divers Marine Life Rescue, che si occupa della salvaguardia delle specie marine, e del Catastrophes Cat Rescue, nel Sussex, attivo nella tutela (sterilizzazione, vaccinazione, ospitalità) dei gatti.


Un pomeriggio con Shivnath e Desmond
Tornati in India, dopo il giro del globo… ecco come i volontari del centro di Assagao operano sulle strade di Goa. Ogni giorno le ambulanze di servizio, almeno un paio, partono in missione alle 8,30 e alle 14,30. Gli incarichi sono molteplici, tutti stabiliti almeno il giorno prima e secondo un itinerario logico (la benzina, in India, non la regalano a nessuno). Previo contatto telefonico, la segnalazione viene confermata, e si và. La ‘pattuglia’ di questo pomeriggio è composta da Shivanath e Desmond, due nomi che corrispondono alle principali fedi di questa regione, indù e cattolica. Giovani ma già ‘esperti’, sanno il fatto loro. Un cane da rilasciare, una decina scarsa da recuperare, una mucca con una zampa zoppicante, questo il programma. Lungo bastone con cappio, da accalappiacani, a bordo; cane da rilasciare con il collare dello IAR nuovo di zecca e orecchio cui è stato asportato, nei giorni precedenti, un pezzettino di cartilagine (il ‘tatuaggio’ permanente e indolore di ogni cane passato attraverso le cure del centro: se il collare si strappa almeno l’orecchio, in teoria, rimane); gabbie e portiere chiuse, finestrini abbassati per respirare; scartoffie in regola. Si può partire.
“Vediamo se siamo fortunati, oggi - mi dice Shivanath, autista da due anni -. I cani di mezza Goa ormai riconoscono la nostra ambulanza, come ci vedono arrivare iniziano ad abbaiare e a correre. Per fortuna oggi niente gatti, quelli sono quasi impossibili da prendere…”
Il primo appuntamento è sulla spiaggia di Baga, a due passi dall’arcinota discoteca Tito’s. Bisogna rilasciare un cane esattamente dove era stato preso, sulla sabbia, subito dietro i ristorantini frequentati dai bagnanti. Come Desmond apre la gabbia il cane balza fuori, quasi volando. È così veloce che non faccio nemmeno in tempo a fare click con la Nikon, l’animale si è già messo a distanza di sicurezza da noi. Prima missione della nuova vita: una lunga seduta in bagno, per liberarsi degli arretrati di diversi giorni. La cattività gli deve aver bloccato tutte le vie di uscita, ma la libertà improvvisa ha posto fine alla costipazione. Fatto il suo sporco dovere, il cane riprendere a correre verso chissà dove, come un fulmine.


Seconda tappa, Calangute. Questa volta si va a caccia. Preda sarà una cagna che ha già sfornato una quantità di cuccioli da fondare un esercito.
“È furba e veloce, ci abbiamo già provato altre due volte a prenderla, ma ci è sempre sfuggita”, mi fa Shivanath.
Arriviamo a una casa di tre piani, accolti da un coro di latrati. Shivanath ha visto la cagna nel cortile e prepara il cappio. Stavolta o l’animale non sa dove andare, circondato com’è da un cancello e da biancheria a stendere, oppure ha deciso di affrontare il nemico. Comunque sia, non fugge, ma si limita a mostrare i denti. Shivanath sa il fatto suo e con un movimento rapido riesce a metterle il laccio attorno al collo. La reazione è violenta, l’animale tira a mordere e i due ragazzi hanno un bel da sudare per riuscire a infilarlo nella gabbia. Ma ce la fanno.
Prossimo passo, spiaggia, sempre a Calangute. Un’altra cagna iperprolifica ha sfornato quattro cuccioli, gli ultimi della serie, sul bagnasciuga. Va sterilizzata, prima che il numero di cuccioli oltrepassi quello dei turisti. La madre, inconsapevole, se la dorme della grossa, con il figlio preferito, all’ombra di una barca da pesca. Shivanath è veloce e riesce ad accalappiarla prima ancora che questa apra gli occhi dal sonnellino. La reazione stavolta è più controllata, la cagna più che tirare a mordere sembra chiedersi perché?
Inizio a preoccuparmi. I ragazzi porteranno via la madre abbandonando i cuccioli? Desmond mi rassicura, raccogliendo il primo cucciolo, che non fa alcuna resistenza. La madre viene quindi trascinata sulla sabbia, fino all’ambulanza. Addosso abbiamo gli sguardi inebetiti e incuriositi dei turisti, perlopiù inglesi e russi, cotti dal sole, dall’adipe e dalla birra, che ci osservano spaparanzati dalle loro sedie. Anche loro sembrano chiedersi perché?
Continuo a preoccuparmi. E gli altri cuccioli? Non ne abbiamo vista traccia, mentre eravamo in spiaggia. Rimarranno là a elemosinare un pezzetto di cheese nan dai turisti?
Desmond e Shivanath ripartono in missione, dopo una ventina di minuti tornano con tutti e tre i bambini. Il favorito in gabbia con la madre, che non smette di tremare, gli altri in una gabbia tutta per loro.


Ultima missione canina della giornata. Raggiungiamo un albergo con ristorante, sempre a Calangute. Stavolta la preda non ci pensa nemmeno di scappare. Si tratta di un cagnone senior, razza imprecisata, sguardo acqueo e pancia simile a quella degli avventori inglesi che s’abbeverano al bar. Credo che abbia solo bisogno di cure mediche, senz’altro di una dieta. Chi l’ha detto che i cani in India fanno la fame? Questo qui senz’altro no, dev’essere la mascotte dell’hotel e forse inghiotte tutti gli avanzi del ristorante, ma per raggiunto limite di obesità qualcuno deve aver deciso di metterlo a regime, prima che gli scoppi il fegato. I due ragazzi stavolta hanno un bel da spingere, più che trascinare, per mettere l’animale nell’ambulanza. Il cane si è piantato con le unghie sul selciato e, senza fiatare, non accenna a fare un passo. Dopo un po’ di manovre riescono a sistemarlo nella gabbia, e nel frattempo si è radunato attorno all’ambulanza un capannello di bambini di strada, incuriositi per la novità. Gente che porta via i cani, a bordo di ambulanze, non se ne vede un granché da queste parti.
E siamo all’ultima missione in assoluto, specie di ciliegina sulla torta: mucca, a Candolim. Arrivati in loco qualche negoziante ci conduce tra i palmeti, in ciò che resta di un villaggio contadino. Una mucca nera zoppica e i ragazzi preparano una corda da impiccato per trattenerla ed esaminarla. Nessuno prova nemmeno in sogno a portarla via, anche perché l’ambulanza ha dimensioni canine, non bovine. Zoppicante ma sveglia, come la mucca si vede circondata inizia la ritirata, previo accenno di carica da corrida. I ragazzi hanno un bel da sudare per riuscirle a mettere il cappio al collo, la bestia si muove costantemente e quando la distanza di sicurezza è in pericolo incomincia a trottare, non importa se la zampa le fa male. Il villaggio è tutto sterpi e arbusti, per cui dopo una mezz’ora buona in cui mezza dozzina di gente con le spalle grosse prova a catturarla il risultato è zero, se non escoriazioni addosso a tutti, ricordo di un pomeriggio spinoso. La mucca, nonostante gli acciacchi, sembra aver riacquistato giovinezza e agilità, di fronte alla corda. Corda che Desmond e Shivanath riarrotolano scoraggiati, dopo un po’.
“Niente da fare, oggi. Torneremo domani, con l’ambulanza grossa e la corda grossa. Forse con gente pure grossa.”
In bocca al lupo ragazzi. Se non ci foste voi, chi?

Pubblicato su Quattro Zampe


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