Le Cavalhadas di Pirenópolis e dintorni, nel cuore del Brasile
Goiás, il cuore rurale del ‘País do futuro’, il Planalto Central da cui negli anni Cinquanta il presidente Kubitschek asportò un pezzettino di terra per costruire il suo sogno, Brasilia. Terra di cowboys e di musica sertaneja, melensa e dalle rime facili, come solo la chitarra di un musicista contadino può concepire. Terra di cappelli alla John Wayne e di grandi fuoristrada americani. E, per fortuna, anche la terra delle bellissime Cavalhadas.
Pirenópolis, la perla del Goiás
Situata a metà strada fra Goiânia - la capitale senz’anima del Goiás, oltre un milione di abitanti e nulla di vagamente antico - e Brasilia, Pirenópolis è un luogo che non ti abbandona, una volta che lo scopri. Stradine acciottolate in saliscendi, un piccolo abitato che si anima quasi solo durante i fine settimana con l’arrivo dei turisti dalle capitali, qualche comunità fricchettona che vive nei boschi e un’ottima cucina. Atmosfera rilassata, di paesino dove tutti si conoscono, immersi nella natura e, in generale, in un lieto vivere. ‘Pirì’, come viene soprannominata, vive di estrazione dei minerali - nelle cave alle porte del paese -, di agricoltura e di turismo. Le giornate vengono passate tra attività semplici, sempre trovando, se possibile, un momento per un tuffo nel Rio das Almas, il fiume ‘delle Anime’ che attraversa il centro o per una camminata nei boschi. Volendo ci si spinge fino alle bellissime cascate della zona, come quella do Abade (dell’Abate). Alla sera un’ottima caipirinha lungo la via dei ristorantini, osservando il passeggio e facendo le ore piccole. Calma piatta durante quasi tutto l’anno, ma durante la Pentecoste, immancabile, arriva il terremoto: le Cavalhadas. Tradizione antica, quelle della ricostruzione delle lotte fra Cristiani e ‘Mori’. Di origine medievale e spagnola, la kermesse riprende l’usanza dei nobili iberici di esibirsi in pubblico in tornei a cavallo, per dimostrare la propria bravura in termini di agilità e combattimento. Dodici cavalieri mori e dodici cristiani, gli uni con sfavillanti abiti rossi, gli altri blu. Tutti con cavalli spettacolari, riccamente addobbati pure loro. Dopo essersi affrontati sul campo - gare di corsa, caroselli, infilzamenti di svariati oggetti ‘in corsa’ -, immancabilmente vincono i cristiani che, come premio, ottengono di convertire i mori. Messaggio politicamente non correttissimo, soprattutto di questi tempi. Ma la tradizione è tradizione, e nel religiosissimo Brasile dio - soprattutto quello cristiano - non si discute. Mai.
La storia, la tradizione
I combattimenti, solo mimati, riprendono quelli di Carlo Magno contro i saraceni, svoltisi alla fine dell’VIII secolo d.C. Allora i musulmani della Mauritania, i ‘mori’, avevano invaso il Sud della Penisola Iberica, prendendo possesso della regione di Granada per quasi otto secoli. I re cristiani si rifugiarono a nord e solo alla fine del Quattrocento riuscirono a respingere i saraceni. Carlo Magno contrastò i musulmani nella loro avanzata nel Sud della Francia, lasciando poi regione nelle mani del Conte Rolando, coadiuvato dai Dodici di Francia, la valente guardia personale del conte, il cui numero è ripreso nelle Cavalhadas. Nel 778 d.C. si svolse la Battaglia di Roncisvalle, nella quale Rolando fu massacrato dai saraceni e da alcuni locali di fede cristiana. La battaglia ispirò i versi epici della Chanson de Roland, l’inno cristiano alla lotta contro i mori propagato dai cantastorie attraverso tutta l’Europa. Agli inizi del Duecento la Corona Portoghese decise di trasformare il poema epico in una festività vera e propria, attraverso una rappresentazione drammatica che riprendesse i fatti della battaglia e riaffermasse l’opposizione cristiana all’invasione islamica. In Brasile questa tradizione giunse attorno al 1756, portata dai padri gesuiti portoghesi, sotto autorizzazione della Corona, inizialmente nel Nord-Est (Alagoas) e presto in altre regioni (Goiás, Minas Gerais). Fine ultimo dei gesuiti, attraverso questa scintillante spettacolo della forza della fede cristiana, era quello di catechizzare gli indios e gli schiavi africani. Nel 1641, per celebrare l’incoronazione dell’imperatore Dom João IV, furono organizzate Cavalhadas in diverse regioni della colonia. La prima edizione a Pirenópolis, dove si tiene la festa più spettacolare di tutto il Goiás, si ebbe nel 1826, grazie al padre Manuel Amâncio da Luz, con il nome di O Batalhão de Carlos Magno (Il Battaglione di Carlo Magno). I primi abitanti europei di ‘Pirì’ erano perlopiù minatori lusitani originari del Nord del Portogallo, provenienti da una regione in cui la fede cattolica era profondamente radicata, così come la resistenza all’invasione islamica. A Pirenópolis, dunque, la tradizione delle Cavalhadas attecchì presto e facilmente, per essere poi seguita da rappresentazioni simili nel resto della regione. La festa di Pirenópolis è legata alla Festa do Divino Espírito Santo (Pentecoste) - quaranta giorni dopo la pasqua, festa istituita dalla regina Isabel di Portogallo -, che ha origine nella tradizione lusitana, intimamente legata al calendario della Chiesa cattolica.
I ‘mascherati’
Prima dell’inizio dei ‘combattimenti’ il paese viene invaso dal colorato esercito dei ‘Mascherati’, detti anche ‘Curucucús’, a causa del loro rumore. A cavallo, frustino in mano (e spesso una lattina di birra), indossano abiti sgargianti, guanti, stivaloni e una maschera solitamente di cartapesta (più di recente di gomma) raffigurante demoni, giaguari, gorilla, uomini orribili, mostri, teste di vacche o di buoi con corna lunghissime: quest’ultima è la maschera più tradizionale di Pirenópolis. Un’altra figura comune tra i Mascherati di ‘Pirì’ è quella di São Caetano, riconoscibile per il cavallo avvolto da rami di Melãozinho de São Caetano, un rampicante comune nelle regione, e da foglie di banano. Chi impersona São Caetano ha una maschera da uomo, con un corno sulla fronte, e tiene in mano un cesto di frutta che offre ai passanti. Un altro personaggio ricorrente è il ‘Grasso’, solitamente impersonato da qualcuno che veste una salopette molto abbondante e riempita da grandi quantità d’erba, così da arrotondarne le forme. Sulla testa porta un panno nero dove è dipinto un teschio bianco. L’origine di queste figure, presenti un po’ in tutte le Cavalhadas brasiliane, è sconosciuta, ma si suppone che, sulle sfondo delle lotte tra mori e cristiani, rappresentino il popolo, la gente comune che, non appartenendo alla nobiltà o all’esercito, non poteva partecipare in prima persona agli scontri armati. Al contrario dei nobili - rigidi e seri -, i Mascherati sono ironici e debosciati, fanno battutacce senza sosta e hanno la licenza di prendere per i fondelli chiunque. L’unica loro regola è quella di mantenere nascosta la propria identità, grazie alla maschera. Anche i cavalli sono riccamente adornati, spesso con nastri e tessuti colorati, lattine o sonagli che fanno un gran frastuono mentre galoppano. I Mascherati iniziano a fare scorribande per il paese già il sabato che precede l’inizio della festa. Vanno in giro a rompere le scatole, amichevolmente, ai passanti, chiedendo loro una birra o una sigaretta, e ‘pagando’ la merce con spettacoli di acrobazie a cavallo.
Il torneo
Edizioni ‘minori’delle Cavalhadas costituiscono l’evento dell’anno per piccole città goiane come Corumbá de Goiás (a settembre), Santa Cruz de Goiás, Jaraguá, São Francisco e Palmeiras e de Goiás. In realtà quella delle Cavalhadas è una festa che si ritrova in più parti dello sconfinato Brasile. Nel Pantanal (Mato Grosso) sono note le Cavalhadas di Poconé, piccolo paese all’ingresso della strada Transpantaneira. Più a sud, nel Paraná, sono conosciute quelle di Guarapuava, dove, tra lance e spade, fanno la comparsa pure le pistole (a salve). Lo spettacolo è accompagnato da due bande musicali, una (‘de pancadaria’ - delle ‘botte’ - o ‘infernal’) che suona solo per i perdenti, l’altra riservata ai vincitori. Nel Rio Grande do Sul sono realizzate in diversi centri. Le Cavalhadas di Pirenópolis, però, vantano un fattore unico: la presenza di musiche e canti che accompagnano le corse. Inscenate perlopiù da abitanti locali, che conservano con estrema cura i ricchi abiti di edizione in edizione, le Cavalhadas durano tre giorni, a cominciare dalla domenica. Tre giorni di lotta, di colore, di folla che accorre da tutta la regione e da fuori lo Stato di Goiás. L’abito più lussuoso è quello del re cristiano, il quale ha diritto a usare due o tre lance - una sola per i ‘soldati semplici’ -, così come il suo ambasciatore. Tutti hanno anche una spada, e il re saraceno usa un elmo dorato, simile a quello degli antichi romani. I due sovrani comandano le due armate, dunque devono essere riconoscibili come tali nella confusione delle corse. Entrambi hanno al seguito uno stuolo di notabili: generali, principi e principesse, ambasciatori, tutti con abiti sfarzosi. La festa inizia dopo la processione della domenica, quando i cavalieri si radunano chiamati dal suono di un tamburo che echeggia attraverso le viuzze del paese. I mori si dispongono sempre sul lato orientale del terreno di battaglia - oggi soprattutto un campo di calcio convertito ai tornei per l’occasione -, i cristiani a occidente. Il primo giorno è dedicato alle sfide e alle corse, riprese anche il secondo giorno. Tra le prove di destrezza spicca quella della conquista di un’anella con la lancia, generalmente sospesa in aria tramite un filo. Ogni anella conquistata viene offerta alla personalità di turno presente sul palco d’onore, tra il pubblico, riprendendo l’usanza di offrire i nastri colorati conquistati alle dame della nobiltà. Le sfide si svolgono di pomeriggio, e alla fine del secondo giorno i cristiani vincono. I mori, arresisi, sono allora convertiti, venendo battezzati da un prete. Il terzo e ultimo giorno i due gruppi avversari fanno amicizia, sfidandosi nuovamente in giochi di abilità, tra cui quello di infilzare con le lance alcune maschere di cartapesta (‘cabeças’, teste) poste al centro del campo. In questo caso chiunque può vincere, tanto i cristiani quanto i mori. Alla fine della festa i cavalieri raggiungono al galoppo, tutti assieme, la chiesa di Nosso Senhor do Bonfim, dove depositano le armi che verranno riprese l’anno successivo.
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