lunedì 18 luglio 2011

SVIZZERA - ANCHE GLI SVIZZERI SONO UMANI


Viaggio tra le mille regole del Paese d’oltralpe. 
Con una grande sorpresa: fumare, è ancora tollerato


Per introdurmi alla cultura del suo Paese, mentre visitavo Baden, bella cittadina a breve distanza da Zurigo, un’amica mi aveva prestato il libricino della famosa collana Se li conosci non li eviti (‘Le guide xenofobe’) dedicato agli svizzeri. Autore tal Paul Bilton, cittadino del Regno Unito, accasatosi e trasferitosi in Svizzera. Accettai il prestito con forti dubbi, di solito scappo dalla ‘letteratura’ saggistica e dichiaratamente comica come un vampiro farebbe dall’acqua santa, ma decisi di dare a Mister Bilton una possibilità, nel nome della mia maggiore informazione sul luogo in cui mi trovavo. Con humour molto British, scoprii durante innumerevoli letture da toilette, l’autore era stato geniale nel concentrare in poche paginette l’infinita collezione di manie, regole, tic e filosofie condominiali del popolo svizzero. Più passavo giorni a Baden, più sfogliavo voracemente quelle pagine, ritrovandovi nero su bianco i molti indizi che percepivo nell’aria andando a fare la spesa o prendendo il treno. Non una virgola fuori posto, tutto tremendamente vero e ricchissimo di informazioni che, spogliate del soprabito di cinica ironia, dipingevano la realtà quotidiana dei nostri vicini di confine. Geograficamente vicini ma, per molti comportamenti, distanti anni luce. Venire da Bologna - non il più incivile dei luoghi sulla terra - mi faceva sentire un po’ africano, mentre calpestavo il suolo svizzero. Quando attraversavo la strada sulle strisce pedonali guardavo le auto che sembravano puntare ai miei polpacci, e a nulla servivano le spiegazioni dei miei amici elvetici, che provavano a rassicurarmi sul fatto che tutti gli svizzeri automuniti si fermano al passaggio dei pedoni. Abituato com’ero a casa mia, mi sentivo comunque minacciato. Ed ero costantemente meravigliato dal loro modo di trattare le immondizie. In Africa, a casa, mi ritenevo molto moderno solo perché avevo la sensibilità di riciclare carta, plastica, vetro e metallo. A Baden mi sentivo un anarchico senza tetto né legge. Gli opearatori ecologici passano a raccogliere le immondizie con il loro camion - pulito, ovvio - solo il venerdì, dunque se non vuoi trasformare la cucina (o l’ambiente in cui di solito conservi la spazzatura) in una stalla odorosa è bene che ti organizzi e produci meno letame possibile. L’immondizia va raccolta solo ed esclusivamente in sacchi di colore grigio mimetico, omologati dall’ente municipale che si occupa dello smaltimento, acquistabili al supermercato. Qualunque altro tipo di sacco è considerato fuorilegge, pena la multa.









Turismo della monnezza
Chi non ce la fa più, e durante la settimana ha prodotto molto letame, lo può lasciare in strada anche prima del venerdì, ma poi volpi e uccellini sventrano i sacchi a caccia di leccornie. In strada, perché di bidoni in giro non se ne vedono. E, se ci sono, vengono tenuti chiusi a chiave con grossi lucchetti o hanno fessure che permettono, al più, l’inserimento di un pacchetto vuoto di sigarette. La politica delle immondizie, dunque, è improntata a obbligarti a riciclare più possibile, più o meno come in Campania, su Marte. In ogni casa c’è un angolino buio dove vengono accatastati i materiali riciclabili, e da qualche parte in periferia ci sono aree dove puoi depositare il tutto. In alcune città, come San Gallo, paghi per smaltire ogni sacco della spazzatura, dunque è nel tuo interesse produrne il minimo possibile e riciclare tutto il riciclabile. Tale ridda di regole riguardanti le confezioni di biscotti vuote e le scatolette di tonno da buttare, ovvio, nel tempo aveva sviluppato il cosiddetto turismo delle immondizie. Se la città in cui vivevi aveva instaurato un regime di tolleranza zero nei confronti del sacchetto selvaggio, e se durante la settimana avevi prodotto rifiuti peggio di un imperatore romano durante un’orgia culinaria, non restava che attrezzarti. Al calare del buio mettevi i sacchi da buttare nel baule dell’auto e, furtivo, li depositavi nottetempo nei bidoni delle città vicine, quelle odiate e che ancora avevano bidoni aperti al pubblico. Li scaricavi come si fa con i cadaveri da nascondere nei polizieschi americani. Smaltire le immondizie era diventato un incubo e una specie di secondo lavoro, dettato dal Bello che doveva dominare il panorama (occhio non vede bidone, cuore non duole). Il viavai di trasportatori dello sporco, ovvio, non ha battuto la modernità che avanza. In breve tutte le città svizzere, le più grandi come le più piccole, si sono attrezzate per il sistema unico. Niente più turismo puzzoso. Per i recidivi, quelli che provano gusto, con premeditazione, nel trasportare l’immondizia da A verso B (A casa tua, B il territorio nemico), è stato assoldato un piccolo ma agguerrito battaglione di investigatori della monnezza. Ti è per caso sfuggito e nel sacco dei rifiuti hai infilato uno scontrino del supermercato con il numero della carta di credito? Una busta con il tuo recapito? La SWAT dell’assorbente usato prima o poi ti stanerà, e i franchi svizzeri, valuta hard, voleranno. Ben ti sta, sporcaccione che non sei altro.





Fumare, in Svizzera
Prendete il panorama appena descritto a riguardo della gestione delle immondizie e applicatelo a ogni aspetto della vita elvetica: lavoro, trasporti, socialità, rumore, ecologia, cimiteri, animali domestici, finanza, cucina, burocrazia. Ne otterrete un cittadino svizzero medio molto stressato. La nube di stress sembra più fitta sui cantoni a maggioranza tedesca, dove regole & ordine sono esibite come medaglie scintillanti. Un po’ più rada su quelli francesi e con ampie schiarite su quelli italiani. Si sa, i nostri molti lavoratori emigrati in Svizzera difficilmente si sono integrati al 100% nel modo di vivere (lingua, regole) dominante, quello ispirato dai cantoni tedeschi, come ci ha ricordato la campagna razzista dello scorso settembre, in cui siamo stati caricaturizzati quali topi di frontiera che vengono a fare ulteriori buchi nell’ottimo Emmental. Bisogna sempre ricordare, però, come uno svizzero ‘tedesco’ che si rispetti ci tiene sempre a sottolineare con il pennarello rosso l’abisso - linguistico, comportamentale, culturale - che lo separa dai tedeschi di Germania, considerati arroganti e dotati di una lingua più dura. Anche nella Svizzera tedesca, tuttavia, si può incappare nella Grande Sorpresa. Gli svizzeri FU-MA-NO! Tanto e quasi dappertutto, molto più che in Italia e con una tolleranza cento volte maggiore della nostra. Se vale l’abusata equazione stress = fumo, di certo in Svizzera questa ha la prova del nove. Non che il tabacco consumato nel Paese abbia aromi particolari, né che gli svizzeri abbiano scientificamente deciso di compensare l’estrema pulizia dell’aria con nubi alla nicotina, così da sentirsi un po’ più a livello con gli altri europei (il sogno dell’Europa appartiene a pochissimi svizzeri, anzi, a nessuno; la loro moneta è forte e sono bravissimi nel vivere senza aiuti da parte di chicchessia). Se, dunque, la macchina funziona a pieno vapore (iperlavoro, manie di perfezione, puntualità oltre il cliché, sistematicità in tutto), e se la matematica non è un’opinione, una bella boccata di tabacco è indispensabile, qua e là, per oliare gli ingranaggi della macchina (il cittadino svizzero, durante lo svolgimento delle proprie azioni quotidiane, supportato dal più o meno conscio pacchetto di pensieri che riguardano il seguire le regole). Con regole, anche in questo caso, variabilissime da cantone a cantone, il fumo nei locali pubblici è ancora diffuso. Basta passare la frontiera e sentirsi catapultati indietro nel tempo. Ristoranti e bar con zone per fumatori, gente che beve e mangia con il posacenere di fianco. Questo panorama sembra avere i giorni contati, le regole sono in movimento e trasformazione, e il dibattito a riguardo entro i confini è acceso. Non è da escludere che quando ciò che scrivo andrà in stampa la libera circolazione delle sigarette avrà subito la stessa sorte dei sacchi di spazzatura, ma per il momento il panorama del consumo di tabacco svizzero è estremamente variegato.


Come, dove e che cosa fumare
Ridda di regole, variabili da cantone a cantone, difficili da conoscere tutte, anche perché mutanti. Meglio seguirne una sola, se siete in Svizzera e volete fumare: guardatevi in giro, cartelli e gente, e presto capirete come comportarvi. Basta imitare l’indigeno, così da non passare per i ‘soliti italiani’, una volta beccati a fare qualcosa di diverso. In generale si può dire che la popolazione sia divisa tra chi vorrebbe il cielo svizzero ripulito anche dal fumo delle sigarette (più del 70% della popolazione) e chi vorrebbe fumare dove diavolo gli pare, déjà vu a 360°. La Svizzera si regge sul forte potere decisionale lasciato alle autonomie locali - in pratica il sogno della Lega -, per cui spesso una legge federale viene quasi sempre vista come un diktat piovuto dal cielo, liberticida. Se Berna decide qualcosa per tutti gli svizzeri, ogni svizzero che si rispetti darà più importanza a ciò che ne pensa in materia l’amministrazione locale che non quella centrale. Dal 1 maggio 2010 è in vigore in tutta la Svizzera il divieto di fumare nei luoghi accessibili al pubblico e sul posto di lavoro. Sono tuttavia ammesse alcune eccezioni. Nelle imprese di ristorazione con una superficie inferiore a 80 metri quadri si può ancora fumare, ma solo previa autorizzazione cantonale e a condizione che siano chiaramente designate come esercizi pubblici per fumatori, che dispongano di una ventilazione adeguata e che il personale abbia accettato di lavorare in tali condizioni. I ristoranti più grandi hanno la possibilità di allestire apposite sale per fumatori. Il divieto di fumare sul posto di lavoro non si applica a chi svolge la sua attività all’aperto o dispone di un ufficio tutto per sé. Le imprese, inoltre, hanno la possibilità di mettere a disposizione del personale delle sale fumatori (i cosiddetti fumoir), purché abbiano una ventilazione adeguata. Si dice, dunque, che il fumo nei locali pubblici abbia i giorni contati, ma per il momento ciò rimane un ‘si dice’. Basta guardarsi un po’ in giro e trovarne conferma. Non dappertutto, ovvio, ma molto più che in Italia. Alla legge in movimento va aggiunta la tendenza degli svizzeri che, a fasi alterne, ha dato ampie oscillazioni al calo del fumo, seguito da svariate riprese. I giovani, in particolare, sembrano fumare moltissimo. Se sarete a Zurigo durante l’orgia annuale, l’apocalittica Street Parade di agosto, noterete che una buona metà degli scalmanati festaioli ha una sigaretta in mano (noterete anche che una buona metà degli scalmanati festaioli è italiana, e che la metà di questa metà, come da cliché geopolitico, è costituita da maschi nostrani a caccia di indigene bionde; ma questa è un’altra storia). Qualsiasi rivendita di giornali o tabaccheria svizzera, perfetta nell’esposizione dei prodotti in vendita - pacchetti allineati con il righello, alla svizzera -, offre un’ampia scelta di sigarette, internazionali e locali. Tra quelle prodotte in loco spopolano le Parisienne, che di parigino hanno solo il nome, mentre fra i sigari sono popolari i Viliger, prodotti vicino a Zurigo. È curioso come in Svizzera la pubblicità diretta sia ancora ammessa e diffusa. Grandi poster con gente ritratta mentre fuma gioiosamente, pacchetto e logo stampati in bella vista, fanno capolino qua e là nel panorama urbano svizzero, con un altro bel salto indietro nel tempo. Vengono bilanciati dalle solite scritte terroristiche (Rauchen ist tödlich, ‘Il fumo uccide’) stampate sui pacchetti. Un’altra peculiarità è che rispetto al contesto internazionale in Svizzera i prezzi delle sigarette sono molto bassi. Bastano infatti undici minuti di lavoro, in media, per potersi pagare un pacchetto standard di sigarette. E in Italia? Ventisei, più del doppio.


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