Tutto e tutti, su una moto
La prima volta che misi piede ad Hanoi, Vietnam, e mi infilai in un taxi diretto verso il centro storico della città, mi sembrò di essermi fatto un acido. Fuori dal finestrino, tra le luci della notte, imperversavano sciami di motorini, in un amalgama apparentemente inscindibile di marmitte e lamiere, gente e clacson. A prima vista incastrati fra loro, con movenze da formiche cui il temporale ha improvvisamente spappolato il formicaio. Nessun casco in testa, ma una media di tre persone a sellino, considerando le intere famiglie da cinque o sei pezzi. La domanda, ovvia, che mi ripetei fino all’albergo, fu: come diavolo fanno a non macellarsi? Domanda che mi ripetevo ogni volta che, uscito dalla tana, mettevo il piede in strada, scavalcando il milione di motorini parcheggiati su marciapiedi lungo i quali era impossibile far marciare i piedi. I negozi di souvenir per turisti inondavano i medesimi con le loro mercanzie, per cui a un povero cristiano appiedato con la malsana idea di camminare non rimaneva che affrontare controcorrente lo sciame folle, in strada. La stessa domanda me la rifeci, con quadruplo punto interrogativo, la prima volta che vidi un bianchetto straniero guidare uno scooter in mezzo a quel casino infernale. La domanda, com’è naturale che sia, fu immediatamente seguita da un macho senso di sfida, di motto d’orgoglio basato sull’antica questione da uomini: perché lui sì e io no? Così, lentamente, togliendo un punto interrogativo ogni giorno in più che rimanevo in Vietnam, arrivai ai zero punti interrogativi e, nodo allo stomaco e cuore pompante sangue a velocità doppia del normale, mi presentai dal primo moto-noleggiatore che incontrai nel cammin di mezza vita. A Dalat, sulle belle colline vietnamite, tra vigne e piantagioni di caffè, dove il traffico aveva un’intensità accettabile, quasi a dimensione di europeo. Gli appioppai un po’ di dong e, in ostaggio, il passaporto. Mi sarei sfracellato? Avrebbe venduto il mio passaporto? Fui fortunato. A fine giornata riportai il cavallo fumante al mittente. Nessuno mi aveva trasportato in ospedale e il noleggiatore mi restituì il passaporto con un bel sorriso commerciale sulla bocca. Motor-bike tomorrow? All’offerta di bis risposi con un dubbioso maybe. Andai a letto stanco stracciato, l’adrenalina per aver guidato in mezzo al girone dei motorizzati mi aveva dato effetti stupefacenti, com’è giusto che una droga dia. Il giorno dopo, già assuefatto, ero davanti alla vetrina del motonolo ancor prima che aprisse.
Da tossico che brucia le tappe, mi ritrovai ogni giorno a volere di più. Ormai avevo imparato la regola d’oro per guidare nel traffico vietnamita: passa prima il più prepotente. Semafori, sensi di marcia e precedenze sono gadget per signorine, assolutamente inutili, a volte addirittura controproducenti, in questo angolo del globo. Imparai così a guidare da vietnamita. Anzi, peggio di un vietnamita, autoincoronandomi Re del Vietnam su Moto. Mi ritrovai a essere il primo a tagliare la strada agli altri, il primo a partire al semaforo. In pole position, ça va sans dire. Giravo tanto per girare, come fa un vietnamita che si rispetti, con famiglia a rimorchio, subito dopo l’ora del tè, quando il sole cala. Avevo imparato alla perfezione a difendermi dagli attacchi laterali, quelli fatti dalle mine vaganti che entravano dalle vie traverse senza guardare, a novanta gradi in direzione dei miei polpacci. L’orgasmetto massimo lo provai il giorno in cui una vietcong in bicicletta, cappello da mondina in testa, osò immettersi sulla mia via maestra senza guardare. Con premeditazione, allungai la punta del piede destro fuori dalla carrozzeria del mio bolide, tanto quanto bastava per fare da leva in mezzo ai raggi del cerchione della sua ruota anteriore. La fisica non è acqua, e io avevo un’esperienza ventennale di slalom in motorino sui viali di Bologna, altra avventura insidiosissima, soprattutto durante l’ora in cui la gente torna casa dal lavoro sotto l’acquazzone. La vietcontadina fece un doppio carpiato seguito da rumori assortiti di lamiera grattugiata e concluso da offese a me marziane. Eseguii una totale omissione di soccorso (non si era fatta nulla), come da codice stradale applicato vietnamita. E risi fino a destinazione. L’incomparabile sapore della vendetta. Quante volte gli altri lo avevano fatto a me, finalmente avevo pareggiato i conti.
Da tossico che brucia le tappe, mi ritrovai ogni giorno a volere di più. Ormai avevo imparato la regola d’oro per guidare nel traffico vietnamita: passa prima il più prepotente. Semafori, sensi di marcia e precedenze sono gadget per signorine, assolutamente inutili, a volte addirittura controproducenti, in questo angolo del globo. Imparai così a guidare da vietnamita. Anzi, peggio di un vietnamita, autoincoronandomi Re del Vietnam su Moto. Mi ritrovai a essere il primo a tagliare la strada agli altri, il primo a partire al semaforo. In pole position, ça va sans dire. Giravo tanto per girare, come fa un vietnamita che si rispetti, con famiglia a rimorchio, subito dopo l’ora del tè, quando il sole cala. Avevo imparato alla perfezione a difendermi dagli attacchi laterali, quelli fatti dalle mine vaganti che entravano dalle vie traverse senza guardare, a novanta gradi in direzione dei miei polpacci. L’orgasmetto massimo lo provai il giorno in cui una vietcong in bicicletta, cappello da mondina in testa, osò immettersi sulla mia via maestra senza guardare. Con premeditazione, allungai la punta del piede destro fuori dalla carrozzeria del mio bolide, tanto quanto bastava per fare da leva in mezzo ai raggi del cerchione della sua ruota anteriore. La fisica non è acqua, e io avevo un’esperienza ventennale di slalom in motorino sui viali di Bologna, altra avventura insidiosissima, soprattutto durante l’ora in cui la gente torna casa dal lavoro sotto l’acquazzone. La vietcontadina fece un doppio carpiato seguito da rumori assortiti di lamiera grattugiata e concluso da offese a me marziane. Eseguii una totale omissione di soccorso (non si era fatta nulla), come da codice stradale applicato vietnamita. E risi fino a destinazione. L’incomparabile sapore della vendetta. Quante volte gli altri lo avevano fatto a me, finalmente avevo pareggiato i conti.
La moto come camion
Tornato in Vietnam cinque anni dopo nulla era cambiato, se non l’obbligatorietà per tutti, nelle grandi città come nei paesini di provincia, di usare il casco. Poche obsolete biciclette, regolarmente travolte dalle moto e dalla tecnologia che avanza. Scena già vista tante volte: vecchietta con bici stracarica di merci da vendere, che annaspa tra lo sciame di scooter. Ragazzina su moto che la affonda, entrambe cadono, clangore di lamiere e qualche vietbestemmia. La ragazzina che, senza proferire parola o gesto di soccorso, rialza la moto, la inforca e se ne va. La vecchietta lasciata a terra nel comunista (a chiacchiere) Vietnam, nessuno che le dà una mano a rialzarsi. Incidenti a parte, un ricordo indelebile del mio primo viaggio vietnamita era il libro fotografico di un olandese (Bikes of Burden, di Hans Kemp, www.bikes-of-burden.com), scovato sulle bancarelle che vendono le Lonely Planet taroccate, fotocopiate, sulle sponde del bel lago Hoan Kiem di Hanoi. Kemp si era messo, scientificamente, a fotografare tutto ciò che i vietnamiti erano in grado di trasportare su un motorino. C’era il campionario integrale delle merci costruite dagli umani o da Sora Natura. Nessuna mancava all’appello, c’era pure una bara. E il bravo Kemp, da buon cecchino, aveva messo assieme una collezione di scatti invidiabili. Ero reduce da un breve viaggio a Napule, dove avevo immortalato un allibito, corpulento turista tedesco che osservava con mezzo sorriso interdetto un’intera famiglia su uno scooter nei Quartieri Spagnoli. Lo scatto successivo lo avevo fatto a un camorrista che con una mano guidava il motorino, e con l’altra trascinava un guinzaglio con annesso dobermann in corsa-allenamento. Tutti senza casco, of course, e non era il primo Dopoguerra. Così, fatto uno-più-uno, ancora una volta mi sono detto: perché l’olandese sì e io no? Fin da bimbo ho amato le collezioni, per cui un bel giorno ho iniziato a piazzarmi, zoom alla mano, nel centro di una rotonda, di quelle a incasinamento massimo, nel cuore di Pha Ngu Lao, il quartiere-ghetto per saccopelisti di Ho Chi Min City, nome che noi italiani - forse unica parola vietnamita fra tutte - impariamo al volo (si pronuncia fangulao). Un’ora di aerosol al triplo ottano, però, che raccolta. Poca cosa, in confronto, i Bastioni di Orione. Fantasia ai massimi livelli, fisica e geometria prese a sberle, equilibrismo da circo, sfida alla morte: tutto concentrato in pochi, roboanti metri d’asfalto.
Una volta ho provato a portare a casa una pizza da asporto in motorino, una mano sul manubrio e una sotto la pizza: arrivato a destinazione mi era sembrato di essere atterrato sulla Luna. Da bravo collezionista, chiaro, una volta dato il la, non sono più riuscito a fermarmi. L’ex Saigon è stato solo l’inizio. Coda dell’occhio sempre all’erta, zoom pronto e scattante, ho inseguito ogni accenno di moto usata come un camion, per il trasporto di merci e persone, in tutto il Vietnam. E, finito quest’album, ho iniziato quello successivo. Cambogia. Laos. Myanmar. Tailandia. Malesia. Indonesia. Timor Est. India. Sri Lanka. Il risultato è quello che potete vedere su queste pagine, o, almeno, la punta dell’iceberg, un piccolo assaggio. La mia collezione è pressoché infinita (purtroppo non sono ancora riuscito a beccare la bara, ma prima o poi ce la farò), potete considerarla una specie di catalogo Postalmarket. Ecco le Pagine Gialle delle merci in movimento che potete ordinare, in ordine alfabetico:
Appendiabiti
Angurie
Armadi
Assi di legno
Aspirapolvere
Automobiline di plastica da parco giochi
Bambini (con il mento appoggiato sul manubrio; mentre dormono; schiacciati fra i genitori; in piedi sul sellino; su sedia da salotto, inserita fra manubrio e sellino; vestiti da Babbo Natale; con pistole giocattolo)
Baguette
Bandiere (politiche; religiose)
Bar ambulanti
Barre di ferro (vedi: Tubi da fognatura)
Bastoni
Bauli di metallo
Bebè (in marsupi ‘a zaino’, sulle spalle o sul petto; protetti da zanzariere contro l’inquinamento; in braccio)
Bibite in sacchetti di plastica (senza bottiglia, con cannuccia, appesi al manubrio)
Biciclette
Bidoni (contenitori vari; di metallo; di plastica; per la spazzatura)
Blocchi di ghiaccio
Bombole del gas
Bonzi
Borse da signora
Borse della spesa (con una mano; tra le gambe; fra i passeggeri)
Bottiglioni d’acqua per ufficio (pieni; vuoti)
Camere d’aria
Cani (in piedi sul serbatoio; nel cestino anteriore; dentro il giubbotto del guidatore)
Canne da zucchero
Canne di bambù
Carri (trainati a mano dal secondo passeggero; agganciati a traino)
Carriole (trainate a mano dal secondo passeggero)
Cartoni
Caschi di banane (portati dal secondo passeggero; appesi al gancio sotto il manubrio; appesi al sellino)
Casse di bibite
Casse di birra (Heineken; Saigon; Carlsberg)
Casse di sigarette
Catini (con una mano; su un fianco; sulla testa)
Ceste (di fianco; sul portapacchi; tra le gambe: sulla testa; con scarpe)
Cinque persone
Computer
Confezioni di merendine
Coni gelato
Copertoni (avvolti attorno al petto; tra le gambe; sul portapacchi; sulle fiancate)
Cornici da quadri
Corone mortuarie
Cuscini
Famiglie
Farmacie ambulanti
Ferri arrugginiti
Fiori (mazzi; in vaso; rose rosse; di loto)
Flauti di bambù
Foglie di banano
Foglie di palma
Frasche
Frutta
Gabbie per uccelli (con uccelli dentro)
Galli (da combattimento, vivi)
Galline vive (appese al gancio del sellino; in gabbia; sul predellino)
Gelaterie ambulanti
Gente beve/mangia (gelati; granite; succhi di frutta; bibite; zuppe; da biberon)
Gente che telefona/scrive SMS
Giocattoli
Hula-hoop
Immondizie da riciclare
Insalata
Maschere di cartapesta per il Diwali (festa indiana)
Materassi
Maiali (vivi; morti; zampe; cosce; arrosto, come offerte per il capodanno cinese)
Mensole d’acciaio
Mercerie ambulanti
Mobili (di legno; di metallo)
Offerte per templi indù
Oggetti non identificabili
Ombrelli (aperti; chiusi; sotto la pioggia; sotto il sole)
Orchidee (rami; in vaso)
Ortaggi
Quattro persone
Palloncini
Palloni da calcio
Papere vive (in gabbia; sul predellino; agganciate al manubrio)
Pesci (da acquario vivi; da cucinare)
Pezze di stoffa
Piante
Pile di magliette
Piumini per spolverare
Pizze delivery
Plastica da riciclare
Plastificatori ambulanti di documenti
Poltrone da ufficio
Portafogli (nella stessa mano che dà il gas)
Porte di ferro
Pupazzi di peluche
Quadri
Radici d’albero
Rami
Rane di plastica da piscina (gonfiate)
Risciò (a traino)
Ristoranti ambulanti
Sacchi dal contenuto ignoto
Sacchi dal contenuto ignoto
Sacchi della lavanderia
Sacchi di carta igienica
Sacchi di castagne
Sacchi di cemento
Sacchi di riso
Scale (vedi: Tubi da fognatura)
Scatole, di tutte le dimensioni (cartone; polistirolo; metallo)
Scope
Sdrai da giardino
Secchi di vernice
Sedie (di legno; di metallo; a dondolo; da salotto)
Sei persone
Strumenti musicali
Stuoie di bambù
Taniche (pulite; sporche; piene; vuote)
Tavole da surf
Tavole di polistirolo
Tele da pittura
Televisori
Thermos
Torte (con una mano)
Tosaerba
Traslocatori
Travi di legno (vedi: Tubi da fognatura)
Tre persone
Trespoli
Tricicli
Tronchi di banano
Tubi da fognatura (sulla spalla, tenuti con una mano; tra le gambe, a prolungamento della moto, come arieti o lance da torneo medievale)
Tubi da lavandino
Tubi di rame
Uova
Valigie
Vasi di ceramica cinese
Vassoi (con una mano)
Ventilatori
Verze
Animali che hanno scambiato il sellino di una moto per la loro casa
Bucato ad asciugare su una moto
Cibo a essiccare su una moto
Gente che dorme su una moto
Gente che legge su una moto
Gente che mi guarda incarognita
Gente che mi sorride
Gente con caschi da nazista
Incidenti (senza morti)
Occidentali che imitano gli asiatici (nel trasporto di merci e persone)
Offerte indù portafortuna su una moto (contro gli incidenti)
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