venerdì 16 marzo 2012

GIAPPONE – NAHA, IL GIAPPONE CON IL CUORE


Articolo numero 100, bisogna festeggiare. Quando, lo scorso luglio, ho inaugurato questo blog, la missione era multipla. Sentirmi più ggiovane (nonostante l’allergia al termine blog; ancora oggi mi ci devo abituare), dare una vetrina ad articoli dimenticati in archivio ma che possono ancora essere di aiuto a qualcuno, scriverne e pubblicarne di inediti, provare ad agitare le torbide acque dell’editoria, togliermi qualche sassolino dalle scarpe, promuovere chi lo merita e bocciare chi è asino. Mai avrei pensato che nel mio piccolo, una vocina fra miliardi nel modo virtuale, per di più nella provinciale lingua italiana e non nel globale inglese, sarebbe stato una specie di successo. Oltre 5000 visitatori da agosto sparsi in ogni angolo del mondo, anche in Paesi dove non ho mai messo piede, dalla Russia all'Angola, dal Venezuela alla Lituania. Segno che l’italiano, quella vecchia volpe di Mirko Tremaglia sarebbe felice di saperlo, è ovunque ed è curioso. Si informa, anche se trapiantato dall’altra parte del mondo. Qua e là ho messo on-line numerose foto, facilmente scaricabili. Gli addetti ai lavori inorridiscono, perché - secondo una scuola di pensiero - sarebbe come regalare il proprio lavoro, frutto di anni di fatiche. Ma i miei clienti paganti (pochi, mai abbastanza, soprattutto con le tariffe della fotografia in caduta libera) li ho già, quasi tutti nel mondo di sopravvissuti della carta stampata. Dunque, al contrario di molti colleghi inaciditi dalla crisi e dalle invidie, che si arrovellano tra bassissime risoluzioni e watermark per rendere impossibile copiare le loro immagini on-line (tutto, volendo, si copia), io sono contento se qualcuno userà gratuitamente una mia foto sul proprio blog o per altri motivi personali. È un po’ come se i miei occhi, che per un istante hanno visto la vita attraverso la mia Nikon, servissero anche ad altri. E, per festeggiare questo giro di boa, voglio dedicare il centesimo articolo a un luogo che amo: Naha, la capitale di Okinawa. Domani la lascerò per rientrare in Italia e mi mancherà parecchio. Grazie per avermi ospitato, durante questi mesi. Arigato gozaimasu!


Naha, dove la tranquillità è stile di vita

Un po’ Napoli, un po’ Honolulu, ma anche Tokyo e Taipei. Prendete i gatti randagi della prima, le camicie a fiori della seconda, il rispetto per le regole della terza e l’Asia in ogni cosa dell’ultima. E, visto che ci siete, aggiungete un po’ di coppole siciliane, di alcol da baretto pulcioso di Goa, di spiagge fantastiche tailandesi e di piatti vagamente messicani. Frullate il tutto e otterrete un chanpuru, un mix - nella lingua di Okinawa - che può darvi un’idea di Naha, la capitale dell’arcipelago più meridionale del Giappone, anche se non ci siete mai stati.











A Naha, ogni tanto, mi sembra di tornare bambino. Anche se sono in Giappone e di giapponese conosco venti parole, qui ritrovo ritmi e atmosfere degli anni Settanta, quando vivevo in strada a giocare a pallone, sfracellando timpani e altri organi importanti del vicinato condominiale a suon di pallonate contro le porte dei garage. Allora per me il Milan era Dio (Berlu aveva ancora i capelli veri e pensava solo ad accumulare i primi miliardi), il borsello horribilis che mi aveva regalato mio padre era un tesoro e gli odori di cibo serio pervadevano la mia Bologna. Come ogni bimbo non ero felicissimo (invidiavo i peli sotto le ascelle degli adulti); come ogni adulto oggi rimpiango, mitizzandolo, il mondo che fu.










Catapultato nella lontana, esotica Okinawa, rispetto a Bologna più o meno dalle parti di Marte, la sorpresa è stata grandiosa. Non un Giappone isterico e ipertecnologico - volendo, anche a Naha, c’è, basta cercarlo -, ma, in generale, un luogo del lieto vivere. Lavorando, dandosi da fare, ma con ritmi umani e, ogni tanto, pure con qualche sorriso. Con il cuore, si può dire, volendo usare un’immagine stucchevole da neomelodico.











Ishiyaki-mooooo… A volte mi sveglio, nel microappartamento al porto di Tomari, pensando di essere in qualche paese arabo. Il muezzin mi sta tirando giù dal letto, per chiamarmi alla preghiera. In realtà nessun musulmano in vista, da queste parti. La litania che giunge, soave e piacevole, è quella del venditore di patate dolci cotte a vapore. Qui le patate dolci furoreggiano, e sono una vera delizia. Il trabiccolo sbuffante, una specie di vecchia locomotiva a carbone montata su un furgoncino, procede lentamente attraverso le viuzze del porto, un po’ come faceva l’arrotino da noi qualche decennio fa. Richiamando i clienti, fermandosi ogni tanto.











Il trabiccolo delle patate fumanti, di solito, è seguito da quello della spazzatura. Lo si sente arrivare perché emette una Per Elisa elettronica, mentre procede lentamente lungo le vie. Lo smaltimento delle immondizie, in Giappone, è roba serissima. Per capirla bisogna studiare. Ogni casa è fornita di un poster in cui vengono illustrati, giorno per giorno, i rifiuti da smaltire e come (la carta annodata con cordicelle, le bottiglie di PVC senza il tappo, ecc.). La piantina della metropolitana di New York, a confronto, è di facilissima interpretazione. Rifiuti da incenerire (organico + plastiche assortite) nel sacco trasparente con la faccina a forma di fiamma rossa; rifiuti che non vanno bruciati nel sacco con la faccina blu. Ogni sacchetto e ogni merce il lunedì piuttosto che il mercoledì, se sgarri (sacchetto, contenuto, giorno, luogo) il giorno dopo il tuo sacchetto sarà ancora lì, con un adesivo che ti sgrida, sottolineando la tua impreparazione nello studio del poster. Follie del Giappone, per fortuna ne è pieno.











Nulla di meglio, la domenica pomeriggio, che trascinarsi lungo Kokusai-dōri, la ‘via Internazionale’ di Naha. Quel giorno la via è una piacevole passerella, non solo per i negozi che vendono magliette coloratissime e Shisa di terracotta, bottiglie di distillato awamori e terribili borsellini fatti con le rane (svuotate, una zip da ascella ad ascella), biscotti viola di patata dolce e Sanshin (il banjo dell’arcipelago, a tre corde) con la cassa di risonanza ricoperta da pelle di pitone, ciabattine decorate con i personaggi dei manga e bei bicchieri fatti a mano. La domenica, se si è fortunati, si può incappare in uno spettacolo di tamburi taiko. Svariati sono i gruppi che ne mantengono la tradizione, e assistere a una loro performance può far venire la pelle d’oca, tanto il suono è viscerale. Inoltre, con il bel tempo, aree riservate ai giochi dei bambini, tavolini per manicure, taxi ecologici a pedali e ristorantini per tutti i gusti. 











Souvenir e alimenti continuano dentro il labirinto commerciale della galleria Heiwa-dōri. L’interno è una babele di delizie esotiche per il palato e per gli occhi. Gelato salato, alghe umibudo a palline, katsuobushi (pesce affumicato e compresso che pare legno: va grattugiato), carne in scatola Spam - amata dai soldati americani in servizio a Okinawa, ma adottata anche dai locali -, frutta a prezzo di diamanti, negozietti vintage pulciosi e ammalianti, lettori della mano, quadri di samurai e di Michael Jackson, kimono, deliziosi biscotti chinsuko, miele, scatole bento (il popolare pranzo take-away), camicie hawaiane, fiori freschi e zampe di maiale agu usate per la zuppa Ashi Tebichi. Di notte le vie della galleria sono deserte, abitate solo da neko (gatti), qui più diffusi che in qualsiasi altra città giapponese. Il vero spettacolo della Heiwa-dōri, però, è il mercato Makishi, nel cuore della struttura. Un mercato del pesce tra i più ricchi al mondo, con specie per noi esotiche, qui comuni. I poveri fugu, pesci palla, sono venduti spellati, e chi vuole preparare del sushi viene ad acquistare pesce pregiato a prezzo contenuto che può anche essere fatto cucinare dai ristorantini del primo piano, dove le famiglie locali consumano pranzi luculliani. Tra le bancarelle spiccano anche inquietanti teste di maiale, o meglio, le maschere, la pelle della testa, dal collo alle orecchie, sottovuoto. Sono considerate una prelibatezza.











Dopo il disastroso terremoto/tsunami/fuga radioattiva da Fukushima dell’11 marzo 2011, Okinawa ha visto un afflusso incessante di gente che ha lasciato casa e lavoro nelle zone disastrate, così come a Tokyo, Yokohama, Chiba, Kamakura e altri luoghi del Centro-Est. Alcuni hanno abbandonato il passato temporaneamente, prendendosi un anno ‘sabbatico’ a distanza di sicurezza da acque e cibi contaminati, altri lo hanno fatto definitivamente. Oggi Okinawa, sta vivendo una forte crescita demografica. Il luogo è il più distante da Fukushima (circa 1750 km in linea d’aria) entro i confini nazionali, ed essendo nella fascia subtropicale, dove di giorno in inverno si va di rado sotto i 15°C, gode di un clima temperato. Pesce, frutta e verdura giungono da regioni sicure, e a queste vanno aggiunti i molti cibi importati, perlopiù inscatolati, apprezzati soprattutto dalla folta popolazione statunitense. Spaghetti e tagliatelle De Cecco possono essere reperiti nei supermercati migliori, anche se a caro prezzo. La migrazione interna ha lati positivi (una maggiore diversificazione culturale, con piatti e artisti provenienti da molte altre regioni), così come lati negativi (il mercato del lavoro è più scarso che nella regione di Tokyo, con salari inferiori, e ricominciare tutto daccapo non è facile), ma il fenomeno non si ferma. Soprattutto le famiglie con figli piccoli scelgono Okinawa quale rifugio sicuro, anche perché qui i prezzi sono più bassi che nel resto del Giappone. Difficile dar loro torto.









Tempo fa un conoscente mi ha chiesto quale fosse il luogo di Naha che più amavo. Più che un luogo, un’atmosfera, gli ho risposto. Quella fatta di negozi di abbigliamento pessimo per vechiette, di gatti randagi, di frutta e verdura non di primissima qualità vendute vicino al mercato, sul finire della galleria commerciale Heiwa-dōri. Un dedalo di viuzze che sfocia nel quartiere di Tsuboya, dove ci sono solo negozi che vendono ceramiche spettacolari e case belle e basse, protette da un esercito di Shisa, i leoni-cani scaccia spiriti, guardie di ogni abitazione di Okinawa che si rispetti. Adoro perdermi in quei cunicoli, mangiare dell’Okinawa soba in ristorantini dove gli spaghetti si risucchiano con rumori da idrovora e un ufficio di igiene avrebbe molto da ridire, ma in cui il sapore è vero, il costo proletario e l’atmosfera non ha prezzo.











Qualche decoratore con passato da giostraio deve aver arredato le arcate della Heiwa-dōri. Ai piani bassi è un viavai di turisti a caccia di souvenir, ma se alzi il naso scorgi arredi usciti da un film di fantascienza a basso costo. Pipistrelli di plastica di un metro e altri animali assortiti, apparentemente avvinghiati in una ragnatela di palloncini colorati e addobbi natalizi, non importa se ormai è marzo. Il Giappone è un Paese di dettagli, e Naha non è da meno. Ci ho passato mesi, ma non mi stanco mai di perdere lo sguardo fra le merci esposte nei negozi dove tutto è reperibile, a volte a prezzi stracciati. La mia preferita è una vecchietta con la schiena piegata a novanta gradi. A vederla non dà l’idea della salute, ma ha una corteccia da scaricatore, tant’è che ogni giorno apre, allestisce e richiude il suo negozio di oggetti usati senza grossi problemi, un passetto per volta. Tra i suoi scaffali trovi coppie di cinghiali in ceramica, corna di bufalo laccate e intarsiate, manga, thermos marca Milano, sci (mai vista la neve, a Naha), vasellame assortito. Tutto ha il prezzo riportato sopra, ma se accenni ad alzare mezzo sopracciglio la vecchietta ti fa al volo uno sconto del cinquanta percento.











La galleria è pervasa da musica da reparto geriatrico, oppure da crociera, dall’alba al tramonto. Aiuta a godere il ritmo rilassato dello shopping senza le frette né le ansie da mall, da griffe. In questo angolo della città nessuno è ricco. All’uscita della galleria, girato l’angolo, una serie di sake-bar dove, volendo, ti puoi prendere una sbronza seria a qualsiasi ora del giorno o della notte. Entrarvi, oltre a farci diventare Uomini Veri, varrebbe anche la scrittura di una decina di romanzi, se solo Hemingway fosse ancora vivo. Una volta mi sono intrufolato, per pura curiosità ficcanaso, in uno di questi localacci verso mezzogiorno. Tutti, dentro, avevano almeno sessant’anni, ma a giudicare dai sorrisi erano ragazzini. Qualche sbevazzone professionista accompagnato da intrattenitrici pure attempate. Come mi infilai nella tana del leone, accompagnato da un amico brasiliano karateka, ventidue anni portati benissimo (fisico da surfista), le nonne presero fuoco. Iniziarono praticamente a spogliarlo lì, sotto gli occhi di tutti, lisciandogli bicipiti e addominali. Quando raggiunsero la zona dell’inguine infilammo la porta fra cento arigato.











A pochi passi dai baracci, qualche giorno fa, ho vissuto il mio momento di adrenalina. Stavo razzolando pigramente dalle parti del vecchio mercato, fra gatti e negozi mezzi chiusi. Poi, tutto d’un tratto, sirene della polizia. Roba che a Naha si sente solo il sabato sera, quando i poliziotti cercano invano di acciuffare gang di rumorosissimi motociclisti che imperversano lungo i viali della città. Qual giorno sembrava che fossero crollate le Torri Gemelle. Ho subito pensato a un ritorno di fiamma della potente yakuza locale, fortissima e sanguinaria negli anni Settanta (poi praticamente espulsa ed estintasi a Okinawa). In un minuto sono arrivate almeno dieci auto della polizia, uomini e donne in uniforme, più qualcuno in borghese. Pistole in mano hanno accerchiato una farmacia. Bloccato un uomo su un lato della strada, inseguito un altro (inesistente) su quello opposto. Mentre un paio di poliziotti circondavano l’isolato con scotch giallo da crime scene, altri cinque perquisivano il fermato. Pensando che avesse ammazzato almeno tre persone, mi sono informato.









Il tipo era entrato nella farmacia e aveva intimato alla proprietaria di dargli dei soldi, perché aveva un coltello. Prima di darglieli, però, avrebbe dovuto chiamare la polizia. A fine perquisizione, zero coltelli. Né addosso né per terra da qualche parte. Il tipo non aveva alcun coltello, ma solo un alito pesante. Uscito da un sake-bar, forse, aveva fatto i conti di quanto gli era rimasto in tasca, dalle parti dello zero. E, valutato il vitto e l’alloggio delle galere giapponesi, deve aver deciso di alloggiare a spese dello stato per qualche notte. Ogni anno a Naha muoiono sei-sette persone in maniera violenta. Cotti dal sakè, si addormentano in mezzo alla strada e qualche auto gli passa sopra. Alcol, brutta bestia.









La galleria Heiwa-dōri porta al quieto quartiere di Tsuboya, noto per i laboratori in cui si lavora la terracotta. La zona residenziale è un’oasi di pace, con viuzze a saliscendi, negozi dai manufatti pregevoli e laboratori in cui si può assistere al paziente lavoro degli artigiani che forgiano piatti, bicchieri e vasi di ottimo gusto. A proteggerli, tutto attorno, un piccolo esercito di Shisa, diversi da casa a casa, così come all’ingresso del Museo della Ceramica di Tsuboya (www.edu.city.naha.okinawa.jp/tsuboya). Un altro museo interessante è il Naha City Museum of History, a due passi dalla fermata Kencho-mae del monorail. Da qui, con una camminata di un paio di chilometri in salita, si raggiunge il quartiere di Shuri, noto per il castello omonimo (http://www.oki-park.jp/), della dinastia Ryūkyū. Usato dai soldati giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, fu distrutto, per poi essere ricostruito. È una delle maggiori attrazioni storiche di Okinawa, e all’uscita si può tornare in centro discendendo la Kinjo-cho Ishidatami, una bella via acciottolata. A sud di Shuri respira il polmone verde dei Giardini Reali Shikinaen, patrimonio dell’umanità.








Omer Simpson, in una delle sue battute storiche, ha affermato che le camicie hawaiane le portano i gay o i grassoni simpatici. Alla seconda categoria appartiene Begin, il più noto cantante di Okinawa, maestro dello sanshin - il banjo di Okinawa - e lanciatore della moda delle coppole. Le sue camicie floreali sono diventate uniforme, e i negozi di Kokusai-dōri, la via-passerella del centro di Naha, ne vendono a bizzeffe. Quando il sole batte forte, a volte, puoi pensare di essere a Honolulu. Ma anche un po’ in Cina - guai a chiamare ‘Cina’ la non lontana Taiwan - : a tavola, nella lingua, nella musica e, soprattutto, fra i molti turisti che vi giungono dalla Formosa che fu. Cina-Giappone, antica storia di odio e amore. Oggi il secondo prevale, e sono sempre più i taiwanesi che prendono un aereo, attirati dall’intrigante cultura giapponese.








Se ve ne foste scordati, e anche se si dice che gli abitanti di Okinawa siano pigri e arrivino sempre in ritardo, no, non vi siete sbagliati: anche Naha è Giappone. Seppure lontana dal rigido tradizionalismo di Kyoto e dall’iperproduttività di Tokyo, per non parlare dei 1750 km di sicurezza che la separano da Fukushima, Naha è giapponesissima. E per rinfrescarvi la memoria, se mai avevate pensato per un momento di essere altrove (magari negli States, con i militari americani in libera uscita il sabato sera), andate dal benzinaio - prima di farvi il pieno si inchinerà davanti al cofano dell’auto.





Terminiamo il menù (in Giappone non solo per i ristoranti, ma anche per parrucchieri e barbieri, evviva il Giappone). Le spiagge mozzafiato non sono nel centro di questa città da 320.000 abitanti, se si eccettua quella di Naminoue. Ma per arrivarci basta poco, un’auto a nolo nell’isola maggiore o un’oretta di volo verso le spettacolari isole minori. Dulcis in fundo, un pizzico di Messico. Il locale taco rice è ciò che rimane del taco messicano, importato dai soldati americani. I locali ne hanno preso l’involucro, lo hanno buttato nelle immondizie (il martedì e il venerdì, giorni dell’organico) e lo hanno sostituito con il riso. Il champuru è servito. Che aspettate, saltate su un aereo e itadakimasu! (buon appetito)





ALTRE FOTO su:


ALLOGGI
Sora House
A due minuti dalla stazione Miebashi del monorail, Naha
Tel. 098-861-9939
Ostello frequentato dai backpacker di mezzo mondo, pulito e sicuro, a dieci minuti di cammino da Kokusai-dōri o dal porto Tomari. Camere con quattro letti a castello a 1700 yen a persona, possibilità di cucinare, wifi e lavatrice.



VIAGGIO
L'Italia (Fiumicino, Malpensa) è collegata al Giappone (Tokyo) con l'ottima Cathay Pacific (http://www.cathaypacific.com/cpa/it) a circa 700 euro.   Da  Tokyo si può raggiungere Naha  con le linee aeree low-cost  Skymark (skymark.jp/en, da Narita o da Haneda), Air Asia (http://www.airasia.com/jp/en/home.page, solo da Narita) o Jetstar (jetstar.com/au/en/home, solo da Narita). Il volo da Narita dura circa 2 ore e mezza e costa, se prenotato almeno un mese prima (prenotazione on-line con carta di credito, da presentare al check-in, dove effettuare il pagamento), fra i 100 e i 150 euro, a seconda del periodo.  Dall’aeroporto di Naha, a circa 6 km dal centro, si può prendere l’efficiente monorail (metropolitana sopraelevata), oppure un taxi (circa 1200 yen per il centro).  Le isole minori dell’arcipelago possono essere raggiunte in aereo o in barca. 


SHOPPING
Numerosi i negozi, davvero particolari, a Naha. Trovarli, nascosti nelle viuzze, è spesso una caccia al tesoro: armatevi di santa pazienza. Per abiti e oggetti vintage: Ankh (ankhvintage.ti-da.net), all’uscita di Heiwa-dōri. Lo riconoscerete anche per i gatti che circolano fra i manichini. Bell’abbigliamento e accessori indiani da Chahat (chahat27.com, 2-21-1 Matsuo, dalle 11 alle 18). Il proprietario parla italiano: ha vissuto a Firenze, da cui ha ‘esportato’ l’amore per le borse in pelle. Fantastici oggetti di cartapesta e di ceramica da Roadworks (toy-roadworks.com, Naha-shi Makishi, dalle 10 alle 18, chiuso la domenica): giocattoli matti, diavoli e conigli, alberi di natale come non ne avrete mai visti, tutto fatto a mano. A Tsuboya, un bel laboratorio di terracotta è Ikutounen (ikutouen.com), nella parte alta del quartiere.






A CACCIA DI BALENE (CON LO ZOOM)

 
Da dicembre ad aprile, a Okinawa, è la stagione per avvistare le balene. I giapponesi (una minoranza), infatti, non solo le infilzano e le mangiano, ma (altri, per fortuna la maggioranza) le osservano con ammirazione e le coccolano per quello che sono: spettacolari animali preistorici a rischio di estinzione. A breve distanza da Naha, la bella capitale dell’arcipelago di Okinawa, ogni giorno verso l’ora di pranzo, dal porticciolo di Minato salpa l’imbarcazione della compagnia Marine House Seasir (www.seasir.com/naha/whale/). Ideale per una ventina di passeggeri, decisamente meglio per avvicinarsi ai cetacei delle grandi imbarcazioni che partono dal porto di Tomari (mezz’ora a piedi a sud di Minato). Dopo le istruzioni in giapponese date prima della partenza (illustrazione del comportamento delle balene, con tanto di cartelli e modellino di balena di plastica lungo trenta centimetri; descrizione dell’imbarcazione, i salvagente sono qui, i bagni là, se vomitate fatelo a poppa e non sottovento a prua; se avvistate una balena indicatela con l’indice e fate un urletto), seguite da mini-applauso in puro Nippon style per i membri della ciurma, in circa un’ora di navigazione si raggiungono le acque delle isole Kerama, le isole minori di Okinawa più vicine a Naha.



Qui, con un po’ di pazienza e fortuna, si avvistano i grandi cetacei, mentre fanno piroette nell’acqua e sbuffano nubi vaporose dal cocchiume prima di immergersi definitivamente negli abissi (la coda a perpendicolo dell’acqua è segnale di addio, bisogna essere veloci a fare click con la macchina fotografica). La balena che esce completamente dall’acqua ed esegue un carpiato completo, a mo’ di arcobaleno, è una vera delizia per gli occhi, soprattutto quelli dei fotografi, cui si può assistere solo ogni morte di papa. Un po’ come vincere la lotteria, ma sperare è gratuito. L’avvistamento medio prevede tre-quattro uscite a filo d’acqua per respirare, seguite dall’immersione definitiva, preannunciata dall’inarcamento del dorso e dalla fuoriuscita della coda (nel suo scientificamente approfondito Moby Dick, lo scrittore Herman Melville descrive la balena come ‘pesce sputante con una coda orizzontale’). Durante la navigazione ficcanaso capiterà di essere sorvolati dagli elicotteri militari americani, che si esercitano nelle Kerama (ogni tanto qualcuno si schianta contro gli abitati dell’arcipelago, e la gente locale non ne può più - vedi http://unitalianoaokinawa.blogspot.jp/2013/02/la-questione-americana.html). Dopo una decina almeno di avvistamenti si rientra a Minato: durata complessiva tre ore (4800 yen, circa 50 euro). Chi soffre il mal di mare dovrebbe prendere una pillola mezz’ora prima di imbarcarsi. A bordo: tè, impermeabili e sacchetti d’emergenza per chi il mare proprio non lo digerisce.



4 commenti:

  1. Ciao,prima di tutto grazie per il bellissimo blog e per le belle foto! Capiti proprio come il cacio sui maccheroni.....è oramai da diversi giorni che cerco informazioni su Naha ed Okinawa IN ITALIANO perche molto probabilmente,nei prossimi anni,mi trasferirò a vivere là con mia moglie.
    Io sono di Firenze,città dove viviamo attualmente,mia moglie invece è giapponese di Osaka,abbiamo un bambino di 10 anni bilingue e sono gia un paio d'anni che meditiamo di trasferirci proprio a Naha. Ad Osaka sarebbe sinceramente tutto piu semplice visto che ci sarebbe la sua famiglia,ma non è quello che cerchiamo,proprio a proposito dello stile di vita piu"vivibile" a cui facevi riferimento tu nel tuo scritto.Comprerò sicuramente la rivista dove è uscito il tuo articolo,ma se tu avessi qualche suggerimento o qualche sito a cui poter far riferimento, te ne sarei grato.
    Nel frattempo,questa estate,andremo in avanscoperta e cercheremo i primi contatti in loco.
    Grazie e saluti
    Stefano

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  2. Caro Stefano,
    grazie per i compliments, sempre ben accetti.
    Che dire… sono rientrato ieri da Okinawa, devo ancora riprendermi dal volo con Aeroflot. Spero di tornarci al più presto, se possibile entro quest’estate.
    Tieni d’occhio il mio blog, per favore. Non per vanità, ma perché nei prossimi giorni pubblicherò altri due articoli su Okinawa, uno sul Dragon Boat Festival di Naha (dal 3 al 5 maggio), l’altro sulle isole Yaeyama.
    Consigli? Andate e vedete. Presumo che non siate mai stati a Okinawa. Rispetto a Osaka sarà una piacevole sorpresa. Naha è molto più a dimensione di uomo/famiglia. Appena 320.000 abitanti, atmosfera rilassata, si può vivere piacevolmente.
    Importante, il tuo/vostro lavoro: che cosa fate/quali progetti avete laggiù?
    Anch’io presumo di trasferirmi là, prima o poi. Teniamoci in contatto, magari ci vedremo a Naha.
    Viaggiando dovrebbe essere in edicola ancora per poche ore, a breve uscirà il numero successivo… corri in edicola!
    Un caro saluto
    Pietro

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  3. Grazie Pietro per la tua velocissima risposta!
    Non mancherò di seguire il tuo blog ed i prossimi articoli in uscita.
    Ieri sera sono corso in edicola...anzi a dire il vero in piu edicole,ma non sono riuscito a trovare la rivista da nessuna parte:(
    Sono gia stato in Giappone diverse volte con mia moglie (lei comunque tutti gli anni rientra nel periodo estivo con nostro figlio per far visita ai suoi) ma non sono mai stato ad Okinawa,ho solo visitato Osaka,kyoto,Nara,Kobe,Tokyo ed un tour dell'Okkaido,di una settimana,in pulman. Mia moglie invece è stata ad Okinawa diverse volte perche appassionata di immersioni...e quindi ti puoi immaginare!
    Per quanto riguarda il lavoro,devo dire che è la cosa che mi preoccupa di piu,mia moglie invece non è del mio stesso avviso.Lei vorrebbe aprire un'attività,un piccolo bar dove si serve solo caffè e si vendono accessori italiani per abbigliamento/borse etc etc.....lei è molto fiduciosa,io a dire il vero non saprei proprio,non è il mio campo,anche se qua a Firenze abbiamo il nostro negozietto,ma trattiamo cose di tutt'altro genere !Come ti dicevo questa estate torneremo tutti insieme (io sono 4 anni che non torno)e ne approfitteremo per fare un giro di 2 settimane da quelle parti.
    Seguirò il tuo blog con attenzione e rimmarrò in contatto mettendoti al corrente dei nostri movimenti e poi magari in futuro ci vediamo a Naha !
    Un caro saluto ed un grazie
    Stefano

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    Risposte
    1. capisco, Stefano... il mercato del lavoro a Okinawa non è floridissimo, ma anch'io ho diversi progetti a riguardo, parliamone:
      pietroscozzari@gmail.com
      lo so, spesso Viaggiando è irreperibile.
      spero che sia perché hanno venduto tulle le copie con il mio servizio...!
      ciaoooo
      Pietro

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