In Madagascar, fare come mestiere il conduttore di pousse-pousse potrebbe sembrare, a prima vista, una punizione da espiare. Il risciò tirato con la sola forza delle braccia e delle gambe è una specie di trabiccolo di legno a due ruote, usatissimo dai malgasci come taxi cittadino lungo percorsi di breve distanza. Praticamente tutte le medie e grandi città malgascie caratterizzate da poche salite (Antsirabe, Antananarivo, Tamatave, Tulear, Manakara, Majunga, Mananjary) ne sono dotate, anche se nella capitale e a Diego Suarez, viste le basse tariffe dei taxi tradizionali, vengono adibiti al solo trasporto di merci. Nelle città con forti saliscendi (Fianarantsoa, Fort Dauphin), invece, il pousse-pousse è del tutto assente: troppa sarebbe la fatica dei conducenti per trascinare i veicoli lungo le strade.
Il pousse-pousse è costituito da un sedile imbottito con una capacità di due passeggeri (piccoli), anche se spesso intere famiglie vi prendono posto, per risparmiare sul prezzo. Il conduttore ne paga le conseguenze. Due grandi ruotoni di legno sorreggono il tutto, e una tettoia reclinabile copre i passeggeri in caso di pioggia o di forte sole. Il pousse-pousse viene impugnato dal conducente lungo due aste - anch’esse di legno - situate nella parte anteriore del mezzo, alle quali è fissato un piccolo campanello, utile a richiamare clienti e a segnalare la propria presenza in mezzo al traffico, soprattutto di notte. Il conducente trascina, con una specie di trotto umano, il pesante mezzo, imbracciandone le aste di sostegno, dotato della sola forza dei bicipiti e dei muscoli delle gambe. In caso di discesa o di salita nulla cambia, semplicemente si cerca di frenare con i piedi o si tira con tutte le forze, arrancando come muli ai limiti delle proprie energie. Solo gli stranieri, dotati di un’educazione e di un inconscio senso di colpa rari in Madagascar, scendono dal mezzo quando la strada è in salita, e il guidatore deve trainare faticosamente il risciò lungo il pendio (un passeggero malgascio non scende mai, nemmeno lungo la salita più erta).
Di notte - il lavoro dei pousse-pousse è incessante - una candela appesa dentro una mezza bottiglia di plastica e fissata alla parte posteriore del veicolo funge da lanterna segnaletica, per evitare di venire investiti da qualche camion o automobile. In caso di pioggia, il conducente, ricoperto di un impermeabile di plastica riciclata, provvede a riparare i passeggeri con un telo di cellofan. Il pousse-pousse ha un’origine antica: sembra sia stato importato agli inizi del XX secolo dai lavoratori cinesi che costruirono gran parte delle strade e ferrovie malgascie, per trasportare materiali. La parentela con il rickshaw cinese o indiano è, infatti, piuttosto visibile. Del secolo scorso è pure la filanzana, una portantina piuttosto pesante, anch’essa antenata del pousse-pousse, ma ormai scomparsa. Il nome di questo mezzo sembra derivare da ‘push, push!’ (‘spingi, spingi!’), il grido d’incitamento in inglese che i primi conducenti si lanciavano l’un l’altro, incolonnati tra loro lungo le salite.
Fare il conduttore di questo singolare mezzo di trasporto è un mestiere ingrato. Buona parte dei veicoli non sono di proprietà dei conducenti, bensì dei ricchi commercianti indiani (gli unici, assieme agli arabi e ai cinesi, ad avere buone risorse economiche in Madagascar), che li noleggiano a giornata. L’incasso giornaliero è da fame, e ad esso va detratto l’oneroso canone di noleggio: a fine giornata resta ben poco, appena la quantità di denaro sufficiente per un piatto di riso. Se ciò non bastasse, quasi sempre i conducenti sono padri di famiglia, con prole a carico. Essere conducente di pousse-pousse rappresenta forse l’ultimo gradino nella scala sociale malgascia, e chi generalmente esercita questa professione è semianalfabeta e continua il mestiere ereditato dal padre. La grande ignoranza e l’enorme sfortuna non tolgono merito, comunque, al forte orgoglio di lavoratori che questi uomini possiedono. Organizzati in un sindacato, hanno un grande senso di cameratismo, e quando organizzano uno sciopero, molto spesso riescono a ottenere ciò che rivendicano.
Vista la scarsità delle entrate, è ovvio che il guidatore di pousse-pousse ricerchi come passeggeri preferiti i turisti occidentali, ben più portati a farsi turlupinare sul prezzo (non conoscendo le vere tariffe) o a impietosirsi di fronte alla durezza di tale lavoro che, se esistesse a casa loro, pagherebbero mille volte di più. Ad Antsirabe, città natale del pousse-pousse, la caccia al vazaha (‘bianco’, ‘straniero’) è talmente agguerrita che i conducenti, non appena avvistano un turista, gli piombano addosso, quasi investendolo con il trabiccolo, pur di assicurarsene il trasporto. Alcuni, addirittura, si appostano sotto gli alberghi frequentati dagli stranieri, in paziente attesa: una corsa pagata il triplo compensa la perdita di due corse, effettuabili nello stesso arco di tempo, sottopagate, e con molta più fatica. Chi non desidera farne uso - magari vuole solo andare a bere un caffè, girato l’angolo -, viene comunque assalito da proposte e offerte di passaggio, addirittura per il giorno seguente. Ma se proprio si fa capire che non c’è alcuna intenzione di salire su un pousse-pousse, il conduttore propone comunque (spesso con veemenza) di cercarlo l’indomani, specificando il suo numero di codice (ogni pousse-pousse ha una specie di targa e un numero dipinto sul retro): «Domani chiedi del numero 55, ricordati!». Nessuno dei conducenti sembra volersi rendere conto che, anche volendo, il giorno seguente sarebbe impossibile ritrovare lo stesso mezzo, tra la miriade di pousse-pousse del tutto simili che attraversano le vie della città. Contrattare, se vazaha, è d’obbligo: i conducenti più onesti rincarano di pochi franchi sul prezzo ufficiale. Altri, più spudorati ed esperti, propongono cifre ben maggiori, e molti sono i turisti che le pagano (tali cifre, tradotte in euro, sono comunque un’inezia). Il metodo più giusto per portare a termine la contrattazione sarebbe quello di affidarsi alla guida del conducente più onesto, che propone la cifra più vicina a quella realmente dovuta, e quindi allungargli, dopo la corsa, una corposa mancia, pari anche al doppio della tariffa proposta.
Seduti come passeggeri su di un pousse-pousse si incomincia, immediatamente, a pensare alla propria vita: è istintivo sentirsi ricchissimi, indistintamente dalle proprie condizioni economiche, osservando soprattutto i piedi del conducente (quasi sempre scalzi, a volte anche su un asfalto arroventato dai 40°C all’ombra) e i suoi vestiti laceri. Praticamente sempre, il conduttore è vestito di soli stracci, che noi occidentali non useremmo neppure per pulire il pavimento. Subito dopo viene da pensare alla fatica bestiale che questi uomini fanno, vedendone gocciolare il sudore (che, una volta giunti a destinazione, si asciugano di nascosto, come se provassero vergogna), e i muscoli tendersi. Le prime volte che si sale su un pousse-pousse, inoltre, l’impressione è quella di andarsi a schiantare, nel giro di qualche istante, da qualche parte. In realtà i conducenti sono bravissimi ed equilibratissimi, e rispettano, prima di tutto, l’incolumità dei passeggeri, poi la loro. È anche inevitabile provare un certo senso di colpa, sentendosi un po’ dei neocolonialisti: ma questo è, in fondo, un falso pudore. Questi uomini farebbero lo stesso lavoro ingrato comunque, anche senza di noi, solo che trasporterebbero - in mancanza di vazaha - esclusivamente clientela locale, più esigente e meno disposta a elargire mance. Inoltre, vista l’enorme concorrenza, è sempre meglio farli lavorare piuttosto che impedire loro di pagare il canone quotidiano di noleggio, una scadenza inevitabile. È necessario, dunque, dimenticare, almeno per la durata della corsa, i propri legami culturali, e lasciare da parte inutili scrupoli.
Ad Antsirabe si possono trovare i veicoli meglio conservati (i peggiori, fatiscenti e incrostati dallo smog, ad Antananarivo), e i loro conduttori ne hanno una cura particolare, essendo quello il loro unico capitale e mezzo di sostentamento. Ecco, dunque, che i pousse-pousse vengono spesso riverniciati - sempre con tinte sfavillanti -, abbelliti e tenuti puliti, le ruote gonfiate e le ‘carrozzerie’ riparate non appena dimostrano segni di usura. Alcuni sono veri e propri capolavori, pezzi da collezione di notevole pregio artistico. Per molti conduttori, però, il pousse-pousse, oltre a essere un indispensabile strumento di lavoro, costituisce anche l’unica abitazione: vi dormono, vi mangiano - facendo una breve pausa tra una corsa e l’altra -, vi siedono, conversando con i colleghi, nei rari momenti di relax. Per noi, ‘ricchi’ occidentali, questo singolare mezzo di trasporto può rappresentare, invece, una scuola di vita, un momento di riflessione, per soppesare il nostro maggiore benessere e prenderci in considerazione con un po’ più di umiltà.
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