LE SIGARETTE DI TIMOR EST, FRA RICOSTRUZIONE E IL FIATO SUL COLLO DELL’INDONESIA
In totale dipendenza economica dal mondo esterno, la neonata repubblica di Timor Est cerca di fare i primi passi di uno sviluppo autonomo. Avvolta in una nube di fumo.
Tabacco importato, come tutto
Per capire come stia andando Timor Est basta sedersi al porto di Dili e osservare il viavai delle navi da carico. Quelle che arrivano sembrano avere le chiglie ben piene, quelle che partono galleggiano a un’altezza doppia delle prime; vuote, esportazioni zero. Importazioni: tutto. In un momento di astinenza da primo mondo, un giorno ho investito quattro dollari (una fortuna) per acquistare un pacchetto mini di Settembrini, biscotti ai fichi del Mulino Bianco (non ho ricevuto bustarelle, purtroppo, dalla Casa Produttrice per tale dichiarazione), in uno dei pochi supermercati per portafogli da impiegati dell’ONU. Volete la Nutella? Cioccolate americane? Birra giapponese? C’è tutto, come sempre basta pagare. Fuori del supermercato vegetano adolescenti senza troppe speranze, se non quella di appioppare una scheda telefonica prepagata australiana per i cellulari ai frequentatori dello spaccio per danarosi. Qualche centinaio di metri più in là c’è la piccola e trafficata autostazione (una piazzola sterrata) dalla quale partono gli iperaffollati mikrolet, minibus all’indonesiana, stipati di merci e persone. Non si parte prima che ogni centimetro cubo sia stato riempito da qualcuno o qualcosa. I mezzi hanno decorazioni da luna-park, con adesivi che raffigurano in ordine sparso, e senza grosse necessità di continuità logica, Britney Spears, svastiche, stemmi della Juventus, donne giapponesi dai seni prosperosi, Gesù Cristo, Miss Italia di qualche generazione fa e scritte sgrammaticate in tétum, la lingua ufficiale assieme al portoghese.
Dall’ingresso del supermercato all’autostazione il filo conduttore è uno: adolescenti disoccupati, ma non abbastanza per non potersi permettere un pacchetto di sigarette. D’importazione, of course, soprattutto dall’Indonesia, in gran parte di contrabbando, o dall’Australia (per i ‘ricchi’), nonostante uno dei prodotti tradizionali di Timor Est, oltre all’ottimo caffè e ai Tais (belle stoffe tessute a mano), sia il tabacco. Le sigarette si trovano dovunque, a volte vendute fianco a fianco alla benzina contenuta in bottiglie d’acqua minerale riciclate. Le mini-drogherie te le vendono anche una per volta, se oggi non puoi permetterti il lusso di un pacchetto intero. E quelle più sensibili nei confronti della spettabile clientela hanno un accendino che penzola dal soffitto, legato con uno spago: potete accendervi la sigaretta, ma non portarvi a casa l’accendino. Tra i marchi più reperibili le Marlboro (normali e lights), le kretek indonesiane al chiodo di garofano L.A. in versione lights e al mentolo, o le Gudang Garam, in pacchetti rosso e oro da dodici sigarette. Altre sigarette kretek reperibili negli spacci, ristoranti o presso i venditori ambulanti (cassetta al collo, con pacchetti di sigarette e schede telefoniche), sono le LDO Super, con il logo Timor Leste (il nome del Paese in portoghese) Korea, in pacchetti da dodici pezzi. Tutti i pacchetti riportano le scritte di avviso per la salute, ma non le immagini dei vari disastri che il fumo provoca all’organismo. Le organizzazioni governative legate al ministero per la Salute fanno il loro dovere istituzionale per promuovere campagne antifumo, dirette soprattutto ai maschi giovani, grandi fumatori in tutto il territorio. All’atto pratico, però, tali campagne sembrano ben poco efficaci, Timor Est, d’altronde, è terra di machismo atavico, e fumare, da sempre, fa ‘uomo’. Per rendersene conto basta incappare in uno dei tanti incontri dello sport nazionale, il manu futu, la lotta dei galli. I mafiosi cinesi locali allevano galli filippini da 4-500$, tenuti su di giri a suon di guaranà e Red Bull. Durante la settimana li lavano e li coccolano come fossero Barbie, e la domenica li mettono gli uni contro gli altri, a sgozzarsi a vicenda, con arpioni d’acciaio legati alle zampe. Le scommesse a base di dollaroni impazzano e gli spettatori, rigorosamente solo uomini, fumano nervosi, come ciminiere.
Pubblicato su Smoking
ALTRE FOTO di Timor Est su:Dall’ingresso del supermercato all’autostazione il filo conduttore è uno: adolescenti disoccupati, ma non abbastanza per non potersi permettere un pacchetto di sigarette. D’importazione, of course, soprattutto dall’Indonesia, in gran parte di contrabbando, o dall’Australia (per i ‘ricchi’), nonostante uno dei prodotti tradizionali di Timor Est, oltre all’ottimo caffè e ai Tais (belle stoffe tessute a mano), sia il tabacco. Le sigarette si trovano dovunque, a volte vendute fianco a fianco alla benzina contenuta in bottiglie d’acqua minerale riciclate. Le mini-drogherie te le vendono anche una per volta, se oggi non puoi permetterti il lusso di un pacchetto intero. E quelle più sensibili nei confronti della spettabile clientela hanno un accendino che penzola dal soffitto, legato con uno spago: potete accendervi la sigaretta, ma non portarvi a casa l’accendino. Tra i marchi più reperibili le Marlboro (normali e lights), le kretek indonesiane al chiodo di garofano L.A. in versione lights e al mentolo, o le Gudang Garam, in pacchetti rosso e oro da dodici sigarette. Altre sigarette kretek reperibili negli spacci, ristoranti o presso i venditori ambulanti (cassetta al collo, con pacchetti di sigarette e schede telefoniche), sono le LDO Super, con il logo Timor Leste (il nome del Paese in portoghese) Korea, in pacchetti da dodici pezzi. Tutti i pacchetti riportano le scritte di avviso per la salute, ma non le immagini dei vari disastri che il fumo provoca all’organismo. Le organizzazioni governative legate al ministero per la Salute fanno il loro dovere istituzionale per promuovere campagne antifumo, dirette soprattutto ai maschi giovani, grandi fumatori in tutto il territorio. All’atto pratico, però, tali campagne sembrano ben poco efficaci, Timor Est, d’altronde, è terra di machismo atavico, e fumare, da sempre, fa ‘uomo’. Per rendersene conto basta incappare in uno dei tanti incontri dello sport nazionale, il manu futu, la lotta dei galli. I mafiosi cinesi locali allevano galli filippini da 4-500$, tenuti su di giri a suon di guaranà e Red Bull. Durante la settimana li lavano e li coccolano come fossero Barbie, e la domenica li mettono gli uni contro gli altri, a sgozzarsi a vicenda, con arpioni d’acciaio legati alle zampe. Le scommesse a base di dollaroni impazzano e gli spettatori, rigorosamente solo uomini, fumano nervosi, come ciminiere.
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