lunedì 5 marzo 2012

BRASILE - CAPOEIRA


DISEGNO DI FILIPPO SCOZZARI

Le origini della capoeira,  danza-lotta diffusa in Brasile, si perdono nel tempo e sono, ancor oggi, motivo di discussione. Prima in piccoli gruppi, poi a migliaia, gli schiavi africani, strappati dai villaggi del Benin e dell’Angola, a volte venduti agli europei dai loro stessi re, portarono in Brasile una cultura viva, molto differente da quella lusitana. I neri africani in prigionia presto vennero a contatto con altre forme di cultura: un chitarrista americano, un lottatore di boxe inglese, un sambista brasiliano suonatore di cuica, un cinese pratico di Tai-Chi e un suonatore di swat africano. Queste furono, molto probabilmente, le figure che influenzarono i loro brevi momenti di pausa dal lavoro, portando alla nascita della capoeira. Principalmente in quella zona nota come il Recôncavo baiano - nei centri di Cachoeira, Santo Amaro, Nazaré e Maragojipe,  vicino a Salvador -, si diffuse questa nuova forma di lotta e di danza, sintesi di balli, forme di combattimento e ritmi musicali appartenenti a culture diverse, con radici che affondavano nelle varie nazioni africane.


Appena nata, la capoeira fu violentemente osteggiata dai padroni degli schiavi e, in alcuni luoghi, venne addirittura vietata dai ‘colonnelli’ delle prime fazendas. I motivi di tale repressione erano svariati: la capoeira dava agli schiavi africani un senso di ‘nazionalità’ e offriva al capoerista sicurezza in se stesso. Favoriva la formazione di gruppi compatti, composti di lottatori agili e pericolosi, e durante gli incontri poteva accadere che qualcuno dei lavoratori si facesse male, divenendo improduttivo.



In effetti, ove era permessa, la capoeira di quell’epoca veniva combattuta in forma violenta, non come oggi, dove regola d’oro è quella di non colpirsi. Oppure, quando era semplicemente repressa, la si camuffava, chiamandola con lo pseudonimo di ‘scherzo angolano’. Se proibita, invece, veniva insegnata e praticata di nascosto. Qualunque fossero i limiti che la regolavano, la capoeira di allora era molto differente da quella di oggi e degli ultimi cent’anni: una disciplina piuttosto violenta, il cui ritmo non veniva ancora scandito dal berimbau - lo strumento che oggi la caratterizza - ma, semplicemente, dalle grida, il battito delle mani, il canto degli spettatori. Con il passare del tempo la disciplina iniziò a evolversi e modificarsi, in parte per la necessità di uscire allo scoperto - divenendo legale -, in parte per l’influenza di nuove danze acrobatiche venute dall’Africa.





Con l’abolizione della schiavitù in Brasile (1888), il nero, appena liberato, detentore principale della disciplina, non riusciva a trovare un ruolo nell’ordine sociale esistente. L’acrobata di capoeira, con la sua preparazione di lottatore, una forte sicurezza in se stesso, il suo grande senso d’individualità, cadde rapidamente nell’emarginazione - in un Paese in cui, nonostante il convivere di decine di razze diverse, il razzismo era ed è presente - e, con lui, la capoeira. A Rio de Janeiro si formarono bande di capoeristas che terrorizzavano la popolazione e che, in seguito, furono usati dai politici per esercitare pressioni e disturbare i comizi degli avversari.
Nella Bahia la disciplina ebbe uno sviluppo maggiore: il berimbau passò a essere lo strumento indispensabile per scandire il ritmo degli incontri, generalmente tenuti in luoghi segreti: in quell’epoca la capoeira era ancora proibita per legge. Nel 1900 a Rio il capoerista era un delinquente, sia che fosse bianco, mulatto o nero. Anche nella Bahia il lottatore di capoeira era visto come un emarginato, ma in quella regione la lotta era già portatrice di una filosofia e di un rituale che la caratterizzano ancor oggi. Le persecuzioni e gli scontri con la polizia continuarono: molti maestri furono uccisi per il solo fatto di aver insegnato il ‘gioco d’Angola’. Fu in quell’epoca che sorsero figure leggendarie, lottatori temuti, come Cordão de Ouro, decantato ancor oggi nelle rodas (incontri) di capoeira e personaggio che ha ispirato un film.



Attorno al 1930, il maestro Bimba (Manuel dos Reis Machado, 1901-74) tenne un’esibizione per l’allora governatore della Bahia e ottenne il permesso di aprire una palestra in cui insegnare capoeira: il Centro de Cultura Física Regional Baiano. Per la prima volta, dopo quattrocento anni di proibizione, la capoeira iniziò a essere insegnata e praticata al di fuori dell’illegalità. Fu così che cominciò un nuovo ciclo nella storia di questa disciplina, insegnata, da allora, ai figli delle classi più abbienti di Salvador. Bimba introdusse nuovi colpi (toques) in sequenza - la lotta riprende molti colpi del karate, legati però tra loro dalla danza e da un ritmo fluente, ininterrotto -, creando un metodo di insegnamento basato su otto sequenze di colpi e sulla caduta sempre in piedi. Il maestro sacrificò i ritmi lenti a favore di una maggiore aggressività e di un rinnovato spirito di lotta. Tutto ciò, sommato al fatto che la maggioranza dei suoi alunni provenivano da un’altra classe sociale - più ricca e con valori diversi da quelli dei capoeristas tradizionali -, fece sì che sorgesse un nuovo stile di lotta, chiamato ‘Capoeira Regionale’, mentre quello tradizionale continuava (e continua tutt’oggi) a essere definito come ‘Capoeira Angola’.



Capoeristas baiani emigrarono a Rio o in altre zone del Paese, e là inventarono nuove forme di capoeira, tuttavia di scarso carisma e di scarsa presa sull’opinione pubblica: tant’è che scomparirono rapidamente, con la stessa velocità con cui erano venute alla luce. Fino agli anni Sessanta la culla di questa disciplina rimase Salvador e la zona circostante. Alcuni ex alunni di Bimba si trasferirono a Rio, dove intrapresero l’insegnamento autodidatta. Dieci anni dopo il gruppo Senzala raggiunse il suo momento d’oro, con gli incontri che si tenevano, ogni sabato, nel quartiere carioca di Cosme Velho. Contemporaneamente, la disciplina si diffuse anche a São Paulo, grazie soprattutto agli ex allievi di Bimba, che là piantarono radici e insegnarono la ‘regionale’. Ai metodi di Bimba furono aggiunte la ginnastica intensiva e un allenamento costante e sistematico di colpi. In breve venne adottato, sia a Rio sia a São Paulo, un sistema di classificazione per cinture colorate, come nel karate. Si organizzarono le prime gare, con giudici e regolamenti. La capoeira si diffuse, così, in tutto il Brasile, tanto nello stile tradizionale ‘Angola’ come nel ‘regionale’, oppure in stili ibridi, derivanti dai due più importanti. Salvador perse allora l’egemonia o, meglio, passò a dividerla con Rio e São Paulo, a causa dell’emigrazione - per motivi di lavoro - dei migliori elementi della sua ‘giovane guardia’ verso le due metropoli. A Bimba, scomparso nel 1974, succedettero altri famosi e valenti maestri, divenuti leggendari e legittimi rappresentanti della capoeira più tradizionale.




Gli strumenti musicali
Lo strumento più usato, immancabile in ogni roda di capoeira, è il berimbau, ricavato da una zucca svuotata alla quale sono collegati un arco di legno e una corda. Per battere la corda si usa un piccolo sasso o qualcosa di simile, alternandolo al pizzico delle dita. Accessorio indispensabile è il caxixi, un sonaglio (raganella) di paglia fatto a cestino e contenente sementi o sassolini. Solitamente esistono tre tipi di berimbau, anche se, in pratica, nelle rodas di strada più piccole ne viene usato uno solo. Il gunga, dotato di sonorità più profonda, funge un po’ da contrabbasso e dà il ritmo di base; il berimbau medio ha una sonorità lievemente più acuta e corrisponde più o meno alla chitarra; la viola, infine, è il berimbau dal suono più acuto, simile a un violino. Questo strumento, tuttavia, non è diffuso solo in Brasile: a Cuba, per esempio, viene chiamato con il nome di burumbumba, ed è utilizzato per mettersi in comunicazione con gli spiriti durante le cerimonie della Santería. Anche in Africa ritroviamo diversi lontani ‘parenti’: nello Zambia lo strumento era vietato ai giovani pastori che lo usavano per combattere la solitudine, perché avrebbero potuto distrarsi e perdere il gregge; nel Burundi serve per accompagnare le canzoni e le poesie; in Madagascar troviamo il cordofono, assai simile al berimbau. Altri strumenti che, secondo la tradizione, accompagnano gli incontri di capoeira, sono il pandeiro (tamburello con sonagli), il reco-reco (o canzá, una bacchetta di bambù munita di incavi sulla quale si gratta con un’altra asticella) e l’atabaque (altro tipo di tamburello). Nella pratica, tuttavia, entrambi vengono suonati solo nelle rodas più grandi e ‘professionali’.




Le fasi della roda
In un luogo stabilito - una piazza, su un marciapiedi - i capoeristas si riuniscono attorno agli strumenti, e il pubblico li osserva disponendosi in cerchio. La roda ha inizio con una chula, un canto di strada ipnotico e lento, che invita al raccoglimento e alla concentrazione:

«Agua de beber, ié, agua de beber, camará...»



Ai piedi del (dei) berimbau i due primi lottatori stanno in ginocchio, con lo sguardo rivolto a terra, cercando la concentrazione. Il canto cresce, e con esso l’energia e il magnetismo della roda. I due toccano il terreno con le mani e vi tracciano - con gesti rituali - segni considerati ‘magici’, utili a fortificare, sempre più, la concentrazione. Eseguono quindi la cosiddetta ‘riverenza’: poggiando sulle sole mani, sollevano lentamente il busto e le gambe, facendo una specie di piroetta al rallentatore, mentre il volto sfiora il terreno. Ritornati nella posizione iniziale, si guardano negli occhi, e la sfida ha inizio. Cominciano a studiarsi e si portano al centro del circolo, roteando sui piedi e sulle mani, senza mai staccare lo sguardo l’uno dall’altro. Il canto termina e i capoeristas si muovono lentamente e sinuosamente, quasi come un serpente che attende il momento ideale per colpire la preda. Il suonatore di berimbau dà il ritmo e intona un altro canto, e i lottatori ora sono in piedi: le mani degli avversari si toccano brevemente palmo a palmo, stabilendo un primo contatto fisico di sfida. Partono i primi colpi, velocissimi e alternati a numerose finte: accenni di calci e spazzate, schivate da pugile, pugni appena disegnati nell’aria. Molti colpi hanno nomi particolari, come Ave Maria, Luna, São Bento, Cavalaria, Amazonas. Gli affondi sono rapidi come frustate, ma nessuno di essi va completamente a segno: non è questa la filosofia della capoeira. Ciò che conta, semmai, è la piena consapevolezza del proprio corpo, in totale comunione con lo spirito, dominatore dei movimenti con precisione millimetrica.



Il buon capoerista, dunque, non emerge in quanto forte picchiatore, bensì grazie alla sua potenziale capacità, dimostrata agli spettatori attraverso la perfetta dominanza dei colpi, di raggiungere il bersaglio. Il contatto, quando avviene, si manifesta solitamente con una rapida presa che mette al tappeto l’avversario - un po’ come nel judo -, dalla quale però ci si libera immediatamente, riprendendo la sequenza dei colpi. Questi si susseguono in una serie apparentemente perfetta, musicale, appaiono combinati in anticipo, tanto sono ‘puliti’ e veloci. L’incontro dura brevi ma intensi minuti. Altri due sfidanti hanno già preso posizione ai piedi del berimbau e, fatta la ‘riverenza’, si portano al centro della roda: dopo un ‘passaggio di consegne’, rappresentato dallo sfiorarsi delle mani con i capoeristas precedenti, il nuovo incontro ha inizio.




La capoeira oggi
È innegabile come gli incontri di capoeira che oggi si possono vedere per le strade di Salvador abbiano perso - dopo un primo impatto, quando si viene automaticamente ammaliati da questa disciplina - gran parte della loro anima originaria. Il turismo di massa, spendaccione e superficiale, purtroppo è la causa di ciò. Le rodas alle quali capita di assistere alla base del Mercado Modelo, sul lungomare di Itapoã o nel Pelourinho, altro non sono che tristi spettacoli allestiti esclusivamente per raggranellare qualche real o, meglio, dollaro: ben lontani dalla filosofia di vita e dalla ferrea disciplina sportiva dei tempi di Bimba. Il capoerista, d’altronde, usa gli strumenti che ha a disposizione - la propria maestria - per lavorare, né più né meno di un operaio o un impiegato; e ciò non è di certo condannabile. 



Se, però, le sue motivazioni sono condivisibili, è altrettanto vero che un po’ di amaro in bocca, dopo che si è assistito alla decima roda consecutiva organizzata esclusivamente per estorcere i soldi ai turisti, rimane. ‘Estorcere’, in effetti, è la definizione esatta: chi, dotato di faccia da gringo e armato di macchina fotografica o videocamera tra le mani, si insinua tra il capannello di persone che assiste all’incontro e osa rifiutarsi di pagare la cosiddetta ‘contribuição’ - un eufemismo che si potrebbe tranquillamente tradurre con ‘pizzo’ -, rischia seriamente di venire malmenato. E, viste le capacità dei capoeristas, non è da sottovalutare la peggiore delle ipotesi. Gli atleti-mercenari, d’altronde, in questi ultimi anni hanno sviluppato una tecnica ‘ragionata’, che dà frutti nove volte su dieci. L’ignaro turista viene fatto avvicinare tranquillamente, guardandosi bene dal fargli notare, prima che estragga i suoi costosi accessori di ripresa, che se vorrà immortalare le fasi dell’incontro dovrà pagare. Chi non conosce questa tattica, soprattutto se straniero, si sente quindi autorizzato a riprendere, questa roda così come un qualsiasi altro evento pubblico, ‘da marciapiede’. Solo allora, dopo un buon numero di scatti, il capoerista - solitamente quello con la faccia meno rassicurante e con i bicipiti più in vista - gli si avvicina ‘chiedendo’ (ordinando) l’obolo. Chi pensa che non sia giusto pagare (per motivi propri, per spilorceria, perché crede che il denaro dato per assistere a quell’incontro - ufficialmente organizzato per raccogliere fondi per i meninos de rua - si trasformerà, alla velocità della luce, in qualche bottiglia di birra, o perché si è dimenticato il portafogli in albergo), viene letteralmente minacciato; se, poi, osa reagire, non è da escludere che si trasformerà in un punching-ball in carne e ossa.


Ciò che è più paradossale è come gli incontri di capoeira siano molto più tranquillamente osservabili in qualsiasi altra città del Brasile al di fuori di Salvador, sua culla natale. A São Paulo o a Porto Alegre, città lontane dal flusso turistico, per esempio, chiunque pratichi questa disciplina è solitamente molto felice di venire immortalato da qualche spettatore durante i propri esercizi, senza esigere alcunché. Le stesse academías di Salvador, le palestre in cui si insegna capoeira, si stanno lentamente trasformando in trappole per turisti. Volete vedere? Basta pagare... Tra queste, comunque, per chi proprio DEVE assistere a un incontro in palestra, si possono segnalare Capoeira de Angola (Rua Carlos Lopes 15), Mestre Bimba (Rua Barreto 1, primo piano, Terreiro de Jesus) e Grupo Pelourinho (Largo de Santo Antonio).


È altrettanto innegabile, tuttavia, come sia indispensabile un allenamento prolungato e costante per diventare bravi capoeristas - molte anche le donne - e come sia quasi impossibile che chi esegue gli esercizi in strada sia un improvvisatore fasullo, se non per un pubblico del tutto inesperto. Alcuni maestri, inoltre, con il loro insegnamento tengono molti bambini e adolescenti lontani dalle insidie della vita di strada, ricoprendo un’importante funzione sociale. Dunque una disciplina, la capoeira, dalla doppia faccia, oggi come alle sue origini.


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