mercoledì 7 marzo 2012

SINGAPORE - FUMARE, NELLA CITTÀ DEI DIVIETI


UNA BOCCATA DI TABACCO, A SINGAPORE

Viaggio tra le mille regole della città-Stato incuneata fra due grandi fumatori (Malesia e Indonesia). Dove bisogna fare un po’ di slalom fra i cartelli di divieto prima di potersi accendere una sigaretta.

Regole, dai souvenir alle fruste
Fra le montagne di paccottiglia piazzata ai turisti di mezzo mondo che affollano la Chinatown di Singapore qua e là spiccano piccole calamite-ricordo che, tra il vero e il faceto, riprendono alcune regole comportamentali per il cosiddetto ‘lieto vivere’ della comunità. Si sa che i collezionisti di calamite da applicare al frigo venderebbero le madri per un nuovo esemplare, tanto più pregiato quanto strano, ma… le calamite con i divieti della ‘città del leone’ (dal sanscrito Singa-pura: così viene soprannominata, grazie alla leggenda malese secondo la quale fu fondata da un principe buddista di Sumatra), dopo suscitarci una prima risat(in)a, presto diventano il simbolo del ciarpame da asporto e, al tempo stesso, un inquietante richiamo del dove siamo. In ordine cre$cente: non avete tirato l’acqua in una toilette pubblica (il disegnino rappresenta una gamba maschile che abbandona a passo spedito un water preso d’assalto dalle mosche)? 150 dollari di Singapore (circa 85 euro) di multa. Osate fumare dove non consentito? 500 dollari (280 euro). Fare le bolle con la gomma da masticare/pipì per strada/sputare/buttare immondizie per terra/raccogliere fiori/sprecare acqua/dare da mangiare agli uccellini? MILLE dollari (560 euro). Non è chiaro se tali cifre siano reali o inventate, arrotondate per eccesso dai fabbricanti di gadget per turisti (gli stessi disegni e slogan sono riportati su magliette, nel caso le calamite non bastassero). Anche se gli importi corrispondessero per solo il 10% alla realtà e i reati fossero davvero tali, ci sarebbe da accapponare la pelle. Singapore è nota per l’infinità di regole, in parte volute da Lee Kuan Yew, ex ‘padre della patria’ moderna, oggi anziano signore di origine cinese ritiratosi dal business del potere. Molti ricorderanno l’episodio di Michael Peter Fay, il cretino americano diciottenne che nel 1994 fu arrestato per vandalismo e furto di segnaletica stradale, punito pubblicamente con quattro frustate sul sedere (l’allora presidente Clinton ottenne uno sconto di due frustate, una per natica, per il suo concittadino scemo del Missouri). Lo scorso giugno una sorte analoga (appena tre frustate: Singapore vuole essere moderna) è toccata allo svizzero Oliver Fricker, un ‘graffitaro’ che aveva deciso di regalare la propria incommensurabile arte a due vagoni della metropolitana. Di fronte a questi due casi ‘eccellenti’, in quanto coinvolgenti due stranieri primomondisti, l’Occidente ha gridato allo scandalo. In realtà, da sempre, a Singapore quattro cinghiate sul fondoschiena non hanno mai fatto davvero male a nessuno e dalla notte dei tempi sono state distribuite con generosità a gente locale meno quotata sul mercato delle nazionalità. Tale attività ricreativa, è lecito pensarlo, ha provveduto a insegnare un po’ di educazione a gente con genitori latitanti e con frequentazioni scolastiche superficiali. Il risultato è quello che è, una bella città pulita e ordinata, magari un po’ noiosa, ma neanche troppo. Un Paese dove far crescere i propri figli, in un ambiente sicuro e cosmopolita, efficiente e, reddito permettendo, con un’elevata qualità della vita. Un posto dove buttare una cartaccia per terra è considerato cosa non civilissima. Ma state tranquilli: nessuna frustata sembra contemplata dal codice penale di Singapore per i fumatori recidivi (sembra che circolino reati più gravi).




Cinesi, fumatori da sempre, anche nell’aldilà
I cartelli di divieto di fumo abbondano in ogni dove e, più di rado, quello dei cosiddetti smoking corner, angolini d’aria dove si può godere una boccata di tabacco senza lo spauracchio della frusta. Come in altri luoghi ‘civilizzati’, chi vuole fumare si fa due passi fuori e si accende una sigaretta alla base di un edificio, all’uscita di uno shopping center o di un negozio. Scena classica nordamericana, più o meno. Il rispetto per l’ossigeno di chi non fuma, però, cozza contro l’atavica passione cinese per il tabacco. E Singapore è una città-Stato a forte predominanza cinese, seguita da minoranze malesi (perlopiù musulmane) e indiane (in gran parte Tamil). Le due anime, i due lati della barricata (fumo sì/no), convivono in qualche modo, come tutto il resto. Convivenza è uno dei principi cardine di questa città abitata da una società multietnica con appena quattro lingue ufficiali e con profondi abissi culturali che, però, è in grado di amalgamare in un unicum pacifico. Tracce cinesi, nel mondo delle sigarette di Singapore, si trovano anche nei negozi specializzati nella vendita di offerte religiose, da bruciare soprattutto durante le ricorrenze in cui si commemorano i defunti (in particolare la festa di Ching Ming, agli inizi di aprile), importantissime per gli oriundi cinesi. In questi negozi si vendono imitazioni in cartoncino di tutto ciò che è considerato ‘lusso terreno’, da bruciare e spedire, via fiamme, agli spiriti dei cari scomparsi: automobili, televisori, banconote, borse firmate, lattine di birra o di bibite, bottiglie di liquore. Tutto rigorosamente con marchi inventati: nessun fabbricante di tali oggetti vuole processi per taroccatura contro qualche grande azienda americana o giapponese e, soprattutto, contro i loro avvocati. Ecco, dunque, bottiglie di birra Guinnecc Original e Heioekeo, evidenti richiami, come logo, forma e colori, alla Guinness e all’Heineken. Televisori Hell (Inferno), lattine di Crest-Cool (Coca-Cola) e, dulcis in fundo, stecche di sigarette Mei Tlaoc o Ming Pai, in tutto e per tutto identiche, fatta eccezione per il nome e il contenuto, a quelle delle Marlboro.



Posacenere ovunque. Anche addosso
Qua e là si trova qualche posacenere da marciapiedi eticamente corretto, con orme di piedi dipinte sopra e la dicitura, scritta in inglese giovanilistico, reduce ur ecological footprint (‘riduci le tue/nostre orme ecologiche’ = i mozziconi abbandonati in strada). Questi contenitori, però, non sono ritenuti sufficienti, ecco dunque che lo scorso luglio è stata lanciata una campagna per distribuire posacenere portatili. Alcuni rappresentanti delle comunità di base hanno distribuito gratuitamente i nuovi tutori dell’igiene ambulante. Basta sporcaccioni che buttano i mozziconi per terra. Gli astucci, di plastica, più o meno grandi quanto un accendino, servono a contenere cenere e mozziconi fino al primo bidone che incontreremo nel mezzo del cammin di nostra vita. Tutti portano scritte anti-sozzoni sui lati. Scovato qualche sponsor fra le comunità di base, ne sono stati prodotti seimila, poi distribuiti in strada. Due terzi degli intervistati in merito si sono detti pronti a utilizzarli (ovvio). Ora i posacenere take-away sono reperibili in alcuni negozi, a prezzo irrisorio. Buttare un mozzicone per terra e venire beccati equivale a ricevere una multa di 300 dollari di Singapore, circa 170 euro. Lungo le strade il controllo da parte delle autorità governative è frequente. Agenti in borghese controllano e fotografano i ‘malfattori’. Se vieni beccato tre volte a insudiciare la pubblica via sarai costretto a raccogliere rifiuti per una giornata di lavoro non retribuito mentre indossi un’uniforme sulla quale è scritto che sei sotto ‘punizione correttiva’. Gli altri, vedendoti con quell’uniforme, sapranno che sei uno sporcaccione recidivo.



Marche e mercato
A Singapore le sigarette si acquistano un po’ dovunque, ma a prezzi di gran lunga superiori rispetto a quelli delle vicine Malesia e Indonesia. Il costo medio è di 10 dollari di Singapore, circa 5,60 euro a pacchetto, tra le più care al mondo e più del doppio che nella confinante Malesia. I molti singaporiani che quotidianamente attraversano la frontiera via terra con la malese Johor Bahru, cittadona considerata ‘del peccato’ (qualche postribolo e, in passato, con una microcriminalità rampante; oggi una specie di tentativo di clone malese di Singapore), fanno incetta di tabacco pagandolo con il più debole ringgit malese, anziché con il più pregiato dollaro di Singapore. Le limitazioni ufficiali alle importazioni, però, sono molto restrittive, anche se in dogana nessuno sembra fare perquisizioni corporali per controllare se vi siete infilati un pacchetto sotto le ascelle.



Ogni singola sigaretta prodotta a Singapore ha (deve avere) la scritta doganale SDPC (Singapore Duty-Paid Cigarettes), larga tre millimetri, in prossimità del filtro. Introdotta a partire dal 1° gennaio 2009, la sigla certifica la provenienza DOC della sigaretta, per la quale sono state pagate tasse all’erario singaporiano. Facile, dunque, stanare la sigaretta importata di contrabbando, anche a prescindere dal pacchetto in cui è contenuta. Come in Malesia, anche a Singapore i 419 mini-market della catena 7-Eleven offrono una vasta gamma di pacchetti, internazionali e regionali, con la consueta campagna fotografica e a base di slogan terroristici riportati su entrambi i lati. Singapore è stato il primo Paese asiatico, nel 1971, a proibire la pubblicità del tabacco. Oltre ai classici marchi internazionali si trovano sigarette Centori al mentolo, Halftime 5 (sigarette ‘tematiche’, messe in commercio a traino degli ultimi campionati del mondo di calcio), le malesi Texas 5, la americane Gold Coast (fabbricate dalla Forsyth Tobacco Products) e Viceroy (prodotte dalla Brown & Williamson e dalla Reynolds American Inc., una joint-venture tra la filiale americana della British American Tobacco e la R.J. Reynolds Tobacco Company) o sigarette cinesi dai nomi impronunciabili.

Pubblicato su Smoking


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