venerdì 9 marzo 2012

ITALIA - DAL PENNELLO AL CALICE


I murales di Dozza (Bologna)

Dozza, nella limitata mappa mentale mia infanzia, era ‘il posto con il pollo alla Diavola di Canè’. Già negli anni Settanta, infatti, il ristorante Canè era un’istituzione di quel borgo medievale e i nonni mi portavano fin là - a ben venticinque chilometri da Bologna, con la loro Giulietta - a soddisfare una fame atavica, per quanto può esserla quella di un bambino di cinque-sei anni.
Le delizie del palato divennero ricordo, almeno fino a quando, parecchi anni dopo, non tornai in missione fotografica in quel piccolo borgo antico. Il luogo continuava ad andare a braccetto con le gioie della cucina: appena vi rimisi piede, trascinandomi su e giù per via XX Settembre - la strada principale -, mi imbattei in una scena simbolica, quasi dantesca, delle mie terre. Davanti a un ristorantino arrivò sfrecciando e parcheggiò un ragazzone che guidava una Mercedes a cinque stelle, tirata a lucido e nuova fiammante.
Un ministro?
No. Si trattava del garzone del macellaio, che sotto i miei occhi esterrefatti iniziò a scaricare quarti di bue, allora ancora non pazzi, dal baule dell’auto.
Dopo di allora, forse per inseguire i fantasmi dell’infanzia, molto più probabilmente per il suo fascino intrinseco a breve distanza da casa, ho continuato a tornare a Dozza, ogni anno. Il nome completo sarebbe Dozza Imolese, in quanto il paese è a due passi da Imola - dunque già in territorio romagnolo, anche se di poco -, lungo la via Emilia, poco oltre Castel San Pietro. A un’altitudine di 190 m, la piccola cittadina domina l’agglomerato moderno che si trova tre chilometri più giù, dove vive la maggior parte delle persone, impiegate soprattutto nelle molte industrie disseminate lungo la via Emilia. Il borgo medievale, senz’altro quello più interessante, è costituito da due sole stradine - via XX Settembre e via De Amicis - attraversate da stretti vicoli che si snodano fra le costruzioni. Lungo le strade, sui muri delle case e dei palazzi pubblici, decine di affreschi multicolori catturano lo sguardo del visitatore, come in un museo a cielo aperto. Ma se si pensasse al lavoro improvvisato di principianti del pennello si sarebbe fuori strada: da Dozza sono passati artisti di grosso calibro, italiani e stranieri: da Roberto Sebastian Matta a Bruno Saetti, da Aligi Sassu a Domenico Purificato, da Alberto Sughi a Giuseppe Zigaina, da Riccardo Licata a Concetto Pozzati, da Keizo a Tono Zancanaro, da Remo Brindisi a Norma Mascellani. Mento a quarantacinque gradi e naso all’insù, a Dozza si possono godere (gratuitamente, trecentosessantacinque giorni all’anno) esempi di Neorealismo, Concettualismo, Neofigurazione, Astrazione geometrica e formale, Pop Art, Fantastico. Il tutto, unito e amalgamato all’architettura medievale, ha dato al paese la qualifica di 'capitale dell’affresco moderno'.






La Biennale del Muro Dipinto
L’idea di trasformare il borgo antico in una galleria d’arte risale al giugno del 1960, anno in cui la Pro Loco organizzò la prima edizione della rassegna Biennale d’Arte Contemporanea del Muro Dipinto (http://www.murodipinto.it/, nel 2013 dall'11 al 15 settembre) - allora un vero e proprio concorso -, con lo scopo di far conoscere il piccolo agglomerato al turismo solitamente confinato in Riviera. Annuale fino al 1964, dall’anno successivo la manifestazione divenne biennale: organizzare l’evento richiede fondi cospicui, soprattutto da quando i ‘nomi noti’ non partecipano più solo in cambio di gloria, vitto, alloggio e spese di trasferimento.
Gli affreschi corrosi dagli agenti atmosferici e dal tempo, così come quelli degli artisti troppo famosi per andare perduti, dopo qualche anno all’aperto vengono letteralmente ‘strappati’ dalle pareti, con una tecnica lunga e dispendiosa, soprattutto per gli acrilici. In questo caso viene applicata una tela sull’opera, per poi essere riportata su un secondo robusto strato di tele, a cui si fissa con una colla non reversibile. I murales ‘strappati’ vengono così conservati, assieme ai bozzetti originali di tutte le opere - fin dalla seconda edizione è regola che gli artisti donino i loro progetti al comune -, nell’apposita Pinacoteca, ospitata al piano superiore della Rocca.
I dipinti - se ne contano circa un centinaio - sono disseminati un po’ dovunque lungo le viuzze e le case del borgo, silenzioso e pulito, che si percorre tutto in poche ore e che riserva al visitatore piacevoli sorprese a ogni passo. Fin dall’ingresso all’interno della cerchia delle vecchie mura si aprono suggestivi scorci sulle ripide stradine e sui vicoletti che le intersecano; ma anche sugli archi che inquadrano il susseguirsi delle facciate delle abitazioni dai balconi adorni di piante fiorite - a tale tema è dedicata una sagra apposita in giugno -, oppure sulla pianura e le colline circostanti, percorse da filari di viti o da frutteti rigogliosi; sui porticati che racchiudono, in angoli appartati, i negozi e le botteghe artigianali; sulle piazzette che invitano alla sosta; sui muri delle case, che sono un rincorrersi a perdita d’occhio di affreschi e rilievi, testimonianza permanente del lavoro degli artisti. Proprio per questa sua ultima caratteristica, quella di ‘museo dell’arte a cielo aperto’, Dozza è gemellata con Montparnasse.






Non solo murales
Dozza, però, non è fatta di soli polli alla Diavola e di murales, un’arte (la seconda) diffusa in molti altri luoghi d’Italia - sebbene in gran parte venuti dopo: basti pensare a Vernate (Cuneo), a Camogli (Genova), a Bordano (Udine), a San Giovanni in Persiceto (anch’essa in provincia di Bologna), a Novellara e Bismantova (entrambe in provincia di Reggio Emilia), a San Felice Circeo (Latina), a Vietri sul Mare, Frasso e Lauro (tutte e tre in Campania), a Diamante (Cosenza), a Satriano di Lucania (Potenza), a Santa Maria del Bagno (Lecce), a Trappeto (in Sicilia), a diversi centri della Sardegna (Orgosolo prima fra tutti, ma anche Villamar). Solo per citarne qualcuno. Italia come Messico? Perché no.
Partendo dai murales di Dozza si può conoscere l’intero borgo, che ha molto altro da offrire al visitatore. Il nome della cittadina, tanto per cominciare dalle lettera A, sembra derivare dal latino aquarum ductio - trasformato nel Medio Evo in Dutia o Ducia, poi in Duza e Doccia -, ‘raccolta d’acqua’, poiché il prezioso liquido fu sempre di difficile reperimento nell’abitato arroccato: per lungo tempo si dovette provvedere al suo immagazzinamento tramite serbatoi e vasche. Lo stesso stemma del comune, con un grifo che si abbevera, riprende questo tema.
Caposaldo strategico trincerato su una collina lungo la vecchia strada ‘del Calanco’ - che si dirama dalla via Emilia -, Dozza ha conosciuto splendore e rovina in tutto l’arco di tempo che va dal III secolo d.C. all’inizio dell’Ottocento. Contesa fra Galli e Romani, Visigoti e Unni, Eruli e Goti, Longobardi e Bizantini, Impero e Chiesa, Guelfi bolognesi e Ghibellini imolesi, Comuni della Lega Lombarda e Federico Barbarossa, tra le famiglie bolognesi Malvezzi e Campeggi e, infine, tra Papato e Repubblica, è stata più volte evacuata e ripopolata, incendiata e ricostruita, conservando fino a oggi, comunque, l’impianto originario medievale di castello cinto da mura. Queste ultime risalgono al 1086, anno in cui i bolognesi circondarono l’abitato per proteggerlo. Circa due secoli dopo costruirono anche una rocchetta con un rivellino, all’entrata nord-orientale del borgo.


Accanto all’arco dell’orologio che chiude piazza Zotti, la piazzetta centrale, un belvedere si affaccia sul panorama collinare, nei pressi del quale si nota la loggetta cinquecentesca del Palazzo Comunale, la cui facciata, però, è del Novecento. Sul lato opposto dell’arco, di fronte all’entrata del municipio, c’è la chiesa prepositurale di Santa Maria dell’Assunta (edificata nel XII sec. e ricostruita negli anni 1480-90), al cui interno si possono ammirare un quadro di Marco Palmezzano (Madonna con il Bambino in trono fra i santi Giovanni Battista e Margherita, del 1492) e due opere pregevoli in arenaria (una lunetta romanico-bizantina raffigurante la Madonna in trono e il Battistero, del 1872), nonché il monumento funebre al Cardinale Lorenzo Campeggi, nella cripta, del 1630. Attiguo alla chiesa, nelle stanze della canonica, c’è il Museo parrocchiale d’Arte Sacra (aperto ai visitatori su richiesta) e, nella vicina località Monte del Re (a circa 3 km), la chiesa di San Francesco, con un dipinto seicentesco dell’Avanzi. A Monte del Re sono affiorati i resti di un antico acquedotto, ancora una traccia che lega il borgo medievale all’acqua. Sulla via del Calanco, una strada costruita nel 1614, si può infine visitare il santuario del Calanco, del Seicento. Conserva una Madonna in scagliola del Quattrocento che, ogni anno nel giorno di Pentecoste, viene portata in processione.


La Rocca, dalla storia al vino
Nella parte più alta del paese sorge l’imponente Rocca Sforzesca, un grande edificio che, sopra la classica struttura militare della fortificazione medievale, ha riportato e fuso le strutture possenti del palazzo gentilizio, il tutto armonizzato mirabilmente con il tessuto urbano da un lato e il parco e il paesaggio collinare dall’altro. Ricostruita nel XV sec. per mano dell’architetto fiorentino Giorgio Marchesi, la Rocca passò, dopo alterne vicende e numerose dispute, dalle mani degli Sforza - a Caterina, Signora di Imola e di Dozza, si deve la sua ricostruzione - a quelle della famiglia Malvezzi-Campeggi, che la abitò fino al 1960, anno in cui fu acquistata dal comune. La Rocca è aperta ai visitatori (dal martedì al sabato dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18, la domenica e i giorni festivi dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19) ed è di notevole interesse per la presenza degli attrezzi di tortura, per il trabocchetto situato davanti alla cappella con l’altare (il ‘pozzo a rasoio’: si sanguina solo a guardarlo, dall’alto della grata che funge da anti-suicidi) e per le scritte lasciate dai condannati sulle pareti delle prigioni. Le sale dell’antica dimora dei Malvezzi e dei Campeggi conservano i mobili, i dipinti, gli infissi e le soffittature datati nell’arco di tempo che va dal Cinquecento all’Ottocento, accanto agli impianti e agli arredi delle cucine - al pianterreno -, dei bagni e dei locali della servitù.


La visita solitamente comincia dalla Sala Maggiore - quella che dà accesso ai camminamenti di ronda, seguendo un percorso indicato da cartelli -, le cui pareti sono decorate da ritratti e arazzi che riprendono la storia della famiglia. Si passa poi per la Sala dell’Arazzo e la Sala Rossa con la camera di Pio VII, con mobili preziosi del Cinque-Seicento e una specchiera dorata dell’Ottocento. La struttura militare è evidente nella sala d’armi, nelle prigioni e nella ‘stanza di giustizia’, mentre le torri e i camminamenti, dai quali è possibile godere un bel panorama, si affacciano sul borgo e sulla campagna.
Nella Pinacoteca, al piano superiore, oltre agli ‘strappi’ più vecchi e importanti, sono ospitate due mostre permanenti, dedicate ad altrettanti artisti ‘portabandiera’ di Dozza: Norma Mascellani - suo è il bel San Giorgio conservato sotto il portico del municipio - e Aldo Borgonzoni, grande ritrattista dei padri storici del socialismo italiano.


L’Enoteca Regionale dell’Emilia-Romagna

La carenza d’acqua che ha dato il nome al borgo, come per un paradosso, nel tempo è andata di pari passo al vino, divenuto oggi fonte di ricchezza e bandiera di Dozza. Nei sotterranei della Rocca, infatti, ha sede la ricca Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna (http://www.enotecaemiliaromagna.it/, tel. 0542678089,  chiusa il lunedì), sorta nel 1970 per iniziativa di enti pubblici e di produttori privati locali, poi riconosciuta con una legge apposita nel 1978 dalla Regione quale strumento idoneo alla promozione dei vini dell’Emilia Romagna in Italia e all’estero. Lo spazio, interamente restaurato nel 1990, è organizzato come le caves francesi, con un percorso lungo il quale il visitatore, consigliato da vari somellier esperti, può conoscere, degustare e acquistare i vini pregiati di tutta la regione: Albana di Romagna, Sangiovese, Trebbiano, Lambrusco, Bianco di Scandiano e la vasta gamma dei prodotti dei Colli bolognesi e dei Colli di Parma. I vini - sono rappresentati circa 200 produttori con oltre 800 etichette regionali - sono divisi in sezioni, ognuna delle quali è associata a una o più portate dei pasti. Qua e là spuntano grappe pregiate, l’aceto balsamico di Spilamberto e di Modena, marmellate e cioccolatini - questi ultimi al succo d’uva e all’aceto balsamico, provare per credere. L’enoteca, inoltre, gestisce una mostra permanente dei vini più pregiati e organizza manifestazioni e convegni di enologia durante le più importanti manifestazioni fieristiche, nazionali ed estere.
Gli orari di apertura al pubblico (l’ingresso è gratuito) sono:
lunedì: chiusura
martedì 10-13, 16-19,30
mercoledì 10-13, 16-19,30
giovedì 10-13, 16-19,30
venerdì 10-13, 16-22,30
sabato 10-13, 15-22,30
domenica e festivi 10-13, 15-19,30




ALLOGGI:
Hotel Monte del Re (via Monte del Re 43, tel. 054.2678556, montedelre.it). Su una collinetta a 3 km dal borgo, 44 camere ospitate in un ex monastero francescano del Duecento circondato da un parco. Ambiente chic e riservato (degno delle sue cinque stelle), doppie da 149 euro a notte.
Albergo Canè (via XX Settembre 27, tel. 0542.678120, ristorantecanet.it), presso il ristorante omonimo. Dodici camere semplici e accoglienti, con arredi in legno di ciliegio e connessione Internet. Doppie da 80 euro notte, prima colazione inclusa.

Pubblicato su Smoking, Gente Viaggi, Diario di bordo



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