Viaggio nell’industria del tabacco marocchino, tra monopolio e mercato globale
Lasciate le Ferrari del padre in garage, il giovane re del Marocco pare aver dato un colpo di spugna al passato, almeno quello fatto di privilegi. Mohammed VI, beneamato dalla sua gente, sembra fare di tutto per traghettare il Paese verso la modernità, ma senza rinnegare passato e tradizione. Il sovrano ama infiltrarsi fra le persone, privo di appariscenti scorte o di simboli di casta, e carpire ciò che davvero la sua gente pensa, ciò che vuole e ciò di cui ha bisogno. Da quando è al potere lo si è visto dappertutto, in un apparente corsa irrefrenabile verso l’anonimato (ma il Paese è tappezzato con le sue foto) e la voglia di risollevare il Marocco dalle ceneri dell’arretratezza. Testa di ponte tra vecchio continente e madre Africa, il Paese sta vivendo un momento di particolare fervore economico. Da un lato le rimesse degli emigrati, dall’altro numerosi progetti di sviluppo e le riforme economiche volute dalla casa reale, a cui va aggiunta una manodopera specializzata a prezzi competitivi. Tanto che molti industriali occidentali, stanchi delle furbizie cinesi (gli stilisti e i designer che qualche anno fa avevano avviato impianti a Pechino oggi si vedono copiati i propri modelli ventiquattrore dopo che sono stati tirati fuori dalla cassaforte), hanno iniziato a traslocare qui.
Un monopolio durato oltre un secolo
Il primo tentativo di istituzionalizzare la produzione del tabacco in Marocco si ebbe nell’Ottocento per mano del Moulay Abderrahmane (1812-59), che nazionalizzò questa coltura per garantire delle entrate al suo governo. Il monopolio fu sancito nel 1906 con l’Atto di Algeciras e quattro anni dopo si tenne la prima asta per concederne lo sfruttamento. La prima concessione fu data a Mr. Léon Weil, che trasferì i diritti così acquisiti alla Régie Co-intéressée des Tabacs du Maroc per quarant’anni. La prima manifattura aprì a Tangeri, seguita da due a Casablanca e a Kénitra. Nel 1967 la casa reale non rinnovò il contratto e istituì la Régie des Tabacs du Maroc (RTM), quale unico ente a monopolio statale per la gestione del tabacco. Il sistema di coltivazione ‘moderno’ fu introdotto nel 1918 nella regione nord-occidentale di Moulay Bousselham, ma prese davvero piede solo negli anni Quaranta, nella regione occidentale del Gharb. Dopo l’indipendenza dalla Francia (1956), la coltura del tabacco fu estesa alle regioni di El Hajeb, Ouazzane e nella catena montuosa settentrionale del Rif. In seguito si iniziarono a coltivare anche zone più ampie, meno racchiuse dalle alture, coltivabili su larga scala. Oggi le piantagioni sono situate nel pre-Rif e nell’Atlante Centrale, così come nelle zone irrigate di Doukkala, Gharb, Loukkos, Haouz e Sous-Massa. L’RTM ha contribuito fortemente alle casse dello stato: nel 2003 il 6% delle entrate statali era dovuto al profitto ricavato dal tabacco, pari al 1,7% del PIL. Le tasse e le imposte costituiscono oltre il 70% del costo al dettaglio delle sigarette. La tassa per il monopolio è quella più gravosa (65%), cui segue quella sui profitti. Fra le altre voci incluse nel prezzo dei pacchetti, fino a poco tempo fa, si contavano altri contributi minori, fra cui quello a un ‘fondo comune’ e l’assistenza alla Palestina. L’RTM ha gestito sia la produzione e la distribuzione dei marchi locali, sia di quelli importati. Nel 2000 questi ultimi costavano cinque volte e mezzo, in media, rispetto a quelli marocchini. I marchi locali, per forza di cose più economici (niente tasse di importazione, manodopera a basso costo), vantano un gradimento ‘variabile’, discordante a seconda delle opinioni. Alcuni fumatori li ritengono di qualità inferiore rispetto a quelli importati. Altri, invece, sottolineano come anche i marchi stranieri (in particolare quelli americani), prodotti in loco o importati - a volte da Paesi terzi -, in realtà siano di qualità inferiore, meno ‘forti’ rispetto ai marchi originali. Il contrabbando, forte negli anni passati (soprattutto a Casablanca), corrisponderebbe all’8% del consumo totale, sebbene di recente abbia subito un giro di vite, grazie a un maggiore controllo.
Un po’ di cifre, qualche legge
Nel 1999 il tabacco rappresentava il 2,5% del totale della spesa annua pro capite dei marocchini (19$; negli anni Sessanta era l’1,2%). Il consumo delle sigarette è aumentato negli ultimi quarant’anni soprattutto nelle zone rurali. Il grosso delle entrate generate dalle sigarette è dovuto quasi totalmente (99%) alla trasformazione e alla distribuzione, ma ben poco alla coltivazione delle piante. Nel territorio marocchino operano circa 7000 produttori impegnati in questo settore, su un’area di circa 4500 ettari: poca cosa, se si considera che il Paese ha nove milioni di ettari coltivati. La RTM, negli anni passati, oltre a concedere i permessi di coltivazione rinnovabili di anno in anno, ha istituito un sistema di raccolta del prodotto su quindici centri, in particolare nella regione di Ouazzane. L’industria del tabacco locale non offre molti posti di lavoro: il 70% di tutto il tabacco grezzo è importato. Nel 2004 in Marocco sono stati consumati 14,5 miliardi di sigarette. Il 34% degli uomini e l’1% delle donne oltre i vent’anni sono fumatori. Nel 2005 le sigarette più vendute erano quelle a prezzo medio e con un’alta percentuale di tartaro. Nello stesso periodo, però, le sigarette con livelli medi di tartaro hanno visto la crescita più rapida. Le sigarette più economiche sono quelle locali, di solito consumate dai fumatori a reddito più basso e nelle campagne. Le sigarette sono vendute ovunque, spesso singolarmente (5 centesimi di euro per le più economiche, 10 per quelle pregiate), da venditori ambulanti, posteggiatori, camerieri. I sigari continuano a essere un prodotto di lusso, poco popolare tra i marocchini. Quasi completamente scalzati dal consumo delle sigarette, sono riservati all’élite, fumati in occasioni speciali e ancor oggi visti come uno status-symbol. Sulla carta, il Marocco ha una strategia di controllo del fumo. La legge del 1998 proibisce il fumo nei luoghi pubblici, così come la pubblicità delle sigarette. Tutti i pacchetti hanno le consuete scritte antifumo. Le leggi, tuttavia, sono deboli e non regolano il livello del tartaro. Molti non le rispettano e si fuma un po’ dovunque. L’unica vera legge sembra essere quella del Ramadan: durante il periodo di digiuno sacro chi fuma lo fa di nascosto oppure dopo il tramonto…
Altadis, il colosso
Nel 2005 il gruppo franco-spagnolo ha rilevato l’ultima parte della RTM che ancora non possedeva (ne era proprietaria dell’80% dal 2003), acquisendo, in pratica, il lucroso commercio del tabacco in Marocco. Lo stato marocchino ha conservato il monopolio dell’importazione e della vendita dei prodotti del tabacco fino al 2010 (al fine di evitare guerre dei prezzi), ma in pratica il gestore unico di questo settore è il gruppo straniero. Sono stati fatti tentativi per cancellare la legge che regola questo monopolio, ma non sono passati. Altadis, dunque, è l’unico operatore nell’industria del tabacco in Marocco. Gruppi internazionali come Philip Morris e Japan Tobacco International lavorano sul territorio su licenza della Altadis, con un numero limitato di marchi famosi come Marlboro, Winston, Kent. A partire dall’acquisizione del 2005, i marchi della Altadis - in particolare le Fortuna - dominano il mercato, dopo aver scalzato quelli più famosi. Nonostante i prezzi siano in costante ascesa, il consumo delle sigarette continua a essere molto diffuso. Marlboro e Camel sono piuttosto care (relativamente ai salari marocchini), le Fortuna costa quasi la metà e offrono anche pacchetti da dieci pezzi, per chi può spendere solo un po’ per volta. Winston e Dunhill pure hanno prezzi competitivi. Le locali Marquise, oggi le più diffuse, costano come le Fortuna (circa 2 euro) e negli ultimi tempi hanno visto un’incredibile impennata nelle vendite: nel 2006 ne sono state venduti otto miliardi (58% del mercato locale; nel 2003 costituivano il 37%), contro i 900 milioni di Fortuna e i 110 milioni di Gauloises (altro marchio dell’Altadis). Le compagnie concorrenti, in quell’anno, hanno venduto 1,6 miliardi di unità. Le Fortuna e le Gauloises locali sono prodotte nella moderna manifattura di Aïn Harrouda, con eccellenti standard di qualità. A partire dal 2006 la RDT è stata trasformata nella Altadis Maroc. Il gruppo oggi controlla direttamente l’88,5% del marcato del tabacco marocchino. Sempre nel 2006, il gruppo ha venduto 13,8 miliardi di sigarette nel Paese (3 di tabacco scuro e 10,8 di ‘biondo’, quest’ultimo in forte ascesa), e si è iniziato a produrre tabacco anche nell’est. Con 12.000 punti vendita sparsi su tutto il territorio marocchino (tabaccherie contrassegnate da un simbolo a tre cerchi), Altadis è oggi il colosso di questo settore del mercato in Marocco. Tanto da spingerla, nonostante i prezzi alti per i consumatori locali, a importare sigari, di cui ci si aspetta una crescita nel prossimo futuro.
Pubblicato su Smoking
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