L’INDUSTRIA DEL TABACCO, NELLA MUSULMANA MALESIA
A spasso per la Malaysia, tra qualche cliché e molte sorprese. Dove molti, se non tutti, fumano e pregano. Non necessariamente secondo una connessione intrinseca…
Belzebù al supermercato
“Divorziato? Mi dispiace tantissimo! Poverino, devi stare molto male…” La pietà regalata non piace a nessuno, ma la commessa paffutella con il velo musulmano che lavora in un 7-Eleven - ‘seven-eleven’, i minimarket della catena omonima che pullulano a migliaia dalla Tailandia alla Malesia - nella Lillte India di Kuala Lumpur, dopo che le ho chiesto di fotografare un gigantesco espositore di sigarette, me ne dona ad ampie mani. Come si regalerebbe a un condannato al plotone d’esecuzione. La sua frase ricca di triste misericordia - impossibile spiegarle che da divorziati si può stare non bene, ma benissimo - è il capolinea di un dialogo che sa d’interrogatorio quasi poliziesco. Dettole che sono italiano, è visibilmente sorpresa dal fatto che non abbia una girlfriend appresso. “Viaggiare da soli deve essere molto triste (regalo n°2). Sei cristiano?” “Mmmm…, più verso l’ateo, direi” Affondata la portaerei. Divorziato, privo di una compagna da asporto, ateo. Dichiarare una fedina penale così in un Paese a maggioranza musulmana è quasi come baciare un maialino sulla pubblica via, per i più. Non servono tutti i sorrisi del mio campionario, una volta rilasciate tali dichiarazioni, a convincere la commessa che, anche se appestato e condannato all’inferno nei secoli dei secoli, in fondo potrei comunque essere una persona decente. Per fortuna mi salva l’anima una cliente cinese, cristiana. Deve avere l’età di mia madre, ma come sente che sono italiano, dunque più o meno amico del papa, mi fa capire che è interessata a un lungo e duraturo futuro assieme. “Mi dai il tuo numero di telefono?”, mi chiede ancor prima di domandarmi come mi chiamo. La richiesta sa di abito nuziale, dunque, nel nome supremo della privacy, sempre sia lodata, mi invento una scusa al volo (“Me lo hanno rubato ieri”), infilo la porta e scappo. Uno entra per comprare un pacchetto di caramelle, e tutto d’un tratto si trova sotto due fuochi nemici. Carina, la Malesia, per carità. Musulmani non integralisti, mediamente tranquilli e tolleranti, più svariate minoranze che, nell’insieme, costituiscono un Paese interessante e piacevole, piuttosto civilizzato. Ma, anche qui, gli stereotipi borghesi - borghesia musulmana, tutta casa e moschea, sposarsi e moltiplicarsi quasi un obbligo di legge - possono risultare asfissianti. E, fumo per fumo, meglio concentrarsi su quello del tabacco.
Sigarette, per tutte le tasche e per tutte le tribù
I malesi fumano parecchio, soprattutto a giudicare dagli scaffali trasbordanti di pacchetti alle spalle della cassa dei 7-Eleven e delle catene commerciali locali che clonano la capillare multinazionale di proprietà giapponese (circa 40.000 punti vendita disseminati fra 18 Paesi). Marchi internazionali e locali, com’è giusto che sia. Marlboro - classiche e con la confezione verde, al mentolo -, Camel, Pall Mall, L&M, Winston, Lucky Strike, Kent, Mild Seven, Sampoerna (indonesiane, con tabacco di Giava aromatizzato al chiodo di garofano e con la O del logo a forma di cuore), Viking, SKL (controllata dal marchio omonimo svizzero, con sigarette leggere e aromatizzate al mentolo, fragola-mentolo e ciliegia-mentolo) e le locali Texas 5 (logo con testa da cowboy stilizzata). Tutte vendute per non più di 9,30 ringgit (6,70 quelle più economiche), circa due euro. Circolano anche pacchetti più piccoli, per chi non può permettersi l’acquisto di un pacchetto ‘grosso’, tutto in una volta. Questo sul mercato ufficiale. Poi, in parallelo, prospera quello del contrabbando, con tutti i rischi del caso (contraffazioni, uso di tabacco proveniente da chissà dove e lavorato chissà come). Il risparmio, per chi acquista le sigarette importate seguendo ‘vie alternative’, è notevole, almeno a giudicare dal viavai di clienti che acquistano stecche e pacchetti di provenienza non DOC all’entrata di Chinatown a Kuala Lumpur. Molti i giovani che fumano, soprattutto maschi in costante show di virilità. E, un po’ come tutto in Malesia, ogni etnia con i propri gusti. I Malay veri e propri, circa il 60% della popolazione, in stragrande maggioranza musulmani, prediligono le sigarette indonesiane (kretek), riconoscibili da lontano per l’aroma al chiodo di garofano. I cinesi (circa il 22% dei malesi) amano il tabacco di provenienza cinese, gli indiani - quasi tutti Tamil, circa il 10% della popolazione - prediligono quello indiano. Nelle svariate Little India dei centri principali (‘KL’, come viene popolarmente abbreviato il lungo nome della capitale, George Town - nell’isola di Penang -, Malacca, Johor Bahru) si possono acquistare i beedie, le minisigarette indiane ricavate dalla foglie di tendu. E nelle Chinatown non è raro vedere qualche anziano cinese che fuma usando un elegante quanto demodé bocchino. In alcuni luoghi di villeggiatura, inoltre, si possono trovare locali dove consumare tabacco aromatizzato godendo lunghe boccate dalle pipe ad acqua (narghilè), specie di servizio extra offerto dal ristorante che propone non solo pasti caldi. Un influsso arabeggiante, molto di moda negli ultimi anni in tutto il Sud-Est Asiatico.
Divieti, statistiche, mercato
Il divieto di fumo, ufficialmente, vige nella maggior parte dei luoghi pubblici, in primis nelle molte moschee. In quelle più importanti un chiaro cartello all’ingresso ricorda la legge islamica del 1995 che impone ai molti uomini che le frequentano di lasciare la sigaretta fuori. Dal 2009 tutti i pacchetti di sigarette riportano la solita campagna fotografica sugli orrori causati dalla nicotina, introdotta dalla scritta bilingue amaran/warning (‘attenzione’, in malese e inglese)!, ma i suoi effetti sembrano irrisori (calo delle vendite da quando è stata introdotta: attorno allo zero). Le immagini sono le stesse usate a Singapore e in Australia. Per dribblare le leggi che non consentono la pubblicità diretta, in Malesia i grandi produttori di tabacco hanno trovato la solita scappatoia, attraverso la pubblicità indiretta. Bistrò Benson and Hedges, accessori Dunhill, abbigliamento Marlboro, viaggi Kent Horizon e concerti Salem Cool Planet: le vie del Signore sono infinite, più o meno quante quelle della fantasia-marketing per aggirare i divieti. Tanto da attribuire alla Malesia il soprannome di ‘capitale mondiale della pubblicità indiretta’. Le grandi case produttrici, infatti, qui spendono ingenti capitali per la pubblicità, mirata soprattutto ai giovani. Secondo le statistiche ufficiali la metà degli uomini malesi fuma, e ogni giorno 50 minorenni malesi iniziano a fumare, nonostante la vendita di tabacco ai minori sia illegale.
Nelle zone rurali la drogheria, che vende di tutto un po’, è il luogo per eccellenza in cui i ragazzini vanno a cercare le sigarette, con la scusa che il padre gli ha chiesto di andarle a prendere. I proprietari spesso non dicono di no, perché così facendo mancherebbero di rispetto alla famiglia del ragazzo. E, sempre nelle campagne, di solito le sigarette vengono date gratuitamente come premio ai ragazzi volontari che aiutano a organizzare i kenduri, le feste di villaggio. Circa il 30% degli adolescenti maschi malesi, tra i 12 e i 18 anni d’età, fuma. Il dato è in crescita anche per quanto riguarda le ragazze (attorno all’8%), soprattutto nelle grandi città, mentre rimane una specie di tabù, rinvigorito dall’etica islamica, nei piccoli centri della provincia. La British American Tobacco Malaysia, ramo locale della multinazionale anglo-americana BAT, ha quasi un secolo di storia e di attività sul territorio per importare, produrre e distribuire i marchi internazionali. La Philip Morris (Altria) e la Japan Tobacco International sono i due altri colossi che operano sul territorio malese. Sebbene la Malesia sia un piccolo mercato per il tabacco nella grande Asia, tutte le multinazionali hanno fabbriche di dimensioni notevoli sul territorio malese, grazie alla dislocazione strategica e a una legislazione all’atto pratico piuttosto tollerante in termini di marketing (restrittiva sulla carta ma facilmente aggirabile nei fatti). La Malesia, inoltre, offre notevoli sconti tributari per le esportazioni di sigarette nei Paesi limitrofi. Il mercato, dunque, prospera. Si è valutato che il suo giro d’affari annuo sia di circa un miliardo e mezzo di dollari, di cui uno incamerato dalla sola BAT, leader nel settore. Circa il 70% della produzione è consumato localmente, mentre il restante 30% viene esportato soprattutto in Vietnam, Hong Kong, Cina, Brunei e verso il mercato duty-free.
Pubblicato su Smoking
Pubblicato su Smoking
ALTRE FOTO della Malesia su:
http://www.agefotostock.com/age/ingles/isphga01.asp?querystr=malaysia&ph=scozzari&Page=1
Nessun commento:
Posta un commento