martedì 13 marzo 2012

GIAPPONE – I GATTI DI OKINAWA


Non credo che esista una città giapponese più amica dei gatti di Naha, la capitale di Okinawa. Qua e là - nei parchi, nelle viuzze più frequentate dai felini randagi - pullulano i cartelli che vietano di sfamarli, ma un esercito di gattare/i sembra infischiarsene e la popolazione felina homeless cresce indisturbata. Il gatto, in Giappone, per alcuni è allergia e peli di troppo, per molti altri è culto. Nelle grandi città fanno furore i neko café, locali in cui paghi l’entrata, bevi una bibita e accarezzi gatti viziati (a casa le leggi condominiali e le allergie della nonna lo proibiscono), ma solo se non dormono - il loro sonno è sacro.











A Naha i migliori-amici-delle-scatolette-di-tonno-aperte-dall’uomo sono alla portata di tutti, non occorre pagare né entrare in club privati per farseli amici. In centro, vicino a Kokusai-dori, la via dello shopping, c’è un neko café, ma ha poco successo. Un po’ perché di gatti in strada ce ne sono a centinaia e non costano nulla, un po’ perché la proprietaria è stizzosa e i suoi gatti non possono essere né toccati né fotografati. Specie di dèi pelosi, da guardare-e-non-toccare, manco fossero la Gioconda.







Passando un lungo periodo qua, anch’io mi sono lentamente trasformato in un gattaro. E, per fortuna, non sono l'unico. In uno di quei negozi tutto-a-100-yen faccio scorta di croccantini ottenuti dio solo sa con che cosa. Quattrocento grammi di roba marron non identificata per circa un euro, scritte in giapponese e arabo sulla confezione, marca Cat Food (evviva l'originalità). Quelli che dovrebbero essere a base di pollo profumano di pesce, e viceversa. Durante le mie perlustrazioni fotografiche ne porto sempre una miniscorta con me. In un garage, in un vicolo, sotto un’auto incontro sempre, prima o poi, un gatto affamato felice di vedermi. Lo so, sfamarli non sarebbe corretto. Ma io, quando ho fame, posso andare al ristorante o al supermercato, loro no.







Quando posso, ne vado a trovare uno che ha adottato una cabina del telefono come casa. Tutti, in Giappone, hanno almeno un telefono cellulare, le cabine servono a poco o nulla. Il mio amico l’ho scoperto un giorno, mentre diluviava. Mi ero rifugiato sotto una tettoia, lungo una strada trafficata. Aspettavo che la cascata si prosciugasse, e mi sentivo osservato. Poi ho scorto l’osservatore. Il micio era rifugiato dentro la cabina, nella scatola di ferro in cui si mettono gli elenchi del telefono. Una settimana dopo era ancora lì.





Non tutti, ovvio, amano i felini urbani. Soprattutto un popolo che va in giro con mascherine da ospedale sulla bocca, per proteggersi dalle mille contaminazioni della vita (alla faccia delle centrali nucleari). A Naha qualche negoziante anti-gatto, di notte, circonda le serrande con lunghe fila di bottiglie d’acqua, trasparenti, in funzione anti-pipì, come nei paesini della Romagna. Certo l’aroma di urina di gatto, quando tiri su la serranda del tuo negozio di prima mattina, non è il massimo. Però è inquietante notare con quale precisione da ingegnere, giapponesissima, qualche maniaco mette in fila le bottiglie. Alcuni, addirittura, ne fanno un perimetro completo attorno alla propria abitazione, come se i gatti fossero untori della peste.



A parte l’amico della cabina del telefono, quasi ogni sera, quando rientro nel microappartamento al porto di Tomari, vista tsunami, incontro un piccolo micio rosso. Ha un nodo al posto della coda e salta come un coniglio. Dopo che l'ho foraggiato, per dimostrarmi gratitudine (oppure perché il cibo di ultima gli dà alla testa) prova inutilmente a cacciare i piccioni sul prato, grandi come lui.









Un altro mio favorito è Tama, gattone un po’ sovrappeso in multiproprietà. Vive condiviso tra un negozio di accessori per la casa e un fruttivendolo, l’uno attiguo all’altro, alla fine della galleria commerciale Heiwa-dori. Nel primo negozio ama stare spaparanzato nei catini esposti per la vendita, quando non dorme sulla fotocopiatrice. Dal fruttivendolo, invece, ama in particolare il tavolo con le banane. I negozianti non lo scacciano mai, in quanto attrazione attira-clienti.





E nella verde Iriomote, la maggiore delle isole Yaeyama, a tre quarti d'ora di barca da Ishigaki (raggiungibile da Naha con i comodi voli della JTA), è noto il gatto selvatico Prionailurus bengalensis iriomotensis, a rischio di estinzione. È pressoché impossibile avvistarlo - esce a caccia solo di notte -, ma è il simbolo dell’isola. Tanto che le strade sono disseminate di cartelli per avvertire gli automobilisti di non investirli e di tunnel sotterranei per permettergli l’attraversamento senza essere piallato dai copertoni. Un concorso scolastico locale ha premiato il disegno di un bambino dove il Prionailurus sta per essere investito da un automobilista reduce da troppi bicchieri di sakè. E le sue rare foto sono usate sulle scatole di biscotti locali. Mentre girate lungo le buone strade asfaltate dell’isola vedrete dei lavori in corso: non si tratta di una frana in contenimento, ma dell’ennesimo tunnel per il gatto invisibile.






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