Il Tinadowa Festival, a Nago, Okinawa.
Per commemorare le vittime dello tsunami, a un anno dalla tragedia
L’11 marzo 2011, alle 2,46 del pomeriggio, ero in giro per le strade di Kyoto. A prendere freddo e fotografare di tutto un po’. Non sentii alcuna scossa di terremoto. Ebbi una vaga idea di ciò che stava succedendo solo alla sera, rientrato in ostello. Tutti gli ospiti erano incollati al televisore, l’unico rumore che si sentiva erano le parole del giornalista alla tv. E, nonostante le immagini catastrofiche, nessuno si rese immediatamente conto dell’entità del disastro. Tanto che il giorno dopo, recatomi al museo del Manga, fotografai i pazzoidi vestiti da cosplay durante un raduno di amanti del genere. L’evento si tenne come se nulla fosse accaduto. Alla giapponese, pensai.
Poi, lentamente, le dimensioni della cosa arrivarono anche a Kyoto, a circa 520 km in linea d’aria da Fukushima. Il lutto fece cancellare tutti gli eventi festaioli per i mesi a seguire, e gruppetti di adolescenti si sparpagliarono per la città - a Kyoto come nel resto del Giappone - a raccogliere offerte per le vittime. L’ostello fu preso da un fuggi-fuggi massiccio di stranieri, in primis di francesi: a trafficare con il nucleare, sanno di quale rogna si tratti. Air France ne riportò svariati in patria gratuitamente, mentre Alitalia, la nostra incommensurabile compagnia di bandiera, fece un offerta davvero speciale per gli italiani che volevano rientrare d’urgenza: 800 euro il volo di sola andata da Osaka (di solito ne costa circa 700, andata e ritorno). Conobbi un ragazzo giapponese che cercò di trafugare un contatore geiger da una scuola di scienze per andare, da indipendente, a fare dei rilevamenti (non ce la fece, finì a fare il cuoco a Kyoto). Qualche anima pia partì per Fukushima, per dare una mano. Fui tentato più volte di farlo anch’io, ma con il mio zero giapponese sarei solo andato a provocare ulteriori problemi a chi stava prestando soccorso. Non era la mia massima ambizione, inoltre, quella di andarmi a irradiare dalle parti di una centrale nucleare spappolata. Non mi occupo di cronaca sanguinolenta, guerre, orrori di varia natura. Non ho una forte attrazione per la morte come spettacolo, né mi sento (più di tanto) un paladino che pensa di risolvere le magagne del mondo attraverso il fotogiornalismo, magari avessi questo potere. Dunque, dopo mille dubbi sul da farsi, seguendo un amico brasiliano karateka, finii su un volo per la bella Okinawa, frontiera meridionale del Giappone, a distanza di sicurezza. Bellissima e piena di fascino, una vera scoperta. E lì ho piantato le tende.
A Nago, cittadina nel Nord dell’isola principale di Okinawa, ieri si è commemorato un anno dalla tragedia. Lo si è fatto con stile, seguendo la grande tribù, ogni giorno maggiore, che in Giappone diventa sempre più green (nulla di padano, non preoccupatevi), ecologista, antinucleare. Un po’ hippie, che non guasta. Hippie giapponesi, elegantissimi nel loro colorato abbigliamento guatemalteco o indiano, selezionato con cura, tra un inchino e una dieta vegetariana. Nel parco municipale di Nago, a ridosso del bel mare turchese, si è tenuto il Tidanowa Festival, una due giorni di commemorazioni. Spettacoli di musica, mercatino bio/eco/organico, giochi fantastici per orde di bambini bellissimi, qualche fricchettone e la solita pulizia giapponese. Non un solo bidone delle immondizie - spesso mi chiedo come i giapponesi facciano a smaltirle, forse evaporano -, non una sola sigaretta accesa all’interno dell’arena per gli spettacoli, non un solo urlatore/ice al cellulare. Alle 2,46 del pomeriggio tutti si sono rivolti, in piedi, verso Fukushima. E hanno osservato un lunghissimo minuto di silenzio, con somma mestizia. Roba da prendere allo stomaco. Così, mi dicono, è stato in tutto il Giappone. Ecco qualche immagine del festival, fra gioia e tristezza. In attesa che il governo giapponese cambi, se non tutto, molto (approvvigionamento energetico, silenzi bugiardi sui reali livelli di contaminazione, governo stesso).
Foto molto belle. Sono stato ad Okinawa circa 5 anni fa: per atmosfera e paesaggi sembra così diversa dal resto del Giappone! Grazie per aver condiviso il ricordo della tragedia di un anno fa.
RispondiEliminagrazie a te, Gianluca!
Eliminasì, Okinawa è davvero un posto unico.
se ti va, per qualche giorno ancora in edicola dovresti trovare Viaggiando con un mio articolo XL (14 pagine) sull'arcipelago.
un caro saluto, da Naha
Pietro
Grazie per la segnalazione. Vivo negli USA adesso, ma me ne farò mettere da parte una copia dalla mia famiglia in Italia: sogno infatti di trasferirmi in Giappone un giorno. Buona permanenza a Naha e buon lavoro!
RispondiEliminacapisco... Okinawa e America, puoi vedere qualcosa su
Eliminahttp://pietrotimes.blogspot.com/2011_08_01_archive.html
purtroppo dopodomani rientrerò in Italia, ma tornerò a Naha appena possibile.
un caro saluto!
Pietro