martedì 6 marzo 2012

BRASILE - SIGARI ALL'AROMA DI TROPICO


La manifattura Dannemann di São Félix, nella Bahia. Una piacevole e profumata sorpresa per chi viaggia nel Paese sudamericano

Viaggiare nella regione del Recôncavo Baiano, a breve distanza da Salvador de Bahia, può offrire uno notevole serie di sorprese: per gli occhi, per il palato, per l’olfatto. La grande capitale regionale, con la sua confusione e il suo affollamento, appare distante anni luce, una volta catapultati nel ‘piccolo mondo antico’ della provincia rurale. Dapprima si passa per Santo Amaro, cittadina coloniale nota ai più per avere dato i natali a Caetano Veloso e Maria Bethânia, massimi esponenti della MPB (Musica Popular Brasileira) e del Tropicalismo, corrente artistica sorta come reazione alle dittature degli anni Sessanta ed erede della Bossa Nova. Qui, in questa regione, il sommo Jorge Amado ambientò molti dei suoi romanzi di successo, tra cui Cacao, coinvolgente storia di jangadeiros, i pescatori che con le loro minuscole barchette ogni giorno sfidavano Yamanjá, dea del mare, per portare a casa un misero raccolto.
L’epoca delle jangadas oggi sembra tramontata, ma nei piccoli centri del Recôncavo c’è ancora chi va in giro a dorso di mulo, magari per consegnare il latte la mattina presto. A Cachoeira, la cittadina successiva, la vita si svolge lungo le calme acque del Rio Paraguaçu, sulle cui sponde si distendono fila di casette color pastello dalle facciate con geometrie assolutamente bizzarre. L’acciottolato che attraversa il cuore della cittadina, nota per i riti del candomblé - qui ha sede la Società della Boa Morte, della Buona Morte, una fratellanza di donne discendenti degli schiavi e sacerdotesse del sincretismo afro-brasiliano -, ci porta all’interessante museo dedicato ad Hansen Bahia, maestro di xilografie che ritraggono perlopiù la vita dell’entroterra baiano, le leggende legate al candomblé e il brigantaggio del secolo passato. Dall’altra parte del fiume si scorge la dirimpettaia São Félix. Per raggiungerla basta attraversare a piedi il cigolante ponte di ferro e legno, costruito dagli inglesi nel 1885. Qui troviamo una perla rara che, se amiamo l’aroma del tabacco, non possiamo mancare.


Il Centro Culturale Dannemann, fra sigari e arte
L’edificio di São Félix con la facciata più scintillante, ben visibile dalla sponda di Cachoeira, è ciò che rimane della manifattura originaria avviata da Gerhard Dannemann, magnate del tabacco emigrato nel 1872 in Brasile e qui ‘brasilianizzato’ come Geraldo. Nato nel 1851 a Brema, Dannemann iniziò la propria attività nel piccolo centro del Recôncavo con appena sei dipendenti, crescendo rapidamente. Nel 1889 era sindaco di São Félix e nel 1910 il più importante industriale dello Stato di Bahia, con circa mille dipendenti distribuiti fra sei fabbriche. Dal 1989 l’antica manifattura è stata trasformata in un centro culturale, una piacevole galleria che si stende sotto i portici dell’ampio patio centrale ricavato in un edificio del XIX secolo. Sculture, fotografie e dipinti, in buona parte moderni e ospiti di esposizioni temporanee, decorano l’ingresso che ci porta, al piano superiore, alla grande sala in cui il tabacco viene lavorato. Qui, in uno spazio estremamente curato, pulito e ordinato, l’aroma del tabacco ci pervade le narici, mentre assistiamo al lavoro di arrotolamento dei sigari fatto a mano da una ventina di donne, tutte rigorosamente in abiti verde smeraldo. Se non fosse per l’eccessivo ordine, forse di discendenza teutonica, si potrebbe pensare di essere piombati in un romanzo di Amado. Colori e odori che vanno diretti al cuore, avvolti da una temperatura caldo-umida che ci ricorda immediatamente a quale latitudine del mondo ci troviamo. Il luogo è dedicato ai visitatori, con l’evidente intento di divulgare le delizie del sigaro Dannemann, considerato tra i migliori del Brasile. Le donne al lavoro, tuttavia, sono seriamente concentrate e producono buone quantità di sigari senza apparentemente mai fermarsi. Il percorso è quello ‘classico’ delle manifatture: stesura delle foglie su un bancone, lieve umidificazione, taglio, arrotolamento del tabacco, chiusura, confezione. A fine giro si possono acquistare i prodotti - sigari e cigarillos - presso il piccolo banco apposito, oltre a fare un giro ‘storico’ al piano rialzato, dove è illustrata la storia della Dannemann.


Un po’ di storia
La foto in bianco e nero del padre fondatore, Gerhard/Geraldo Dannemann, baffuto e dallo sguardo severo, domina la saletta-museo in cui sono conservate, oltre a tutti gli esemplari dei prodotti Dannemann, le diverse foglie di tabacco usate per ricavare i sigari. Sulle pareti è narrata la storia di questa prestigiosa casa produttrice, oggi un marchio tedesco con sedi sparse un po’ in tutto il mondo. Nel 1922 l’industriale tedesco-baiano fondò la Companhia Brasileira de Charutos (sigari) Dannemann, leader nel settore e nota in tutta l’Europa occidentale. L’ingresso della Germania nella Seconda guerra mondiale, però, provocò il crollo delle vendite. Con le vie commerciali attraverso l’Atlantico interrotte e con l’appoggio del Brasile agli Alleati, la Dannemann fu costretta a licenziare in massa i propri dipendenti, pur di non fallire. Una ventina di specialisti del tabacco tedeschi e svizzeri impiegati nella manifattura furono messi in arresto preventivo dai soldati del dittatore Vargas, che dopo infiniti temporeggiamenti decise di appoggiare gli USA durante il conflitto. Fino agli anni Cinquanta la Dannemann vide il suo periodo più buio: gli investimenti furono scarsi o nulli, le scorte vennero consumate e arrivarono ondate di licenziamenti, mentre il Banco do Brasil, la banca nazionale, prendeva in mano le redini dell’azienda. La stessa banca acquisì il marchio Dannemann nel Dopoguerra, concedendo poi i diritti di licenza all’attuale Dannemann (sorta dalle ceneri di quella originaria) e alla ditta svizzera Burger Soehne. Da allora il marchio Dannemann ebbe una seconda vita. Rilanciato con successo, il prodotto iniziò a essere diversificato a seconda dei vari mercati, decentrando la raccolta del tabacco e la manifattura, aprendo sedi in vari Paesi.


Le piantagioni Dannemann
Oggi il tabacco usato per i prodotti Dannemann può contare su tre campi di raccolta, piuttosto diversi tra loro. In primis le piantagioni del Nicaragua, dove il seme giunto da Cuba e i piantatori immigrati dall’isola hanno contribuito a produrre una tra le foglie più pregiate al mondo. I terreni sabbiosi del Nicaragua, ricchi di argilla, humus e minerali, sono particolarmente fertili per questa coltura. Nel Paese centroamericano, dove il clima è molto simile a quello cubano, la Dannemann ha ampie coltivazioni, soprattutto a Jalapa ed Esteli. Nella manifattura di quest’ultima i prodotti (in particolare la serie di longfilter Dannemann Artist Line) sono lavorati completamente a mano. Altra importante fonte di approvvigionamento è l’isola indonesiana di Giava, dove il terreno vulcanico, argilloso e sabbioso, unito a un clima temperato (una temperatura media annua di 27°C), è ideale per i tabacchi chiari, caratteristici di quella regione. A Giava la raccolta per la Dannemann viene fatta interamente a mano, foglia per foglia, rigorosamente dal basso verso l’alto: dapprima le foglie volado, le più pregiate, quindi quelle chiare ed esterne.
In Brasile, consapevole di come il continuo deforestamento stia mettendo in pericolo l’ecosistema, la Dannemann ha avviato un intelligente progetto di ‘adozione’ di alberi. Dal 2001 l’azienda ha cominciato a piantare alberi caratteristici della regione del Recôncavo, per reintrodurre nell’ambiente le piante della Mata Atlântica a rischio di estinzione: pau-brasil (il cui legno rossastro diede il nome al Paese), jacarandá, cedro, jequitibá, cajá, ipê e altre quaranta specie. A tutt’oggi sono state piantati oltre 17.000 alberi e il progetto, che dovrebbe durare vent’anni, prevede di coprire un’area di circa 145 ettari. I visitatori della manifattura di São Félix possono adottare il proprio albero compilando l’apposito formulario: la pianta porterà il loro nome.
Oltre ai luoghi già citati, la Dannemann ha sedi in Germania (due stabilimenti), Svizzera (due stabilimenti), Hong Kong (da cui partono le forniture per il mercato asiatico), Olanda, Spagna e USA (a Miami, con magazzini per la refrigerazione e l’umidificazione tra i più moderni degli Stati Uniti).


I prodotti Dannemann
La Dannemann è nota soprattutto per i cigarillos aromatizzati Moods, giunti sul mercato a partire dal 1994 (in seguito anche con filtro, più leggeri). Questi sono prodotti nei due stabilimenti tedeschi ed esportati in tutto il mondo. Aromatici, leggeri e fruttati, i Moods sono commercializzati in una confezione color bordeaux.  Nella grande famiglia dei cigarillos Dannemann, però, si annoverano anche lo Speciale (cigarillo ottenuto mescolando dodici qualità differenti di tabacco e venduto in astucci metallici; di tipo classico, è prodotto anche nella variante Speciale Sumatra, leggermente aromatizzato) e i Sweets Filter (con filtro addolcito, leggeri e anch’essi commercializzati in astucci metallici).  Nel settore dei sigari, invece, la Dannemann produce i Moods (stesso nome e linea dei cigarillos), aromatizzati e venduti in tubi di metallo. Nel formato Panatela, pretagliato, si possono avere circa quindici minuti di degustazione. Nello stabilimento olandese, inoltre, il marchio produce la linea Premium, composta al 100% di tabacco, attraverso il controllo manuale di sigari e cigarillos. Leader nel mercato tedesco, austriaco e svizzero, la Dannemann è al secondo posto in quello italiano e spagnolo. Con circa un migliaio di impiegati in Europa, su un totale mondiale di circa 2200, l’azienda esporta in Africa (Sud Africa, Emirati), America (USA, Canada), Asia (Hong Kong, Israele, Giappone, Kazakhistan, Malaysia, Singapore, Taiwan) Australia ed Europa (pressoché dovunque nel nostro continente). In Italia i suoi importatori sono gli Aeroporti di Roma, la Logista Italia (Roma) e l’I.T.A. di Vascon di Carbonera (Treviso).




IL FUMO DI OXALÁ


Il tabacco brasiliano, tra propagande shock e riti di macumba

Fumar causa impotência sexual”, “Nicotina é droga e causa dependência”, “Fumar na gravidez prejudica o bebê”. Questi gli slogan più soft della terribile, ma efficace, propaganda terroristica che decora il retro dei pacchetti di sigarette brasiliane. Nell’ordine, corrispondo a foto in cui sono ritratti una coppia a letto (lei che gli tiene il broncio, lui colpevole di non aver fatto il proprio dovere ginnico), un mulatto avvolto da una nube di fumo (che si accende una sigaretta con l’altra), una donna incinta che aspira con aria goduriosa da una sigaretta (nonostante una pancia all’ottavo mese e trecentosessantaquattresimo giorno di gravidanza). I tre slogan citati sono solo parte della campagna antitabagista lanciata nel “País do futuro” qualche anno fa. In un’escalation sempre più hard, gli altri ritraggono un tipo che sembra soffocare mentre fa le scale e si deve slacciare il nodo della cravatta (“Chi fuma non ha energia per fare alcunché”), un ragazzino che fa del self-service con un pacchetto di sigarette di fianco a un adulto attaccato alla sigaretta (“I bambini cominciano a fumare quando vedono gli adulti che fumano”), e una bella ragazza che, schifata dal fiato al posacenere di un corteggiatore/fidanzato, fa un gesto molto prossimo alle due dita in gola, mentre questi le parla a pochi centimetri dal viso (“Fumare provoca l’alito cattivo, la perdita dei denti e il cancro della bocca”). Pensieri e concetti semplici, ma efficaci. Si arriva, quindi, alla sezione davvero hard, quella che, quando ti capita fra le mani, dopo che hai acquistato il pacchetto, di solito te lo fa tenere per i mignoli. “Fumare provoca l’infarto” (ritratto un medico e un infermiere che, sul lettino di un pronto soccorso, tentano di rianimare con un massaggio cardiaco un poveretto sotto la maschera ad ossigeno), “Fumare provoca il cancro ai polmoni” (ritratta una malata terminale intubata, su un letto d’ospedale, che osserva direttamente dentro l’obiettivo con occhiaie peste e viso scavato) e, dulcis in fundo, la ciliegina della collezione: “Tra le gestanti, la sigaretta provoca parti prematuri, la nascita di bambini sottopeso e portati all’asma” (nella foto un bambino appena nato, dell’apparente peso di venti grammi, intubato su un lettino d’ospedale e chiuso a riccio, in posizione fetale, così emaciato da sembrare reduce dall’investimento di un camion).


Questa galleria degli orrori, oltre a costituire, nell’insieme, un’impareggiabile mostra fotografica kitsch (io ne ho fatto un quadro e l’ho appeso in bagno), fa apparire la campagna omologa italiana, priva di foto, robetta all’acqua di rose. Ed è, oltre che efficace, anche ricca di curiosità. Innanzitutto quella riguardante la foto numero otto, quella della donna morente nel letto d’ospedale. Voci di corridoio non confermate dicono che, in realtà, la tapina - che non ha nulla della modella prezzolata e che trasmette un’immediata idea di veridicità - non fosse affatto malata di cancro e, particolare non irrilevante, si sia salvata la pelle dopo la malattia orrenda che l’aveva segregata a letto. La foto le fu, in qualche modo, ‘rubata’. Per cui, una volta scampata all’orrore, ma trovatosi il proprio santino sofferente stampato su qualche milione di pacchetti distribuiti nello sterminato Brasile, sembra che abbia denunciato fotografo e campagnoli pubblicitari, ottenendo un risarcimento da lotteria.


Altro particolare succoso è che le case produttrici di sigarette brasiliane, perlopiù multinazionali, vistesi imposta una campagna antitabagista che ha trasformato i pacchetti in specie di tizzoni ardenti alla Tex Willer, quasi impossibili da impugnare, sono corse ai ripari con uno stratagemma. La vecchia storia del ‘fatta la legge, trovato l’inganno’. All’interno dei pacchetti, tolto il cellofan, oggi si trova un fogliettino pubblicitario della medesima marca, guarda caso delle stesse dimensioni, non un millimetro di più o uno di meno, delle foto horribilis stampate sul retro. L’acquirente, se sopravvissuto allo shock del momento in cui compra il pacchetto e lo infila in tasca - pochi ma rischiosi secondi, in cui l’occhio, compulsivamente, può cadere sulla galleria degli orrori -, quando apre la scatolina prontamente estrae il bigliettino e lo infila tra il cellofan e la foto, coprendola. Una specie di coperta censorea. Occhio non vede.


Rispetto per chi non fuma 
Il Brasile, troppo spesso, e molte volte a torto, viene dipinto come “Paese del terzo mondo” dai media occidentali. Se per certi aspetti sociali questa generalizzazione, a volte, può anche passare, non funziona di certo per quanto riguarda il rapporto dei brasiliani con la sigaretta. Da noi, nonostante leggi, campagne pubblicitarie, lavaggi del cervello e occhiatacce fulminanti regalate da parte di chi non fuma, la buona abitudine al rispetto per ogni lato della barricata probabilmente avrà un’effettiva applicazione e rispetto verso il Tremila. Solo da noi poteva nascere qualcuno che, fatta la legge sulla cinture di sicurezza in auto, ebbe l’idea di produrre e vendere magliette con cinture di sicurezza virtuali, stampate sul tessuto, in funzione faccio-fesso-il-vigile.


In Brasile, Paese costantemente ritratto come terra di bambini abbandonati, turismo sessuale, droga, violenza (ma, per fortuna, chi lo conosce sa che ha ben altri tesori, e che può battere di gran lunga, sulla bilancia della qualità della vita, molti Paesi pluridecorati e blasonati del G8), in realtà è all’avanguardia per moltissimi aspetti. Nei rapporti con il fumo, ad esempio, il rispetto per il prossimo, sia esso fumatore o non fumatore, da alcuni anni è eccellente. E non solo grazie a campagne incisive come quella dei pacchetti di sigarette. Se in Brasile le leggi antifumo esistono e vengono rispettate - nei luoghi pubblici è quasi impossibile vedere qualcuno che fumi, se non in pochi, rari locali ad essi riservati (chi proprio deve, uccide la pigrizia e, all’americana, va fuori) -, ciò che più importa è che tra gli oltre centottanta milioni di brasiliani è diffusa capillarmente la sensibilità di come una sigaretta possa dare fastidio a chi non fuma. Forse questo fatto è figlio dei molti brasiliani che vivono o si recano negli USA, e che dal piano di sopra tornano alla loro magnifica terra con una più o meno inconscia educazione alla separazione e al rispetto fra le diverse scuole di pensiero. Fatto sta che, mediamente, un/a brasiliano/a, seduto/a a tavola con voi, in un ristorante in cui sia permesso fumare, vi chiederà sempre, prima di accendersi la sigaretta: “Disturbo?”


Tabacco, non solo vizio, ma anche strumento degli dèi
Per un brasiliano che crede nel candomblé, la religione sincretica nata dall’unione fra i riti africani importati dagli schiavi e il cattolicesimo dei portoghesi, il fumo può essere qualcosa che va aldilà del semplice vizio o gusto (così come per un cubano seguace della santería). I pais e le mães de santo, i sacerdoti del candomblé, considerano sigari, sigarette e pipe quali strumenti di comunicazione e offerte agli orixás, i santi di questa religione, intimamente legati alla natura e alla vita di tutti i giorni. Facenti capo a Oxalá, Signore del Potere e dell’Iniziativa, creatore degli esseri viventi e corrispondente, nel cattolicesimo, a Gesù, gli orixás sono il tramite fra i morti e i sacerdoti. Un credente, dunque, può entrare in contatto con i propri defunti, attraverso l’ausilio di un pai o di una mãe de santo caduti in trance. Riti di questo genere sono diffusi un po’ in tutto il Brasile, ma un’occasione di facile accesso per assistervi pubblicamente può essere la notte di san Silvestro, sulle sabbie della spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro. In quel giorno le macube, le offerte ai santi, per ringraziarli dei benefici ottenuti nell’anno appena trascorso e ingraziarseli in quello a venire, punteggiano la grande spiaggia, così come altri luoghi della metropoli. Di notte, quando i sacerdoti entrano in trance, per offrire il loro servizio di ‘tramiti’ ai fedeli che ne fanno richiesta, uno dei simboli classici della caduta in trance, dell’incorporazione di uno spirito, è appunto il fumo, sia esso sotto forma di sigaro o di pipa accesa. Grandi boccate di fumo, alternate a dialoghi con i morti, a danze rituali e, a volte, a occhi chiusi o ribaltati, sono il segnale della connessione avvenuta con l’aldilà.


Il sigaro e la sigaretta, inoltre, quali beni di consumo, sono anche considerate ricche offerte delle macube, così come i piatti di cibo, le candele, le bottiglie di alcolici o di bibite, i fiori, le cartamonete, i profumi (questi ultimi in particolare riservati a Iemanjá, la vanitosa dea del mare). L’ultimo venerdì dell’anno, ad esempio, nelle vie e piazze più appartate di Rio, i fedeli di questa dottrina allestiscono imponenti macumbe, quanto più ricche di doni tanto più efficaci. Sigari e sigarette possono essere offerti spenti o accesi, in ogni caso in numero rituale. Se accesi, il fedele deve dare alcune boccate, solo così il fumo giungerà a chi di dovere. Abbandonati sul selciato dopo il rito, i doni si trasformeranno presto in un lussuoso banchetto per i mendicanti dei paraggi che, almeno in questa rara occasione, possono festeggiare pure loro con una lussuosa boccata a un sigaro.


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