sabato 5 maggio 2012

MYANMAR - IL TEATRO DELLE MARIONETTE


Lo Yokthe Pwe, il teatro delle marionette, è un’antica forma d’arte di remote origini cinesi e indiane. Quest’arte prese piede presumibilmente nell’epoca di Pagan attorno all’XI sec. d.C., mentre le prime testimonianze scritte riguardo lo Yokthe Pwe risalgono al XV-XVI sec. d.C. Il periodo d’oro di questa forma d’intrattenimento si ebbe sotto la corte reale della dinastia Konbaung (1752-1885), quando le marionette si diffusero in tutto il paese, soprattutto nella città di Mandalay, in particolar modo come forma di ricevimento per gli ambasciatori stranieri.
A causa del rigido codice d’etichetta che caratterizzò il XVIII sec., le rappresentazioni di scene romantiche esplicite da parte degli attori sui palchi teatrali erano proibite, per cui le marionette si sostituirono agli essere umani per inscenare in pubblico ciò che era vietato alle persone. Tuttavia, dal momento che la maggior parte delle scene rappresentate - tutte con una “morale” finale - dipingevano situazioni tratte dalle Dieci Grandi Vite e dalle 550 Storie della Nascita del Buddha (le cosiddette Storie di Jataka), si rese necessaria l’entrata in scena e la creazione di una marionetta che impersonasse l’Illuminato: alcuni attori ritenevano sconveniente e sacrilego interpretare tale ruolo.
Nel 1776 fu istituita la figura del Thabin Wun, ministro delle Arti Figurative, il quale formò un codice che regolava l’arte delle marionette (così come tutte le altre forme artistiche). Il Thabin Wun stabilì che il linguaggio usato dai cantanti che accompagnavano la rappresentazione non dovesse offendere in alcun modo gli spettatori della corte reale (pena il taglio della mano o della lingua), e che le figure principali dello Yokthe Pwe fossero ventotto (tante quanti gli attributi che, secondo l’Abhidhamma-pitaka, un testo buddhista, compongono il corpo umano), includendo alcuni animali, tutti rigorosamente in legno, di diverse tinte.




I ministri successivi introdussero altre figure, aumentandone ampiamente il numero. Nell’ultimo dopoguerra, per cercare di ravvivare quest’arte in declino, ed in seguito agli influssi tecnologici, furono introdotte figure antropomorfe a bordo di aeroplani o di automobili, ma con scarso successo.
Nei primi periodi del teatro delle marionette il Thabin Wun stabilì anche i tipi di legno da utilizzare - da quello marron scuro a quello dipinto di bianco, il cosiddetto “teeth wood”, candido come i denti -, i modi per ricavare le figure dal pezzo di legno (ogni marionetta era intagliata e scolpita col relativo organo sessuale) e le loro dimensioni.
Oggi queste ultime variano dai trenta centimetri al mezzo metro. Riccamente decorate da abiti sgargianti, con ornamenti di paillettes e fili colorati, le marionette hanno la possibilità di muovere, comandate da numerosi fili (il cui numero, nel passato, era stabilito per legge; oggi ci sono marionette addirittura con 60 fili), arti, occhi e bocca.





Prima del 1920 il volto delle marionette era ricavato da un unico pezzo di legno, senza parti mobili, ma, da quell’anno, sotto l’influenza dei pupazzi dei ventriloqui occidentali, gli scultori cambiarono tecnica.
Facilmente reperibili in ogni bancarella di souvenir in Thailandia - ove sono vendute con abbondante rincaro, rispetto al luogo di produzione -, le marionette costituiscono uno dei principali prodotti artigianali del Myanmar.
Il momento d’oro di questa forma d’arte risale al periodo compreso tra il 1820 e il 1885, quando lo Yokthe Pwe ricoprì un ruolo addirittura superiore a quello del teatro vero e proprio. Il ministro delle Arti Figurative, tra l’altro, stabilì anche l’esatta sequenza secondo cui le marionette dovessero apparire sulla scena, in base all’ispirazione buddhista, per la quale il mondo prima fu distrutto (ben sessantaquattro volte) e, quindi, ricreato. Analogamente, sul palco si aveva un’introduzione nella quale il globo veniva distrutto, per poi essere ricreato.
Lo spettacolo teatrale odierno è suddiviso in tre fasi. La prima consiste in un canto d’apertura, eseguito da un musicista dotato di un’arpa e da una cantante che esegue una triste litania, entrambi in abiti tradizionali. Una ballerina, sempre in costume, intrattiene il pubblico con una lenta danza, durante la quale i movimenti delle mani, degli occhi e dei piedi - allo stesso modo di quelli delle danze indiane, thailandesi o balinesi - hanno un ruolo fondamentale.




Dopo quest’ampia premessa ha inizio lo spettacolo vero e proprio, secondo una sequenza sempre uguale. Nonostante la varietà dei racconti di Jataka, la rappresentazione scenica di ogni marionetta non cambia, e si comincia sempre, per esempio, con la creazione dell’universo, in cui appaiono diversi animali ed alcuni esseri mitologici. La musica accompagna l’intera rappresentazione, eseguita in passato da un’orchestrina posta sul retro del palco (con la ferrea proibizione di non interrompere il ritmo durante tutta la durata dello spettacolo), più recentemente registrata su nastro e diffusa attraverso un impianto stereo.
Ogni personaggio ha un proprio segnale acustico, che lo caratterizza, lo introduce e lo accompagna durante tutta la scena.
L’arte dello Yokthe Pwe, nel corso della storia, ha subito momenti di gloria alternati a fasi di abbandono, secondo le mode contingenti e la presa - o meno - sul pubblico di altre forme d’intrattenimento “concorrenti”. Il suo declino è iniziato con la caduta della monarchia, presso la cui corte questa forma di teatro aveva da sempre trovato la platea più attenta. Oggi, grazie al cinema e alla televisione - seppure di limitatissimo respiro e di bassa qualità -, questa antica arte va via via scomparendo, ed è sempre più difficile incontrare teatrini autentici, non organizzati per i turisti stranieri (in diversi luoghi a Mandalay - vedi -, ancor oggi considerata il maggiore centro dello Yokthe Pwe; a Bagan presso l’Hotel Thiripyitsaya; a Yangon nell’Hotel Aurora), ma per un pubblico birmano. Tuttavia, in mancanza d’altro, anche questi teatrini, volutamente folcloristici, possono offrire un’interessante occasione di conoscenza dello Yokthe Pwe.
Il reperimento di maestri - generalmente tutti in età avanzata - da parte degli organizzatori è sempre più un’impresa ardua: difficilmente i giovani desiderano dedicare il proprio lavoro a questa attività.


Tra le figure più importanti e ricorrenti dello Yokthe Pwe troviamo:
- Il Re (Bayin): può essere riconosciuto da una sporgenza a forma di foglia sulla parte posteriore del suo turbante. É sempre decorato da numerosi gioielli, un corpetto a forma di croce, indossato su un longyi (il sarong birmano), e dai polsini pieni di gemme preziose. Ai piedi calza scarpe a forma d’uccello. Durante la scena generalmente si trova ad un livello superiore, a mezz’aria, rispetto agli altri personaggi.
- La Regina e la Principessa (Minthamee): dal momento che tutti i re avevano numerose mogli, è possibile incontrare molte marionette che impersonino queste figure. Sono riconoscibili dalle giacche a maniche lunghe, aperte a campana sotto la cintola, e decorate da gioielli attorno alle spalle e al petto. Indossano longyi ricchi di disegni, ma non calzano scarpe. Generalmente la Regina porta i capelli raccolti sulla nuca, mentre la Principessa li tiene con un fermaglio, a coda di cavallo.
- Il Bambino: a prima vista può essere scambiato per una femmina, con lunghi capelli raccolti in due trecce ai lati della testa, ma, in realtà, è un maschio e, come tale, indossa un longyi annodato per coprire le gambe.
- I Prìncipi (Mintha): molte storie e leggende narrano di come i Prìncipi lottino per il possesso del trono, e delle loro numerose avventure sentimentali. Il costume è simile a quello del Re, ma, a differenza di questo, il turbante è caratterizzato da un grande nodo “a caramella” sulla destra. In questa categoria si annoverano anche le figure dei due Prìncipi Anziani (Minthagyi), il primo dal volto rosso, il secondo bianco.
- I Quattro Ministri (Wun-gyi-lay-bar): rappresentano il governo, e sono i messaggeri che trasmettono gli ordini del re. Visti spesso in discussione tra loro presso il palazzo reale, informano il pubblico riguardo la trama della storia rappresentata. Un Ministro è riconoscibile grazie al suo alto cappello da gnomo, verde o rosso, senza tesa e decorato da gioielli. Una fascia, anch’essa ingioiellata, attraversa diagonalmente il petto, al di sopra di un lungo abito dello stesso colore del cappello. Anche i Quattro Ministri, così come i due Prìncipi Anziani, sono divisi in due dal volto rosso e due dal volto bianco.
- I Cortigiani: situati al gradino inferiore rispetto ai Ministri del Re, non hanno un ruolo estremamente importante. Usano un turbante con due protuberanze a forma di foglia, sul retro della testa. Una fascia ingioiellata attraversa l’abito all’altezza del petto, diagonalmente, ricoprendo una lunga giacca dagli orli bianchi. Un elaborato longyi copre le gambe, ripiegato e ampio, tanto da toccare il terreno.
- Il Vecchio Uomo e la Vecchia Donna (Ah-may-oh): rappresentano ordinari paesani, e i loro costumi sono particolarmente semplici, con un camicione o una tunica su un longyi. Calzano scarpe nere, e l’uomo ha una lunga barba bianca e baffi.
- Il Generale: nonostante gli abiti impressionanti, il suo ruolo è relativamente secondario. In testa porta un cappello a forma di cono, solitamente verde o rosso, con una tesa ondulata e ricoperta di gioielli. Indossa una lunga divisa su ampi pantaloni senza cintura, e tra le gambe tiene annodato un longyi. Calza scarpe a forma d’uccello e, spesso, porta barba e baffi.
- I Commedianti (maschio e femmina): sono spesso rappresentati mentre lottano e, a volte, si travestono. Gli abiti sono da paesani, con una giacca e una camicia sopra un longyi senza decorazioni. L’uomo è senza cappello e sorride.
- L’Angelo: se invocato, questo essere paradisiaco è in grado di assistere gli uomini lungo il loro cammino buddhista. Indossa una tunica, piuttosto elaborata, che ricopre le gambe fino ai piedi.
- Gli Spiriti (Nat): appaiono sotto diversi aspetti, mentre proteggono e fanno la guardia ad alberi, fiumi e montagne. Rappresentano sia il male sia il bene, ma non sono così potenti come l’Angelo. La loro entrata in scena è sempre volante, a mezz’aria. Possono essere identificati dal cappello a cono, ricco di gioielli e con una protuberanza a forma d’ala, che ricopre la nuca. Una corta tunica dorata e ingioiellata copre una camicia dai polsini decorati, mentre le gambe, rivestite da ampi pantaloni senza cintura, indossano un longyi. Anche gli Spiriti calzano scarpe a forma d’uccello.
- L’Orco: è il demone (Bilu o Belu) della mitologia birmana, spesso presente nelle antiche leggende. A causa dei suoi poteri sovrannaturali, questo essere può assumere qualsiasi aspetto desideri, generalmente con scopi malvagi. Solitamente è rivestito di pelle verde, con un corpetto ingioiellato, a forma di grembiule. Anche il suo volto feroce è di colore verde.
- L’Alchimista (Zawgyi): è una specie di “Superman” orientale, il quale può assumere qualsiasi forma desiderata. Dotato di eterna giovinezza e vitalità, il magico e mistico Alchimista vive un’esistenza solitaria nella foresta, alla ricerca di piante e radici medicinali. Con queste aiuta le persone che hanno bisogno. Solitamente entra in scena volando ed è caratterizzato, a volte, da una folta barba. Tra le mani impugna una bacchetta da prestigiatore di colore giallo e rosso, e calza scarpe appuntite. Il cappello rosso è orlato di giallo e ha una tesa che ricopre le orecchie. Una lunga giacca rossa spicca sui larghi pantaloni rossi e indossa un longyi rosso tra le gambe.
- Il Bramino (Ponna): è il consigliere del Re per ogni problema di tipo astrologico. Spesso è rappresentato come un paesano, tutto vestito di bianco, con due orecchie a forma d’ala che si protendono dal retro del turbante, anch’esso bianco.
- L’Eremita (Yathay): vestito completamente con abiti marron, ha un alto cappello bruno ed è un personaggio importante. Rappresenta le Virtù buddhiste, e potrebbe essere stato un nobile od un principe, dal momento che, secondo la tradizione, gli ultimi anni di una persona andrebbero passati in contemplazione, rinunciando alla vita terrena.
- Garuda e Naga: chiaramente di origine indù, sono nemici mortali. Il primo, noto anche col nome di Galon, è il Re degli Uccelli, mentre il secondo è il mostruoso Re dei Serpenti. In scena spesso combattono, ed entrambi appartengono alla classe mitologica delle marionette (così come l’Alchimista, gli Spiriti e altri).
Esistono, inoltre, numerose altre figure ricorrenti, di minore importanza; tra queste ritroviamo: Sin-phyu, l’elefante bianco; Sin-net, l’elefante nero; Myin, il cavallo; Kyar, la tigre; Makara, il serpente marino; Kyet-to-yway, il pappagallo; Byarmar, Brahma; Natkadaw, il medium degli Spiriti; Myauk, la scimmia; Ahpyodaw, la damigella d’onore; Lu-shwin-daw, i due pagliacci di corte; Seik-kala, il servo indiano.





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