sabato 5 maggio 2012

CUBA - GHETTI


Da quando per campare e viaggiare a sbafo ho iniziato a fare anche l’accompagnatore turistico ho acuito in maniera esponenziale il mio livore, per usare un eufemismo, nei confronti dei cosiddetti ‘villaggi vacanze’. Ghetti scintillanti in cui il turista del Primo Mondo, per sentirsi in linea con i vicini/e di scrivania/casco, può rinchiudersi, abboffarsi, spaparanzarsi e grattarsi al sole mentre i colleghi sudano sul computer o in fabbrica, annusare da (molto) lontano l’aria che respirano i poveri indigeni miserabili e, tornato al Bar dello Sport/Salone Mirna, raccontare come ha fatto il tal paese. Poverini, erano così miseri. Vedessi che code per comprare un panino. E che vestiti. E che denti.
A Cuba, per volere di Castro, negli ultimi anni queste strutture, veri e propri dollarifici per le casse dello stato, sono cresciuti come funghi. Al momento sull’isola sono in costruzione oltre ottomila camere d’albergo, da aggiungere alle trentamila già presenti. Alcune isole bellissime - come Cayo Largo, Cayo Coco, Cayo Guillermo - sono state trasformate, in pratica, in campi di concentramento per la spremitura del turista, con spartizione del bottino tra governo cubano e tour operator/costruttore occidentale che vi ha investito notevoli capitali.
Premesso che il cubano a Cuba rimane fuori, vediamo come il turista medio, conosce l’Isla Grande in queste simpatiche strutture.
Arrivato in truppa con un charter venduto a prezzo da saldi e carico di gente allupata che già calcola i costi delle prossime avventure erotiche, viene depositato con un pulmino presso la reception dell’albergo, assieme alle sue tre Samsonite da 50 kg ciascheduna. È ricevuto da giovani abbronzati/e dall’aria sana che tirano le guance fino ai limiti della paresi per dimostrare la loro gioia, molto molto interiore, nel ricevere il settecentomilionesimo ospite del Villaggio Vacanze Capecazzi, gestito dal noto operatore L’Avventura Non è per Tutti. Segue il welcome drink (succo acido di arancia), trasporto del corredo di nozze per mano di schiavo sudante alla camera della cabaña assegnata (che della capanna ha solo un po’ di pagliuzza sul tetto), immatricolazione. Quest’ultima fase è particolarmente interessante. Nei villaggi di mezzo mondo, negli ultimi anni, si è diffusa l’elegante usanza di decorare i polsi dei Sigg. Ospiti con colorate pulseras, braccialetti di plastica, dalle tinte vivaci e con un bel numero da lager stampato sopra. I braccialetti vengono applicati con un sistema antistrappo: non possono essere slacciati, a meno che non vengano segati o sciolti con la fiamma ossidrica. Per il marchiamento a fuoco, come si faceva ai bei tempi di Dachau o con i cavalli di John Grinta, bisognerà aspettare ancora qualche anno, ma potete star certi che ci arriveremo. Il motivo più intimo di questa pratica risiede nell’acerrima lotta che vede contrapporsi il mondo del tour operator pagante, in concorrenza globale ogni giorno più dura, a quello piccolo e antico del portoghese autoinvitato, soprattutto nel momento clou del buffet. Come dice la parola, quest’ultimo corrisponde a un’abbuffata, uno dei momenti più topici dell’avventuroso viaggio in terra cubana (o in qualsiasi altro luogo simile).
Ma torniamo alle decorazioni da polso. Queste, infatti, non bastano a tenere fuori i parassiti squattrinati come te. C’è sempre qualche furbastro - nove volte su dieci italiano - che, nonostante la tangibile atmosfera di riservatezza esclusiva che il luogo emana, pensa di essere un genio e si intrufola per usufruire gratuitamente dei servizi riservati ai Signori Spendenti. Qualcuno di questi rifiuti della società, senza tetto né legge, arriva addirittura a ipotizzare che le spiagge non debbano mai essere private e, nella fattispecie, che possa stendere il suo proprio personalissimo telo privo di firme quotate in borsa sulla pubblica arena. Tempo un quarto di secondo e un cubano in divisa, nero dentro e fuori, armato di manganello, manette e ghigno per nulla amichevole, ti chiederà con tono brusco:
“Il/la Signore/a è ospite del villaggio?”
Sa già la risposta e non serve trovare scuse. Serve pagare, se vuoi restare, quello sì. Sennò alzare i tacchi.
Il problema è che nelle isole in questione non esistono mezzi pubblici, tipo gommoni o scafisti, con cui sfollare verso altri luoghi. O ti noleggi una costosissima auto (almeno 65$ al giorno) o è meglio che impari a fare un buco nella sabbia come i granchi. A Cayo Coco, per esempio, il luogo più vicino in cui trovare una tana a prezzi vagamente abbordabili è Morón, ad appena novanta chilometri. In mezzo il nulla, solo laghi e riserve di caccia per maniaci della doppietta scaricata addosso ai volatili. Se ti sei spinto fin lì con un passaggio di fortuna per goderti un po’ di spiaggia e sei stato colto sul fatto a versare il tuo lercio sudore sulla sabbia del villaggio senza pagare l’Adeguato Compen$o, sporco camaján che non sei altro, è meglio che passi in cassa, sborsi cinquanta dolori per mezza giornata di spiaggia+due pasti, e ti fai applicare un braccialetto di colore diverso da quelli degli altri. Loro sì, che sanno spendere i soldi. Loro pagano la diaria completa. Loro hanno la pulsera con il colore della nobiltà, tu quello della gleba. Tu, povero pezzente, solo la permanenza ridotta. E ti va bene solo perché siamo democratici, la Revolución ha trionfato e la dignità dell’Operatore è salva. ¡Patria o muerte!



Dopo che ti sei rilassato, che le palpitazioni da sbirro incazzoso accarezzante manganello pronto-a-partire-se-tu-non-scucire si sono calmate, e il cuore ha ripreso il battito naturale, ti puoi finalmente godere la spiaggia e il suo mondo così gioioso e variegato. Passato tra una folla di bergamaschi che si lamentano di come sia affollato il centro di Bergamo la domenica pomeriggio e di come aumenti il costo della vita e delle materie prime per fabbricare armi, di obesi canadesi di origine calabrese di cui non si capisce una mazza quando aprono la bocca, di Settimane Enigmistiche, di tatuaggi così tribali e ggiovani, di Istruttori così Sportivi in scalmane per coinvolgere i Clienti in attività salvifiche quali il catamarano, il windsurf, lo slalom tra la tracina, passato tutto ciò, puoi finalmente calpestare gratuitamente la spiaggia incontaminata. Fino al villaggio successivo, venticinque metri più in là.
Ma non ti devi stupire se i vicini hanno così poco gusto. D’altronde sono spagnoli. Si sa, poverini, che dopo aver massacrato le loro coste con il cemento delle mafie globali, non soddisfatti, e convinti di aver inventato uno stile, ora lo stanno esportando nelle colonie, quelle di ieri. Cioè poi quelle di oggi. Non ti spaventare, dunque, se il villaggio limitrofo ha bungalow che sono una coltellata alle scapole di Le Corbusier, Niemeyer e Tange, per non parlare di quelle date al minimo concetto di buon gusto, che dovrebbe essere di tutti. Se le loro cabañas sembrano torte di nozze prive solo di sposini in cima ma arricchite con gli stessi colori da glassa marcia, dal verde dissenteria al giallo senape, ti devi convincere che tutto ciò serve alla Rivoluzione, al benessere psicofisico del Cliente, all’ecosistema e a far rivoltare il povero Hemingway e i suoi gatti nella tomba.
È meglio procedere, non ti perdere in pensieri inutili e antidemocratici. Il cane da guardia locale sembra ipnotizzato dal tuo polso così fuori ordinanza e si sta chiedendo perchéggiammai i vicini usino colori così prolet., così diversi, così - forse un portoghese? Sta già accarezzando il manganello. Vai, accelera il passo, tra la fine del suo territorio e quello del pitbull successivo ci sono ben quindici metri di spiaggia ‘libera’. Potrai prendere respiro.
Ein, two, trois, quattro, cinco...
Sapevi che a Cuba la razza era bella meticcia, ma mai avresti pensato di trovare negri che parlino l’esperanto. E soprattutto mentre sguazzano tra le onde, circondati da venti ciccioni/e e italiane con le treccine alla Malindi che saltellano in mezzo metro d’acqua partecipando a giochi da tv generalista. Che minchia stanno facendo? Circo? Un corso di salsa acquatica? Cercano di non essere punti dalle tracine?
Sei proprio out, non sei fashon, né trendy. Per non parlare dell’up e del cool. Nonono, così non va. Perché non segui gli input della moda? Dove vivi, tra i boscimani? È acqua gym, ginnastica per far muovere il culone alle obese del Primo Mondo. Poi, magari, stasera Paco, l’istruttore, farà vedere l’interno coscia alla più meritoria, quella che ha dimostrato la più profonda applicazione nell’impari lotta contro la cellulite e, soprattutto, nell’impari lotta di Paco contro il proprio salario. Ancora una, ma sai mai che quando arriverò a Lecco non mi dia le chiavi dell’appartamento. O almeno cento sacchi.
Gli urletti delle massaie in calore non ti sono mai piaciuti, né nelle pubblicità degli assorbenti né, figuriamoci, su una spiaggia tropicale che in agenzia ti avevano venduto per selvaggia e incontaminata. Meglio lasciar perdere la passeggiata. Tanto qui di incontaminato c’è solo il fondale che inizia trecento metri oltre il reef.
Andiamo a mangiare, è quasi l’ora di cena. Prima una bella doccetta, poi la camicia meno sgualcita. Stasera, come da programma, si mangia nella Sala Veneziana. Domani proverò La Dolce Vita. Dopodomani Il Mandolino Sbrecciato. Ehi, ma che cos’è tutta ‘sta gente?
Il buffet è decisamente affollato. Nonostante i centocinquanta metri di tavoli vomitanti pasta, carni arrosto e budini, con un cuoco/cameriere servente ogni 50 cm, non c’è una sola fessurina in cui infilare il proprio piatto con relativa forchetta. Il popolo sembra impazzito per la conquista della Coscia di Pollo o del Cannellone sbrodolante ragù. Nemmeno durante le distribuzioni degli aiuti umanitari in Somalia o in Bosnia si erano visti tali zuffe per le zuppe. Che cos’ha questa gente, un’epidemia di verme solitario? Da domani hanno deciso di mettersi tutti a dieta? Certo che a giudicare dai fianchi e dai prosciutti usati come braccia ne avrebbero bisogno, ma mi sembra strano che si siano messi d’accordo per iniziare oltughèzeràitnau.
“Scusa, il fusillo è al dente? Sai, perché se è molliccio non va bene, no, con quello che ho pagato. E nel sugo c’è l’aglio?”, fa una ciccia di Pescara a Raúl, visibilmente abbronzato sotto il cappello da chef. Visib. non italiano, visib. almeno cubano. A prima vista si supporrebbe poco parlante italiano.
“¿Como? No se, Señora, ¿que coño está diciendo? No ablo italiano...”
“Pasta al diente, dura, capisci? Aglio? Aglio? Aglio? ‘Sti negri non capiscono nulla, santamadonnina...”
Conquistato il piatto, non riesci a staccare gli occhi dal tavolo di fianco, dove una signora leopardata, attorno alla quarantina e con labbra gonfie come canotti, stivali a punta di pitone turchese, osserva, tra una forchettata e l’altra, l’abbronzatura di Raúl. Dice qualcosa di vischioso e sozzo all’amica che le siede accanto. Non cogli le parole, ma lo sguardo e il ghigno, chissà perché, sarà il posto, ti fanno venire in mente la besciamella.
I camerieri portano carriole di rinforzi al buffet, eppure il cibo non sembra mai bastare. C’è sempre qualcuno che si lamenta perché è finito l’arrosto o le patate sono fredde. E dov’è la birra che ho ordinato mezz’ora fa?



È calato il buio, lo zoo sta digerendo, e ti dirigi nello spiazzo con il bar e la piscina a forma di polipo che lotta con la murena. È appena arrivato un gruppone di turisti canadesi, stanno bevendo il loro welcome drink agli acidi gastrici. Sembrano un po’ spaesati, ma anche euforici per l’inizio della vacanza. Di fronte al bancone gli animatori stanno allestendo il palco sul quale si terrà lo spettacolo di stasera. Queste forme di intrattenimento, di solito, non ti piacciono un granché, ma stasera non hai sonno. E poi sono incluse.
“Signori e signore, ladies and gentlemen, ovviamente certamente sono Katia, la capo animatrice del Villaggio, cioè, e questo è Salvatore, praticamente mio carissimo e bravissimo collega.”
I due giovani si presentano al pubblico satollo che, tra un biorumore e l’altro, ha iniziato a radunarsi nell’arena. Katia è alta un metro e cinquantacinque, larga più o meno la stessa misura, capelli corti giallo fosforescente. Fare coatto e forzatamente disinvolto, sembra uscita dal Grande Fratello. Parla al pubblico come se fosse al cinema a vedere l’ultimo film di Brad Pitt con l’amica del cuore. Accento padano, non più di ventidue anni, avverbi e superlativi a volonté. Salvatore, invece, di pochi cm più alto ma molto, molto più stretto, è ricoperto di piercing dalla giugulare all’attaccatura dei capelli. Tatuaggi dappertutto, accento campano fortissimo. Quando parla si capisce una parola su quattro. Troisi visto in un cinema d’Aosta.
In tempi remoti, per fare parte di uno staff di animatori, non era richiesta la famosa bella presenza, o almeno una larghezza inferiore all’altezza? Rotoli d’adipe? Piercing? Tatuaggi? Dove siamo, in un centro sociale?? Le tue domande non trovano risposta, anche perché le rivolgi solo a te. Il bisogno di manovalanza sottopagata e altamente motivata a fare qualsiasi cosa pur di fuggire da Biella o da Salerno, questa è l’unica specie di risposta che riesci a darti, deve aver abbattuto ogni forma di censura selettiva da parte degli arruolatori del tour operator. Punkabbestie welcome, basta che non chiedano i contributi.
I due ragazzi, poverini, ce la mettono tutta e, nonostante il loro primo impatto fisico con i Clienti - che, forse, hanno iniziato a porsi le tue stesse domande -, riescono a far breccia con la loro simpatia pompata a sorrisi e urletti tra gli spettatori cotti dal sole. K&S hanno imbastito uno spettacolino di imitazioni e coinvolgono il pubblico, che dopo un quarto d’ora ha perso ogni forma di timidezza, torpore da calorie e ritegno, e si spinge per salire sul palco a imitare qualche Vip della tv. È interessante notare come un canadese, seppure oriundo della Calabria Saudita o della Sicilia di cinquant’anni fa, riesca a seguire uno spettacolo in italiano del Duemila, presumibilmente senza avere la minima idea di chi siano i tali Nerk o Erpes Ragazzotti, senz’altro personaggi guida nella madrepatria, imitati sul palco. Con un tipetto ricoperto di anelline e chiodi che penzolano da ogni cm di epidermide facciale, tra un tatuaggio a ragnatela sulla fronte e un chiodo da ferro di cavallo conficcato nel mento. Con una che rotolando a destra e a sinistra ripete ogni tre parole eddài, evvài, forza ragazzi. I canadesi, si sa, sono più simpatici e naïf degli statunitensi. Di bocca larghissima, accettano educatamente qualsiasi merda fumante che gli venga porta su un piatto d’argento.
Tu, però, che prendi fuoco anche solo quando accendi la tv e qui ritrovi le stesse menate da emittente albanese rifilate in cambio del canone, non reggi lo show. Non lo trovi divertente. Anche perché non consideri un punto di riferimento del tuo immaginario poco collettivo robe come gli 883 o Raul Sbava. Sarai un asociale, i colleghi al lavoro te lo dicono sempre, ma non ce la fai a seguire questa cretinata, anche se ti sei trangugiato tre mojitos e fra il pubblico hai notato un paio di scosciate che varrebbero una sosta più approfondita. Vai a letto, il sole del pomeriggio ti ha lessato, il cibo della sera appesantito, i mojitos stordito, gli animatori macellato l’anima.
In camera si vede addirittura RAI International, purtroppo solo scemeggiati, cagate da emigranti e lo stramaledetto calcio, ma il satellite capta anche ottimi film americani o inglesi, per cui ti addormenti piacevolmente e in fretta. La temperatura è solo leggermente alta, soffia una brezza niente male. Lasci la finestra appena aperta, così da far entrare il vento dei Caraibi. C’è chi paga per averlo.
Che cos’è ‘sta puzza? E questo rumore da bireattore?
Ti alzi di colpo, manco un questurino ti avesse preso il fegato a sacchi di sabbia. Guardi l’orologio, sono le cinque e mezza del mattino, il sole ha appena iniziato a sorgere e dalla spiaggia giunge un odore di morte misto a un frastuono assordante. Balseros in uno scontro a fuoco con i guardacoste? Un’altra Baia dei Porci, proprio qui? Riti di santería? Sono tornati i russi e stanno cucinando i loro schifosi cavoli ai cetrioli in riva al mare?
Infili il naso nella fessura della finestra, con il lenzuolo a tappare i conati di vomito. Cerchi di ricordare quali schifezze hai mangiato ieri, così da spiegarlo al medico. Uno sguardo appannato verso la spiaggia, però, ti fa capire in fretta come il cibo non c’entri affatto. Un trattore sovietico sta cingolando sul bagnasciuga e spruzza nubi enormi di DDT, o altre schifezze cancerose simili. I Signori Clienti, specie se italiani, detestano gli insetti, zanzare prime fra tutti. Sentimento condivisibile, direte voi. Lo sterminio di tutti questi figli del Signore a base di napalm e derivati, però, oltre a sviluppare assai probabilmente il tumore ai polmoni, senz’altro genererà insetti mutanti assuefatti cui non faranno un baffo nemmeno le atomiche francesi. Tra qualche anno i turisti qui, se continueranno a venire, si porteranno le mute di amianto.
Tu, per il momento, al massimo tra mezz’ora, se il DDT non ti avrà già spappolato il cervello, dopo aver fatto una colazione superveloce, chiederai il rimborso e andrai a finire la tua vacanza in qualche zuccherificio o miniera di nickel dell’interno. Molto più divertente e rilassante.

da L'importante è muoversi
http://pietrowrites.blogspot.it/2012/03/limportante-e-muoversi.html

Pubblicato su Limes



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