Un solo requisito viene
domandato a chiunque, sannyasin (‘discepolo’, in sanscrito) o meno, per entrare nell’Ashram (centro di meditazione): un test negativo
dell’AIDS, rilasciato in giornata dal moderno ospedale situato in prossimità
dei cancelli della comunità, al numero diciassette di Koregaon Park, Puna
(Maharashtra), India. L’entrata è a pagamento, una piccola tassa che serve a coprire le molte spese pubbliche dell’ashram. La prima volta
che si entra viene rilasciato un pass con la propria foto e la data, da
esibire agli incaricati che sorvegliano i cancelli della comunità. La funzione
del test dell’AIDS è, oltre a quella ovvia di proteggersi dalla malattia in un
luogo in cui i contatti fisici sono incoraggiati - il mistico Bhagwan Shree
Rajneesh ha sempre stimolato i suoi discepoli a liberarsi dalla frustrazioni
attraverso la piena soddisfazione di qualsiasi sentimento represso, sesso
incluso -, anche quella di evitare un’ulteriore scusa al governo locale, da
sempre ostile alla comunità, per impedire loro di andare avanti. Se qualche
caso di sieropositività venisse scoperto all’interno dell’ashram, la comunità avrebbe vita breve.
‘Osho’, così fu ribattezzato il
mistico fondatore della ‘setta’ poco prima della sua morte (avvenuta il 19
gennaio del 1990), sempre volle che la sua creatura, la comunità sorta fra
mille avversità, fosse considerata esclusivamente come un grande centro di
studio e di meditazione. Mai volle dare all’ashram la definizione di ‘setta
religiosa’, essendo contro ogni forma classica o alternativa di religione, e
ricercando piuttosto un senso generalizzato di ‘religiosità’. Ed è proprio
nella differenza fra questi due termini - ‘religione’ e ‘religiosità’ - che
Osho costruì le fondamenta della sua dottrina. Bhagwan elaborò una teoria atea secondo la quale il fine ultimo di ogni persona è lo stato di
‘illuminato’, di persona in pace con sé, con il mondo e con un’eventuale entità
superiore, - di cui, però, nessuna prova d’esistenza è data agli uomini. Lo
stato di ‘illuminazione’ sarebbe raggiungibile solo seguendo una crescita
interiore basata sulla e ottenuta con la meditazione. L’ashram fu costruito,
dunque, come centro di meditazione e di studio di tutte le scienze,
tradizionali o meno, delle culture occidentale e orientale.
La giornata, all’interno della
comunità, viene passata a seguire le quattro meditazioni di base: la Dynamic,
alle sei del mattino; la Nataraj, dalle 10,30 alle 11,30; la Nadabrahma, dalle
15 alle 16; e la Kundalini, dalle 16,15 alle 17,15. A queste vengono spesso
aggiunti ‘gruppi’, corsi particolari, a pagamento, di meditazione, di
massaggio, di arti marziali, di medicina (agopuntura, mora machine, ecc.), di
arte (pittura, musica, fotografia, scultura), di tennis, e anche di yoga, di
danza, di astrologia, d’ipnosi, d’inglese, sauna, pranoterapia e molti altri. A
Puna, insomma, risiede il maggior centro mondiale di studio del fisico e della
mente, ove il meglio delle dottrine orientali e occidentali si fondono in una
‘multiversità’ del sapere.
La cosa che più balza
all’occhio del visitatore esterno, non appena varca i cancelli dell’ashram,
oltre alle tuniche amaranto - in passato arancioni - che tutti indossano (per
formare un’unica ‘energia’), è il cosmopolitismo del luogo: la popolazione dei
sannyasis è costituita da persone di qualsiasi angolo della terra, con una
forte dominante tedesca, italiana e giapponese: alcuni tra i popoli più lavoratori al
mondo, dunque anche i più bisognosi di una ricerca di interiorità, troppo
spesso dimenticata a favore del lavoro.
Cileni, russi, sudafricani, svedesi,
statunitensi e brasiliani vivono nella comunità di Puna, lì con una regola
comune: dimenticare nazionalità e nome, si è cittadini del mondo, il
passaporto, le bandiere e la propria lingua d’origine vengono lasciati nel
comodino, le donne diventano Ma e gli uomini Swami, seguiti da
due nomi indiani dai significati profondi, come ‘consapevolezza’ o ‘colui che è
se stesso’. La lingua ufficiale, nonostante
l’enorme difficoltà per apprenderla dei giapponesi (e di pigrizia degli
italiani), è quella che, a detta di molti, prima o poi diventerà la ‘lingua
universale’: l’inglese (cinese permettendo).
L’organizzazione dei servizi,
gestita da molti tedeschi, è esemplare: il lavoro viene eseguito
volontariamente, in cambio di qualche piccola agevolazione, aumentabile nel
tempo: cucina, giardinaggio, amministrazione, ufficio stampa, vendita presso il
negozio di libri, di musica o di vestiti, così come il servizio ai bar, ai
cancelli d’entrata, al pronto soccorso, all’ufficio postale o all’agenzia di
viaggi sono solo alcune delle mansioni che i più volenterosi o i più bisognosi
di vitto e alloggio (e comunque chi nell’ashram ci passa mesi o anni) svolgono.
I tre ristoranti della comunità - quello indiano, quello
giapponese e quello internazionale -, terrorizzati dalla sporcizia e dalle molte
malattie del resto dell’India (basta uscire dai cancelli per cambiare
radicalmente panorama), offrono piatti iperigenici ed esclusivamente
vegetariani: pizze, fettuccine al pesto, goulash vegetale, carne di soia, ecc.
Un po’ di storia
L’ashram di Puna è un’isola all'interno del subcontinente indiano, con regole, volti, lingue e
culture nettamente differenti dall’ambiente circostante. Basta uscire dai
cancelli della comunità, prendere un risciò e farsi condurre in centro, per
sentire l’enorme diversità di ritmi e di atmosfere che ti circondano. Il
rapporto con lo Stato ospite che, a mala pena tollera questa comunità
antireligiosa e antinazionalista sul proprio territorio, è sempre stato
difficile, fin dai primi tempi, quando Bhagwan la fondò, parecchi anni
addietro. L’ashram è sempre stato visto dagli esterni come il ‘tempio del
peccato’, dove il sesso libero regnava sovrano e il ‘comandante’ Osho si faceva
servire dai suoi schiavi, facendosi comperare (durante il periodo in cui
la comunità si trasferì nell’Oregon) numerose Rolls Royce. Su tali dicerie
giornali scandalistici hanno campato per anni. ‘Giornalisti’ prevenuti e
frettolosi si limitavano a visitare la comunità per poche ore, senz’alcuna
documentazione sull’argomento o elasticità mentale, limitandosi poi a
trascrivere articoli precostituiti in redazione o ‘notizie’ d’agenzia. Pochi
sono i giornalisti che hanno passato un certo tempo all'interno della comunità,
vivendo sulla propria pelle le tante situazioni positive che vi accadono.
La totale anarchia promossa da
Bhagwan contro ogni forma di governo, religione e nucleo familiare, ha sempre
fatto sì che gli stati a cui veniva richiesto asilo lo rifiutassero a priori.
D’altronde, quale mai sarebbe potuto essere il governo che permettesse
l’ospitalità, sul proprio territorio, di un predicatore del ‘non-governo’?
Dopo l'esperienza americana -
la comunità dell’Oregon finì malamente, in seguito alla fuga con i fondi
comunitari della compagna di Osho -, i sannyasis si videro cacciati da ogni
nazione in cui richiedessero asilo, e furono costretti a fare ritorno in India,
terra-madre di Bhagwan, che già li aveva ospitati in precedenza.
Nonostante le molte polemiche e
disaccordi, oggi la comunità di Puna vede la folta presenza anche di molti
sannyasis di origine indiana. Bisogna notare, però, che costoro si distaccano
parecchio dall’indiano-medio: appartengono generalmente a un ceto medio-alto,
benestante, piuttosto colto, prevalentemente proveniente dalle grandi città
(Delhi e Bombay), ove più sviluppato è il sapere internazionale e il numero
degli studenti universitari è maggiore. Il popolo di ‘bassa’ estrazione
(soprattutto culturale) della città di Puna, invece, continua a vedere la
comunità come un luogo pieno di sporcaccioni atei, drogati (una delle regole
d’oro, all’interno dell’ashram, è proprio il divieto assoluto di consumare
sostanze stupefacenti) e un po’ folli (opinione condivisibile, quest’ultima, ma
in senso positivo). Verso il tramonto si vedono giovani indiani camminare
attorno al perimetro della comunità, nella vana speranza di intravedere da una
fessura qualche ‘sporca’ donna nuda, in atto amoroso.
Da Osho il sesso libero venne
sempre indicato come tappa fisicamente necessaria per arrivare alla
sublimazione dell’energia sessuale, impossibile da reprimere così come hanno
imposto tutte le religioni in millenni di storia. Il voyerismo degli ‘esterni’,
dunque, non è che una delle reazioni della società indiana che circonda la
piccola isola culturale di Puna.
Per quanto riguarda, invece, la
fama di ‘comunità d’élite’, in cui i ricchi discepoli usavano abbandonare ogni
loro avere per farne dono al loro ‘capo’ carismatico, bisogna precisare che
siamo di fronte a un ulteriore luogo comune, da sfatare. Le tante Rolls Royce di Osho dei tempi dell’Oregon sono sempre state regalate volontariamente dai
sannyasis ricchi, di cui il mistico ha fatto uso ma non ha mai posseduto un
singolo bullone. Molti sannyasis dispongono di buone riserve economiche, alcuni
sono ricchi californiani provenienti da esperienze nel cinema, altri hanno alle
spalle fortune accumulate che, arrivati a un certo punto della vita, hanno
deciso di destinare a una causa ritenuta giusta, secondo una scelta spontanea
e ben meditata. Non sono, cioè, miliardari fessi che si sono fatti fregare dal guru di turno, ma
gente colta e consapevole che ha fatto una scelta a lungo ponderata.
Bhagwan, d’altro canto, non ha
mai predicato una forma di religiosità che volesse proteggere, attraverso
l’elemosina, i più poveri. Tutto il contrario. Ha sempre sostenuto che nelle
società c’è chi nasce ricco e chi povero, e alcuni, dotati d’intelligenza,
fortuna e tenacia, riescono ad arricchirsi, giustamente. La ricchezza
materiale, dunque, è sempre stata vista come un giusto bene terreno, a
disposizione di alcuni, ma impossibile da allargare a tutti. Ecco, quindi, una
spiegazione all’edonismo ostentato della comunità, assai visibile attraverso
orologi da capogiro e macchine di lusso, come espressione culturale alternativa
alla millenaria carità gratuita e lacrimevole promossa dalle tante religioni.
Igiene e
meditazione
L’unico posto in
tutta l’India in cui sia possibile bere acqua dal rubinetto è, probabilmente,
l’ashram di Puna, da cui sgorga purificata. I cibi sono tutti altrettanto
‘sicuri’, accuratamente controllati prima di essere serviti. I servizi igienici
sono comuni, non c’è distinzione fra uomini e donne.
La giornata
viene passata da una meditazione all’altra, intervallate dal pranzo o la cena
presso i ristoranti dai nomi mistici, e a bere grandi quantità d’acqua - ne
vengono consigliati almeno tre litri al giorno - per purificarsi.
Nell’ashram il
denaro non circola. Gli acquisti, sia per il cibo sia per i souvenir (libri,
musica, abiti), vengono cancellati sui cosiddetti food-pass, cartoncini
che indicano stampato il quantitativo corrispondente in rupie con le quali sono
stati comperati all’entrata.
Ogni giorno,
alle 18,30, i cancelli dell’ashram si chiudono, e all’interno vi rimangono solo
coloro che vogliono prendere parte al Darshan, il discorso quotidiano di
Osho, registrato e riproposto su di un grande schermo dopo la sua
morte. Questo utilizzo della videoregistrazione non ha tolto spettatori al rito,
ma anzi, nuovi sannyasis arrivano a Puna sempre più numerosi nel tempo,
nonostante la dipartita del loro ‘capo’ carismatico. In questa occasione tutti
si vestono esclusivamente di bianco - il colore della purezza -, mentre
l’usuale tunica amaranto viene indossata in ogni altro momento. Si deve essere
ben lavati e senz’alcun profumo: negli ultimi tempi Osho era molto malato e
debole, e ogni tipo di microbo o di essenza artificiale avrebbe potuto farlo
peggiorare. Dunque, ancor oggi, dopo la sua morte, all’entrata del luogo di
ritrovo vigilano gli sniffers, gli ‘annusatori’ che, accostando
discretamente il naso ad ogni persona che entra, controllano che nessuno si sia
cosparso di profumi o di repellente per le zanzare, continuando l’usanza come
se Bhagwan fosse ancora presente. Tutti i sannyasis puntualizzano come Osho non
sia ‘morto’, bensì abbia solo ‘lasciato il corpo’.
Il Darshan
è preceduto da una musica, eseguita dal vivo, dolcissima e coinvolgente,
durante la quale chi lo desidera danza liberamente. Ed è questo uno dei momenti
più belli della vita in ashram, che un po’ ne rappresenta tutto lo spirito: la
totale libertà, mentale e fisica, senz’alcuna inibizione né timore di essere
deriso perché ‘si balla male’, cosa normale in una qualsiasi discoteca fuori
dalla comunità. Qui tutti possono danzare come, quando e dove pare loro, senza
venire osservati, criticati e giudicati.
L’apice di esaltazione,
scandito dalla musica in un crescendo a zigzag verso un’esplosione finale,
culmina nel grido di ‘Osho!’, un boato che per qualche secondo scuote
l’atmosfera dell’ashram. Segue qualche minuto di silenzio, in cui meditare, per
poi passare al discorso - che generalmente dura un’ora - sotto forma di
risposta alla domanda posta da uno dei discepoli. Dopo pochi secondi di
riflessione Osho comincia a rispondere, intercalando pensieri semplici ma
profondi e chiari a barzellette che fanno sbellicare dalle risa e riflettere al
tempo stesso. Bhagwan, a differenza degli altri ‘guru’ che affollano l’India,
si è sempre distinto per la totale mancanza di serietà, voluta e ostentata,
durante le sue prolusioni: un profondo odio per l’atteggiamento serio nel dire
qualsiasi cosa, sintomo di un autostima eccessiva, è sempre stato oggetto di
derisione da parte del mistico; un ulteriore segnale a non considerarsi centro
del mondo, bensì a vedersi come piccola parte di esso.
Ecco un esempio di discorso,
tratto da uno dei tanti Darshan:
Domanda -:«Amato Osho, a volte
mi sento estasiato dall’idea che questa comunità stia lentamente divenendo un
unico corpo, un organismo a sé, rappresentante ciò che il mondo intero dovrebbe
essere. Sono ancora una volta un utopista? Sto sognando? Per favore, dimmi di
no...»
Osho - «Sarjano, è un sogno che
si sta facendo realtà, ma è un sogno - non il tuo sogno, ma quello di tutti
coloro che si trovano qui ora. È impossibile trovare un uomo senza una sua
utopia di un mondo migliore, più umano, più bello, più amabile e pieno di
amore; un mondo senza conflitti, guerre, discriminazioni, un mondo sensibile,
compassionevole, comprensivo. Ogni essere umano porta in qualche angolo
nascosto della propria coscienza questo sogno. E non è un fenomeno nuovo.
Fin dall’inizio questo sogno
era presente nell’umanità, e sono stati fatti sforzi per farlo divenire realtà.
Quasi tutti sono falliti, non a causa di qualche difficoltà intrinseca, ma a
causa della vastità del mondo che ci circonda. I tuoi sogni non corrispondono a
quelli del mondo intero, che sono ben più potenti dei tuoi. Il sognatore è un
essere molto delicato, fragile, almeno quanto i suoi sogni.
È una comunione di
sognatori.
Avevamo creato un sogno negli
Stati Uniti, ma il governo locale non lo poteva tollerare, poiché il sogno di
vivere in pace e con amore in un’unità organica va contro tutte le politiche,
contro tutti i potenti.
È contro le cosiddette religioni, perché se tu
costruisci un sogno qui e ne fai realtà, chi ti potrà seccare col suo inferno,
paradiso e dio?
Bertrand Russell ha ragione
quando dice che se le persone fossero davvero felici, allora le religioni
scomparirebbero. Le religioni hanno un enorme interesse nella miseria delle
persone. Le persone devono rimanere miserabili; altrimenti cosa accadrebbe al
Cristianesimo, all’Induismo, al Giudaismo, e a milioni di preti che vivono come
parassiti perché tu sei miserabile?
Nella tua miseria hai bisogno
di qualche forma di consolazione! Prima ti fanno sentire peccatore, poi ti
obbligano ad andare in chiesa a confessarti dal prete. Il prete ti ‘multerà’ e
pregherà Dio per te, affinché tu venga perdonato - è uno stupido gioco!
Ed è andato avanti per secoli,
e comunque l’uomo è ancora così rimbecillito che non riesce a vedere in che
maniera viene manipolato. Quando la comunità in America venne distrutta - quasi
rasa al suolo dai bulldozer - in modo criminale, qualsiasi persona al mio posto
avrebbe gettato la spugna, e avrebbe smesso di seguire l’utopia; ma io sono
ostinato! Continuerò fino all’ultimo respiro... o anche dopo. Sarjano, quello
che sta accadendo qua ora è che il sogno si sta facendo di nuovo realtà. Ed
abbiamo imparato così tanto dalla distruzione della comunità in America, non è
stata un’esperienza malvagia. Imparare è sempre un bene, e si apprende anche
fallendo. La comune ha avuto successo, eccome! Adesso le cose stanno migliorando,
le persone ritornano e con più esperienza. Qualcosa di totalmente nuovo, un
corpo più organico, non un regime dittatoriale; non l’obbligo di dieci o dodici
ore di lavoro, ma più gioia di vivere. Ognuno in base ai propri bisogni e alle
proprie scelte. Stiamo facendo di tutto per non urtare l’individualità di
nessuno, non vogliamo sacrificare qualcuno nel nome della comunità. Al
contrario, stiamo rendendo gli individui forti, dato che questa sarà la forza
della comunità, e i semi hanno cominciato a diffondersi.
Non ci interessa andare in
paradiso; noi vogliamo il paradiso qui. Tutto dipende dal nostro amore, dal
nostro silenzio, dalla nostra pace, dalla nostra meditazione, e dall’essere
attenti a non ricadere nelle trappole dei tanti interessi.
Una volta che l’albero è
divenuto forte, e ha affondato le radici nella terra, sarà difficile
abbatterlo.
Io credo nella terra. Io recito
Zarathustra che disse ai suoi discepoli: «non tradite mai la terra». Tutte le
religioni hanno tradito la terra. La terra è l’unica realtà.
Tutte le altre cose delle quali
le religioni parlano è solo falsità per distrarti. Noi non vogliamo religioni
che predichino un paradiso futuro dopo la morte. Il nostro interesse è qui, ora
- prima della morte. Perché mai dovremmo aspettare dopo la morte?
Questa è stata la routine fino
ad oggi perché le persone non sono state capaci di creare qualcosa di bello in
vita. Hanno iniziato a rimandare a dopo la morte perché nessuno sa cosa c’è
dopo. Non male come manovra tattica.
Io non voglio rimandare nulla,
neanche per domani. Tutto ciò che si può fare ora andrebbe fatto ora. Non
tradite la terra; non tradite il presente. Non tradite i vostri sogni; i vostri
sogni sono la vostra vera anima.
A una festa un vecchio vescovo,
stanco degli impegni pubblici, sprofondò con tutto il suo peso su di una sedia.
La padrona di casa
immediatamente arrivò proponendogli una tazza di tè.
«Niente tè», brontolò il
vescovo.
«Caffè?»
«Niente caffè», fu la risposta
solenne.
«Scotch con soda?»
«Niente soda».
Sarjano, semplicemente evita lo
scotch. Evita lo stato di incoscienza. La soda è ottima. Sii chiaro nelle tue
idee, sii conscio dei tuoi sforzi. Il sogno sta affondando le radici e spero
che presto potremo vedere i fiori. Non sono così lontani».
L'Iniziazione
Ogni domenica, alle 9,30,
all'interno della Buddha Hall, chi lo desidera riceve il sannyas,
lo status di discepolo, nel corso di una cerimonia molto suggestiva. L’essere sannyasin non implica
alcuna rinuncia né l'appartenenza a una nuova religione o setta. Corrisponde,
semplicemente, a riconoscersi come persona meditativa, alla ricerca di un nuovo
sistema di vita e di una maggiore conoscenza di se stessi. Le uniche ‘regole’ da seguire -
nulla, nell’ashram, è da intendersi con la serietà e la rigidità di qualsiasi
altra forma di associazione civile o religiosa, dunque anche il termine
‘regola’ sembra eccessivo per definire una serie di comportamenti - sono il
cambiamento del proprio nome, e l’indossare una tunica amaranto per la
meditazione ed una bianca per il Darshan.
Ai piedi della poltrona in cui
Osho sedeva si radunano gli aspiranti sannyasis, circondati da un pubblico di
amici, e di curiosi; un’orchestrina scandisce il ritmo, in una perfetta
mescolanza di strumenti orientali e occidentali, mentre cinque o sei
‘iniziatori’ - la cui funzione è di ‘passare’ il sannyas ai nuovi arrivati -
presiedono alla cerimonia. Il discepolo si siede al centro
del gruppo di persone, su un tappeto, e scambia qualche parola con
l’iniziatrice, cadendo lentamente in meditazione. Viene aiutato a concentrarsi
per mezzo di un cristallo passato sulla fronte o sul petto, o attirandone lo
sguardo su di una barra trasparente, entro la quale oscillano porporine colorate.
Il discepolo, totalmente rilassato, si lascia accompagnare, fino a distendersi,
su un grande cuscino che un iniziatore provvede a sistemare alle sue spalle,
dove giace per qualche minuto. L’iniziatore gli
consegna quindi un attestato di sannyasin, sul quale viene riportato il suo
nuovo nome, scelto a caso fra una vasta gamma. La musica coinvolgente fa da
continuo sottofondo alla cerimonia, fino al momento della consegna della
collana con la foto di Osho.
A volte anche alcuni
bambini ricevono il sannyas, nonostante i genitori vengano scoraggiati a
portare i loro figli nella comune: non si vuole dare l’impressione all’opinione
pubblica che l’ashram cerchi di ‘indottrinare’ chi non lo desideri. Tuttavia
molte sono le famiglie che ritengono opportuno non dare ai loro figli
un’educazione ‘classica’ (casa & chiesa). I più giovani, generalmente
dotati di energia in eccesso e, dunque, poco portati alla meditazione,
frequentano un edificio a parte, a cui è annessa la scuola; raramente si vedono
all’interno dell’ashram ‘dei grandi’.
È vero, però, che la comunità, oltre a
non avere nazionalità, è anche senza età.
Puna come Ibiza?
A chi sono ignoti i 650
libri tratti dalle parole di Bhagwan - tanti ne sono stati editi -, e lo
immagina come uno dei tanti ‘guru’ indiani predicatori di religioni alternative
e di astinenze terrene, arrivare a Puna per la prima volta fra le dieci e le
undici di sera può offrire una doccia gelata. A quell’ora, infatti, apre il bar
della comunità, del tutto identico ad un luogo di ritrovo turistico in stile
ibizeco, in cui si passa il tempo bevendo piña colada e facendo
conoscenza con altri, discorrendo del più e del meno. E queste sono le stesse
persone che di giorno, con un alone profondamente mistico e serio sul volto,
hanno frequentato le meditazioni più importanti, con dedizione totale.
Di notte i sannyasis si
trasformano, come camaleonti, in una folla bisognosa di divertimento, che trova
risposta a tale esigenza nelle molte feste organizzate
sui tetti dei maggiori alberghi della città, affittati appositamente da qualche
sannyasin per lucro. Alcuni si pagano la permanenza a Puna in questo modo,
organizzando feste a pagamento. D’altronde questa è la legittima richiesta dei
frequentatori della comunità, generalmente abituati a tali forme di
divertimento nei Paesi d’origine, e mancanti nella maggior parte della mistica
India.
Il carattere
‘godereccio’ del sannyasin in passato ha causato non pochi problemi in questo
strano Paese. La rinuncia a molte forme di gioie terrene, volute dalle molte
religioni presenti nel subcontinente, ha fatto sì che i discepoli di Osho
spesso fossero mal visti dai governi locali. Anni fa, sbarcare all’aeroporto di
Bombay e venire riconosciuti come sannyasis, equivaleva a farsi rifiutare il
visto d’entrata e ad essere immediatamente rispediti in patria. Ultimamente,
tuttavia, i rapporti sono decisamente migliorati, anche grazie alle grandi
quantità di denaro che gli stranieri portano alla città: case e condomini
sorgono in continuazione nei dintorni dell’ashram e, nel periodo di ‘alta
stagione’ (dicembre-febbraio) la comunità vede la presenza di circa 15.000
persone, portatrici di dollari. Molti abitanti locali, inoltre, trovano lavoro
all’interno dell’ashram, e buona parte del denaro di questi ‘turisti’ atipici
finisce nei canali commerciali della città.
OSHO
(Bhagwan Shree Rajneesh), 1931-90
L’11 dicembre 1931 Osho
nasce a Kuchwada, un piccolo villaggio nello Stato del Madhya Pradesh, India. A
26 anni insegna sanscrito, e nel 1958 viene nominato professore di filosofia
presso l’università di Jabalpur, dove insegna fino al 1966. Dopo nove anni
d’insegnamento, inizia a viaggiare attraverso tutta l’India, tenendo discorsi
pubblici e confrontandosi con leader religiosi in accesi dibattiti.
Nel 1969 si trasferisce
a Bombay, dove comincia a iniziare i suoi discepoli al Sannyas, uno
status meditativo che non implica alcuna rinuncia terrena: Osho, allora
chiamato Bhagwan Rajneesh, sottolinea come la sua ricerca non sia una nuova religione,
bensì una via verso la religiosità, una scoperta più profonda di se stessi. I
primi occidentali cominciano ad arrivare. Nel 1974 viene costruito l’ashram di
Puna, e per circa nove anni Osho tiene, quasi ogni mattina, discorsi in cui
affronta tutti i temi delle filosofie e delle religioni orientali ed
occidentali, poi riportati su circa 650 volumi e tradotti in venti lingue.
Nel 1981 le condizioni
fisiche di Osho degenerano, e urge un’operazione chirurgica negli USA; nel
frattempo i suoi discepoli costruiscono una gigantesca tenuta nell’Oregon,
chiamata ‘The Ranch’, presto trasformata in una comunità agricola
modello in pieno deserto. Ma l’ambiente statunitense è ostile al ‘Ranch’: Osho
consiglia la totale libertà da qualsiasi vincolo (famiglia, religione,
nazionalità, lavoro inteso come ricerca di denaro), e tutto ciò il governo
americano mal lo sopporta. Il 14 settembre del 1985, finalmente, le autorità
americane trovano la tanto aspettata occasione per arrestare Bhagwan, nel
momento in cui la cerchia di responsabili della comunità - tra cui la compagna
del mistico - scappano con una somma enorme, portando alla luce truffe
gigantesche. Osho viene imprigionato per dodici giorni a El Reno Federal
Penitentiary, dove - si scoprirà in seguito, per mezzo di analisi - è
avvelenato di nascosto attraverso radiazioni di tallio. Multato di 400.000
dollari, viene deportato. Inizia quindi una peregrinazione che dura un anno, e
che vede Osho viaggiare in 21 Paesi di tutto il mondo, regolarmente scacciato
dopo pochi giorni, grazie alle pressioni della chiesa o del governo americano
sugli indebitatissimi governi locali.
Nel 1987 non gli resta
che fare ritorno a Puna, dove i suoi sannyasis ormai lo chiamano ‘Osho’, nome
derivato dal giapponese antico, che significa ‘armonia’ e ‘conoscenza di sé’.
Da allora, per tre anni, Osho guida ogni sera la meditazione che segue il suo
discorso, e introduce nuove forme di meditazione, come la Mystic Rose.
Durante la seconda
settimana del gennaio 1990 Osho si indebolisce visibilmente. Il giorno 19 il
polso diviene irregolare, e quando il suo dottore gli chiede se debba preparare
un massaggio cardiaco, Osho risponde: «No, lasciami andare. La vita deve
decidere quando cessare». Alle cinque del pomeriggio Osho muore. Dopo due ore
il suo corpo è portato nella sala dei raduni e, eseguita una breve
celebrazione, viene cremato. Le sue ceneri giacciono nel samadhi, quella
che per un breve periodo fu la sua dimora, dove una lapide recita: «Osho,
Mai Nato, Mai Morto, solo di passaggio sulla Terra tra il Dicembre, 11, 1931, e
il Gennaio, 19, 1990».
Intervista
ad AMRITO
(Dr. George Meredith),
medico personale di Osho, membro della cerchia dei ventuno responsabili che, dopo la morte di Osho, ha gestito la comunità
D. - Cosa sta accadendo
nella comunità dopo la morte di Osho, qualcosa è cambiato? So che ora esiste
una cerchia di ventuno persone che gestisce l’ashram, me ne può parlare?
R. - Nulla è cambiato,
Osho ha trascorso trentacinque anni della sua vita a preparare la ricetta per
come portare avanti la comunità, e lo ha fatto molto chiaramente. Ora, dunque,
ci limitiamo a seguire la ricetta del maestro, ancor più facilmente di quando
fosse ‘nel corpo’, quando la sua debolezza e le sue malattie negli ultimi tempi
lo torturavano. Il nostro scopo è quello di stimolare le persone a meditare,
soprattutto in questa epoca di grandi cambiamenti - disastri ecologici, guerre,
ansie produttive e inibizioni delle persone -; e ciò ora ci risulta più facile,
ora che Osho ha lasciato il corpo. Come lui aveva predetto, dopo la sua morte
sempre più persone arrivano a Puna, e molte di loro non sono sannyasis. Senza
la sua presenza fisica, le persone crescono più forti, poiché sono maggiormente
lasciate a se stesse, senza una guida onnipresente che dica loro cosa fare
della propria vita. Dopo un primo momento di disorientamento, dunque, trovano
la strada da soli, ispirati unicamente dalle parole di Osho, e crescono più
forti.
La cerchia dei ventuno non
ha altro scopo se non quello di diffondere il pensiero di Osho in tutto il
mondo; la comunità è portata avanti sempre dal solito personale indiano,
senz’alcun problema o differenza rispetto a prima.
Mentre Osho era nel
corpo la gente aveva paura di lui, perché lui maltrattava il loro ego. Le
persone sono generalmente terrorizzate dal sentirsi dire che cosa devono fare.
Ora che fisicamente lui non è più qui, si sentono più sicuri, e arrivano in
numero sempre crescente.
D. - Qual è stato,
secondo lei, il maggior merito di Osho?
R. - Osho ha dichiarato
il fallimento di ogni organizzazione (stato, religione, famiglia), e ogni tipo
di medicina per curarle è stato sperimentato (comunismo, capitalismo), con
insuccesso.
Osho ha detto che la
via verso un paradiso in terra - e non certo dopo la morte - non è il
terrorismo né la guerra, bensì la meditazione. Una società perfetta è quella
anarchica, ma fatta di persone coscienti di sé, che sono arrivate all’anarchia
come tappa finale, dopo aver provato il comunismo e la meditazione.
Non si può dunque
creare il paradiso in terra senza la meditazione, che è l’unica ricetta
genuina, perché viene dal nostro interno, e non ci è imposta da nessuno.
Lo scopo dell’ashram è
questo: portare il paradiso in terra, allargandone lentamente i confini là
fuori, e facendo vedere alle persone quanto sono infantili nel giocare ai
soldatini, a erigere frontiere, ad uccidersi fra loro. Qui ci sono persone di
cinquanta Paesi diversi, e convivono pacificamente, nonostante le origini più
disparate. Il paradiso in terra è possibile.
D. - Pensa che ora,
dopo la morte di Osho, l’opinione pubblica della stampa internazionale
cambierà, dopo anni e anni di Rolls Royce e fidanzate che scappano con la
cassa?
R. - Fino a oggi la
stampa a scritto ciò che il proprio Paese voleva fosse scritto: i tedeschi
vedevano in Osho il ritorno di Hitler, gli olandesi un predicatore
dell’omosessualità (nonostante lui l’abbia sempre condannata), gli statunitensi
vedevano nei sannyasis dei portatori di pistole. Ogni Paese ha riversato le
proprie paure, i propri fantasmi su Osho. Ora che lui non c’è più si spera che
l’opinione pubblica cambi, visto che nessuno più, fisicamente, può incutere
paura.
I giornali piuttosto
dovrebbero occuparsi di problemi seri, quali la distruzione ecologica a cui ci
stiamo avvicinando. Sono stato recentemente in Germania, e le foreste sono
distrutte, sembra che ci sia passato King Kong a caccia di banane. Tutti gli ex
Paesi socialisti si sono avvicinati al capitalismo, e sono pieni di desiderio
per beni da consumare; per ottenerli occorrerà un ulteriore incremento
produttivo, che decapiterà definitivamente la nostra natura. Tutto ciò equivale
a un suicidio ecologico: ma nessuno, se non per moda, sui giornali si pone
queste domande.
D. - Nonostante la
parola di Osho sia sempre presente, attraverso il video e i libri, nessuno di
voi sente la sua mancanza fisica? Per lei, che era il suo medico personale, è
cambiato qualcosa?
R. - No,
solo la mia giornata e le mie mansioni. Al di là di questo tutto è come prima,
anche per le persone, come me, che gli erano vicine fisicamente, e che lo
conoscevano bene. Ma, in fondo, nessuno lo conosceva bene.
Futureshape
machines
Giacere in silenzio,
senza fare nulla, il movimento parte, e il corpo comincia a provare piacere.
Il sistema Futureshape
è costituito da sette macchine che mettono in moto diverse parti del corpo, una
volta distesi su lettini e completamente rilassati. Queste macchine sono state
progettate per far muovere i muscoli e le giunture principali del corpo,
permettendo al tempo stesso di eliminare tossine e altre sostanze superflue.
Negli Stati Uniti e in Europa sono state generalmente utilizzate in
combinazione con esercizi per la perdita del peso. Nell’ashram di Puna vengono
usate per sviluppare la consapevolezza di parti del proprio corpo solitamente
‘dimenticate’. Aiutano anche il rilassamento e la meditazione.
Mentre la macchina
lentamente esegue il movimento, stirando e massaggiando il corpo, si viene
incoraggiati, attraverso l’aiuto delle terapiste e l’ascolto di una musica
molto soffusa, al rilassamento più profondo, in sintonia con la respirazione e
la consapevolezza piena del proprio fisico. Un poco per volta, man mano che ci
si lascia abbandonare al movimento delle macchine, le tensioni accumulate nel
tempo scompaiono, ed una migliore conoscenza, fisica e mentale, del proprio
corpo appare. Si cominciano a percepire, attraverso il movimento - uno diverso
per ogni macchina -, muscoli e giunture troppo spesso dimenticati nelle
posizioni abitudinarie assunte quotidianamente.
Alcune terapiste, per
mezzo di massaggi manuali, aiutano a completare l’effetto della Futureshape,
accompagnandone i movimenti ed accentuando, così, il rilassamento. Le
funzioni delle macchine sono molteplici: ridanno forma ed elasticità ai
muscoli, aiutano a bruciare tessuti adiposi accumulati nel tempo, e danno una
nuova mobilità, bellezza e conoscenza del fisico.
La
Futurshape Machine si basa sul principio del movimento ‘passivo’, nel senso che è la
macchina stessa a muovere il corpo, mentre questo si limita ad accompagnarla. I
muscoli vengono così stirati e contratti, il sangue scorre e pulsa come negli
esercizi più tradizionali di stretching e di massaggio, mentre l’ossigeno viene
portato nelle aree di solito meno irrorate: il tutto senza il minimo sforzo.
Massaggio Divine Healing
Il
massaggio Divine Healing è una gradevole forma di armonizzazione tra l’energia
fisica e una buona salute, che trova la propria origine in una combinazione di
tecniche proprie dello Shiatzu, dell’agopuntura, della Moxibustion
(riscaldamento dei meridiani dell’agopuntura attraverso le erbe), e di un
profondo lavoro sui tessuti. Questo massaggio agisce principalmente sulla
compressione e la decompressione dei meridiani dell’agopuntura, centri
energetici del nostro corpo. I movimenti del massaggiatore sono eseguiti in
perfetta sincronia con la respirazione di chi riceve il massaggio, in una
continua successione di movimenti respiratori e di pressione sui meridiani. Il
massaggio Divine Healing è appropriato per la cura di dolori vertebrali o della
colonna, emicranie, perdita di energia, problemi mestruali. Le sessioni sono
generalmente di un’ora/un’ora e mezza, oltre la quale, di solito, qualsiasi
forma di dolore scompare e il rilassamento più profondo viene raggiunto.
Agopuntura
L’agopuntura
è l’arte di usare aghi ultrafini per regolare l’energia del corpo. L’agopuntura
è la più antica disciplina curativa conosciuta, nata in Cina circa 5000 anni
fa. Fin da allora questo tipo di medicina si è diffusa in Giappone, Corea,
Tibet e Vietnam e, negli ultimi duecento anni, anche nel resto del mondo.
Il
principio di base della medicina cinese è l'equilibrio omeostatico dello Yin
e dello Yang nel nostro corpo: quando l’energia corporea riesce a
mantenere in equilibrio questi due, la salute viene conservata facilmente. Si è
malati quando l’equilibrio, per qualche motivo, viene meno. L’agopuntura è una
medicina preventiva di questi squilibri, così come è largamente utilizzata per
curare malattie già in corso o croniche. Ogni sessione è preceduta da
un’accurata analisi, misurando le pulsazioni del polso e controllando il colore
della lingua e dell’epidermide facciale. Assieme all’utilizzo di aghi sterilizzati,
spesso vengono adoperate altre tecniche, quali la Moxibustion, l’appoggio di
coppe sui punti di applicazione, lo stimolo della pelle attraverso uno
strumento ‘saggiatore’ (il cosiddetto ago a ‘prugna in fiore’), o utilizzando
un laser indolore al neon, sempre in corrispondenza dei punti energetici.
Mora Machine
La Mora Machine fu inventata nel 1978 dal fisico
Morell e dall’ingegnere Rasche (MO-RA), al fine di diagnosticare e curare
un’ampia gamma di malattie connesse alla bioenergia. La caratteristica
principale della macchina è quella di poter leggere il campo elettromagnetico
del paziente (attraverso un diagramma di onde), senza produrre alcuna forma
sintetica di energia, e di stabilirne la correttezza o meno, trasmettendogli -
qualora una disfunzione venga rilevata - la giusta quantità/qualità di energia
mancante. Le funzioni della Mora sono svariate: utilizzando i principi
dell’agopuntura è in grado di analizzare e curare i meridiani; le cicatrici,
spesso causa di blocchi per la bioenergia, possono essere ‘pulite’ attraverso
un programma speciale; allergie al cibo e alle medicine possono essere
verificate e combattute fino al loro annullamento; può scoprire se
un’operazione odontoiatrica (otturazioni, corone, ponti) stia causando problemi
all’organismo. La Mora Machine, inoltre, offre molte possibilità per la diagnosi e la
cura di dolori, il trattamento di infezioni, la prescrizione personale di
medicine omeopatiche, e verifica se una data medicina sia appropriata o meno al
paziente.
Dalla Mora Machine sono derivate altre due macchine, basate
sul principio dei colori presenti in natura: una coi colori principali -
erogabili al corpo separatamente tra loro -, l’altra con tutti i colori,
erogabili tutti insieme allo stesso tempo. È questo un programma speciale della
Mora Machine: basandosi sui principi dell’agopuntura, il terapista determina quale
colore e in quale quantità sia necessario al paziente per ricostruire il
proprio equilibrio fisico, e gli eroga - attraverso una pistola apposita che
agisce localmente - le frequenze corrispondenti del colore mancante. Si è
riscontrato, ad esempio, che nelle città altamente inquinate, è forte la
mancanza di blu - soprattutto per l’epidermide e gli intestini -; la Mora Machine è in
grado di erogare la quantità mancante attraverso i canali energetici (meridiani
dell’agopuntura).
Pubblicato su Frigidaire
Pubblicato su Frigidaire
Meditazione Kundalini
È una delle forme di meditazione più coinvolgenti,
basata sull’immagine di un cobra che, lentamente, si eleva verticalmente -
acquistando energia dalla terra -, per poi ritornare al suolo. Accompagnata per
la maggior parte da una musica che ne scandisce il ritmo ed aiuta alla
concentrazione, è divisa in quattro fasi.
I primi quindici minuti sono dedicati al fremito, alle
vibrazioni del proprio corpo, utilizzando come base di partenza della
bioenergia il suolo. Attraverso i piedi, poi su, fino alla testa, tutto il
corpo freme, tenendo gli occhi chiusi, e lasciandosi andare al ritmo
ondulatorio (in senso verticale) della musica.
I quindici minuti successivi - la seconda fase - sono
caratterizzati sempre da una musica ondulatoria, questa volta, però, in senso
orizzontale e diagonale: ancora a occhi chiusi ci si lascia andare verso
qualsiasi forma di danza.
La terza fase è quella della stasi, e si rimane seduti
o in piedi, ascoltando musica soffusa e monotona, che ricorda, attraverso gli
stridii di un violino, il movimento di un serpente.
L’ultimo quarto d’ora viene trascorso nel silenzio più
assoluto, e tutti giacciono a terra, con gli occhi chiusi, in una forma di
restituzione di energia al terreno. Il ‘risveglio’ è battuto da un gong che
riporta gli individui, dopo un’ora di pace e solitudine - in senso positivo -
con se stessi, al mondo della luce, dei colori, degli odori, dell’udito e del
tatto.
ciao! vorrei saperne di più! lascio la mia email logosluna@gmail.com saluti ananda
RispondiEliminaciao! vorrei saperne di più! lascio la mia email andrebruno@hotmail.it saluti,Andrea(maschile)
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