Agli albori della mia carriera,
durante la fase epica dei primi viaggi fotografici, spesi la vorticosa somma di
100.000 lire per acquistare un ’90 gradi’, uno zoom finto da 007, in pratica
uno specchio camuffato da lente fotografica. Girandola in maniera adeguata si
poteva fotografare qualcuno puntando lo zoom a perpendicolo rispetto al
soggetto, così da far pensare che si stesse fotografando ben altro. Il
marchingegno, però, era di difficile manovrabilità, e dopo la terza foto fatta
con quello strumento, a polso quasi slogato, lo archiviai nello sgabuzzino. E
ripresi a fotografare guardando la gente negli occhi, almeno fino al giorno in
cui una gentile signora al mercato di Hong Kong mi asperse con sangue di rana
che stava scannando sotto lo sguardo indiscreto del mio zoom, urlandomi cose
cinesi poco comprensibili ma di certo cattive. Allora, finalmente, capii che la
foto selvaggia non sempre è la migliore ricetta. Bella può essere la foto
'rubata', che coglie un'espressione autentica, intima, lontana dai riflettori
di qualche falsissimo reality.
Altrettanto bello, però, può essere il ritratto, con modello/a consenziente,
previa gentile richiesta (molti sorrisi, prima chiedere, poi scattare). Alcuni
vi diranno di sì con gioia, altri con noia, altri ancora un no secco o
accompagnato da un mugugno. Il risultato è che se la persona che poserà per voi
lo farà con disponibilità potrete ottenere ottime foto, chiedendole di spostare
il volto a seconda della luce del sole, provocandone un sorriso o una smorfia
divertita. In Guatemala, anni fa, qualche turista giapponese fotoamatore
a-tutti-i-costi ci rimise le penne in un villaggio in cui si credeva ancora che
la fotografia 'rubasse l'anima'. Nel Nord della Thailandia un nostro turista fu
schiacciato da un elefante perché l’animale, non volendosi mettere in posa come
il nostro compatriota si aspettava, fu preso a pietrate… La collezione di
aneddoti sanguinari legati a tentativi mal riusciti di fotografare
qualcuno-facendo-qualcosa è infinita e globale. In un ventennio abbondante di carriera mi
è stato buttato addosso di tutto: gelati, acqua, male parole. Perfino da un
bolognesissimo bancarellaro sotto casa. Il mio reato quello di avergli chiesto
di fare una foto alla sua tavolata di antiquariato spicciolo. Quella mattina si
era svegliato male, evidentemente. E l’animo umano è imprevedibile. Nei mercati
asiatici, almeno quelli più frequentati dai turisti, di solito non succedono
crimini da codice penale ai danni dei visitatori, ma è sempre bene ‘annusare l’aria’
prima di scattare. Per affrontare i mercati con una
macchina fotografica in mano la ricetta può solo essere quella di ‘studiare il
terreno' (espressioni facciali dei modelli dopo un primo tentativo di click:
se questo modello vi dirà di no non disperate, altri ne verranno). Chi vende
artigianato, cibo o altro, di solito lavora ben oltre le otto ore sindacali,
spesso sotto il calore torrido e senza incredibili profitti. L’umore del
venditore, dunque, in media non è alle stelle. Gentilezza e sorrisi sono i
migliori strumenti per fotografare, di solito, senza traumi.
Viaggiare, fotografare, de/scrivere. Da cinno invidiavo i fotografi di viaggio come se fossero astronauti. Nel 1988 il direttore di TuttoTurismo comprò i miei primi servizi, ero sbarcato su Marte. Ho continuato per un quarto di secolo, finché le riviste sono sopravvissute. Sono incappato in photo editor metereopatici, in malviventi che mi hanno perso diapositive/pubblicato senza pagare e, di rado, in qualche gentiluomo/donna. Quanto leggete su questo blog è ciò che è scampato alla selva oscura.
Un italiano a Okinawa
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