venerdì 1 febbraio 2013

CINA, USA, CAMBOGIA - HAPPY NEW YEAR!


CAPODANNO LUNARE A PECHINO (10 febbraio), DURANTE LO SPRING FESTIVAL, TRA FUOCHI D’ARTIFICIO DEFLAGRANTI E SPIEDINI AGLI SCORPIONI. INSEGUENDO IL CINEMA D’AUTORE NELLA CITTÀ PROIBITA E IL CIELO TERSO, LIMPIDO COME MAI DURANTE IL RESTO DELL’ANNO. PER CHI AMA IL FREDDO E L’ATMOSFERA UNICA DELLA GRANDE CAPITALE.

Non mi sono mai sentito così sotto esame, nemmeno alla maturità, come quando, un po’ di tempo fa, sono entrato in un ristorantino lungo il muro esterno della Città Proibita. La buttadentro in strada ad accalappiate clienti, armata di menù in inglese e sorriso commerciale a trentadue denti, mi aveva arpionato per un gomito e trascinato fino al tavolo. Ordinato il maiale in agrodolce più buono della mia vita, a metà consumazione avevo iniziato a sentire il peso di quattro occhi puntati su di me. Fino a quel momento ero l’unico straniero. Gli altri tutti avventori cinesi, lì per mangiare, fumare e bere ettolitri di tè verde. Chi mi studiava erano due corpulenti turisti dal forte accento campano che, giunti dopo di me, si erano accomodati nel tavolo più distante. Il loro sguardo fisso attraversava la cortina fumogena alla nicotina e il vapore dei piatti, per finire sulla mia mano destra. I due dovevano essere alla prima mezz’ora d’Asia della loro vita, e oggetto dello studium era la dinamica delle bacchette per mangiare fra le mie dita. Il più massiccio dei due studenti faceva un ansioso ping-pong di sguardi tra le mie dita e le sue, con le quali impugnava, una per mano, come fossero coltelli sacrificali aztechi, le due bacchette di competenza. Con la coda dell’occhio notavo che mimavano i movimenti nell’aria, in attesa del piatto. Mi persi il momento migliore, l’arrivo delle loro ordinazioni: la luce in strada era ottima e volevo correre fuori a fotografare. Camminando fino al Beihai Park continuai a chiedermi: “Perché, fra tutti i clienti cinesi, proprio me? Non è meglio imparare dal maestro, anziché dallo studente? Sembro cinese?”. Dopo che gli avevo raccontato l’episodio, un amico consulente aveva etichettato il comportamento quale “riconoscimento nella propria tribù, salvagente molto usato quando ci si sente pesci fuor d’acqua”.







Il maiale in agrodolce più buono della mia vita, con studio antropologico come contorno, era il giusto premio che mi meritavo per aver affrontato l’immensità, nonché l’immensa bellezza, della Città Proibita attorno al capodanno cinese. Prima di andarci temevo l’odioso altoparlante delle guide turistiche che frantuma timpani e atmosfere nella scena finale de L’ultimo imperatore, e sognavo la magia del capolavoro di Bertolucci. Mentre ero lì, in quel periodo dell’anno così… temperato, l’unica cosa da temere era che il naso si congelasse e cadesse in mille pezzetti sul selciato. I sogni, invece, erano perlopiù concentrati dalle parti di un bagno rovente nella vasca del mio superhotel. Un bel tè caldo, come sogno di scorta. Ma non ero finito lì per caso: Pechino tra gennaio e febbraio non è per tutti, specie se non giri in pelliccia. Essere nella capitale in quel periodo, però, voleva dire luce spettacolare, cieli blu terso come solo nelle cartoline taroccate con Photoshop è possibile immaginare. Per il resto dell’anno, soprattutto durante l’afosa estate, Il cielo marron sopra Pechino, aveva parafrasato l’amico sociologo e meteorologo, con aspirazioni cinefile. L’inquinamento in città si fa sentire soprattutto in estate, tant’è che di recente l’amministrazione locale ha inaugurato una lotteria per estrarre a sorte i fortunati cui viene accolta la richiesta per l’acquisto di un’auto nuova. Per un cielo dipinto di blu, dunque, in pieno inverno o mai più. Un altro vantaggio del periodo, almeno per chi ama i concerti di capodanno, è la terza guerra mondiale che esplode nella metropoli la notte del capodanno lunare, seguita da repliche nelle quattro giornate a seguire. Avevo già visto i fuochi d’artificio a Copacabana per San Silvestro e il 4 luglio a Manhattan. In confronto, però, quelli erano spettacolini di bassa alchimia, robetta da adolescenti che avevano investito la paghetta in petardi. A Pechino, se c’è una cosa seria oltre al Partito, è quella di far provare a esplodere il cielo, per vedere che cosa c’è Lassù, forse un dubbio dell’ateismo di Stato, agli inizi di febbraio. Andando a piazzarsi sul tetto di una casa qualsiasi, magari armati di casco ignifugo e tappi per le orecchie, si può assistere gratuitamente a una replica del primo bombardamento degli americani su Bagdad. Una specie di aurora boreale che parte dal basso. In quei giorni l’ufficialità proibisce i fuochi artificiali nella zona della Città Proibita, ma subito attorno e fino alla prima risaia, molti chilometri più in là, si scatena l’inferno sonoro e visivo. Le famiglie hanno investito cifre importanti in botti che vanno dal piccolo (l’equivalente di un raudo nostrano) al gigantesco (specie di bombe di profondità antisommergibile). Bisognerà pure consumarle, non ce le possiamo tenere in cantina fino all’anno prossimo, inumidiscono. E una notte non basta, meglio cinque. Spettacolo nello spettacolo, gli addetti ai lavori. I campani hanno studiato me, io ho studiato il parcheggiatore del mio albergo, uomo di mezza età, di solito serissimo sul lavoro, in tale circostanza apparentemente intento a far esplodere le auto lasciategli in custodia con tonnellate di mortaretti, missili, girandole e tutto ciò che abbia una miccia. Nonostante l’impegno per cinque notti filate, non è riuscito a far saltare il serbatoio di alcuna macchina parcheggiata a mezzo metro dal suo campo minato. Li devono fare bene i serbatoi, in Cina.



Esplosioni nucleari a parte, il capodanno cinese trova il suo fulcro durante il cosiddetto Spring Festival, cinque giorni di fiere dal sapore antico che si tengono nei cortili dei templi principali. Andare a una fiera ‘di primavera’ è un atto dovuto per ogni cittadino pechinese che si rispetti, specie se con prole a carico. La tentazioni sono infinite, per il palato e per gli occhi. È epoca non solo di spring rolls, gli involtini primavera riempiti con le verdure della stagione, ma anche di spiedini con tutto ciò che è infilzabile e grigliabile. In pratica ogni insetto e piccolo animaletto concepito da Madre Natura, dagli scorpioni ai ragni, dai bachi da seta alle lucertoline, dai cavallucci marini ai millepiedi extralarge, tutti resi croccanti per mano dei numerosi chef specializzati in materia, perlopiù delle minoranze musulmane della sconfinata Cina. La parte del leone la fa il cosiddetto ‘tofu nero’, puzzolente e dal look poco appetibile quanto delizioso, secondo la testimonianza di chi ha lo stomaco per affrontarlo. E poi spiedini di carne piccante, zucchero filato, ‘palloncini’ zoomorfi fatti con lo zucchero caramellato (specie di vetri di Murano, forgiati con il calore e i polmoni da abili prestigiatori dei dolciumi), frutta caramellata, noodles cucinati in quattro e quattr’otto e dolcetti a treccia unti e bisunti. C’è da spaccarsi i denti per tutti i gusti. 






















Inoltre, spettacoli a go-go: la ‘lanterna magica’ (pagate qualche yuan al cantastorie che racconta una storia che sa di leggenda, in cambio sarete autorizzati a sbirciare attraverso uno spioncino e a fare ooohhh guardando ciò che avviene dentro una specie di televisore medievale), lo spettacolo senza prezzo dei topolini (la loro casa è un’anguria di legno, e a comando della bacchetta del proprietario iniziano a correre lungo un percorso da addestramento per marines, tutto corde, tunnel di metallo, scale in miniatura e ruote da criceto), quelli da vecchi lunapark (il lancio del cerchietto per infilzare la statuetta con il Buddha di ceramica dorata e portarsela a casa, il tiro al palloncino con il fucile ad aria compressa e le freccette, o al bersaglio con la tigre, cui infilzare il naso con la freccia da balestra), gli antichi burattini. Bancarelle che vendono ogni gadget inimmaginabile, primi fra tutti quelli ispirati all’animale dello zodiaco per l’anno che si sta inaugurando (orecchie da coniglio da infilarsi in testa, tramite cerchietto per capelli, l’anno scorso). I templi più gettonati sono quelli di White Cloud, nella zona di Nanlishliu, con file inaffrontabili, quello di Ditan, a Yonghegong, e quello meno conosciuto, ma interessantissimo, di Dongyue, a Chaoyang. Soprattutto nel primo, in quei giorni, è noto il fenomeno dai locali soprannominato he-ia-ia, traducibile con ‘pressione nera’. Quella delle migliaia di teste, tutte con capelli neri, che si spingono senza sosta.






Spettacolo invernale per eccellenza, quello del lago Qianhai congelato. Pechino non ha grosse piste da sci nei dintorni, ma nel cuore del quartiere di Dongcheng si può provare l’ebbrezza di una Cortina d’altri tempi, popolare e con gli sci… alle sedie. Un’invenzione locale, per la somma gioia di famiglie, bambini e adolescenti, è quella della sedia-slitta, piccolo colpo di genio applicato a strumenti piuttosto differenti fra loro, ma che messi assieme vi catapulteranno nel passato. Prendete la sedia che usavate alle scuole medie, e saldatevi alle gambe un paio di sci rimasti in garage da troppi anni. Otterrete un mezzo da trasporto su ghiaccio terribilmente divertente, unici accessori necessari un paio di bastoncini da sci e braccia buone per dare la spinta. La sedia-slitta impazza d’inverno sul lastrone di ghiaccio del lago Qianhai, e le comitive di amici noleggiano quelle a ‘trenino’ (più sedie incollate in fila). Lo spasso è assicurato, soprattutto quando qualche ‘sciatore’ inesperto va ad autoscontrarsi contro un altro. In mezzo a tutto questo viavai zigzagano i pattinatori autonomi, ma una volta lì cercate di avvistare la vera macchina del tempo (passato): i robot, vestiti da umani in miniatura, che eseguono passi meccanici circolari nel punto del lago in cui pattini e sedie-slitte vengono noleggiate per una manciata di yuan. Con le loro parrucche incollate sul cranio metallico e le facce da pagliacci sembrano usciti da qualche film dell’orrore degli anni Settanta. I bambini ne vengono attirati e ipnotizzati, tirando per i gomiti le mamme, a quel punto obbligate ad aprire il portafogli per un giro sul lago. Il Qianhai è al centro di una delle zone più turistiche della città, disseminata di negozietti e bar, tra cui qualche lounge in cui è possibile sciogliersi su sofà comodissimi, mentre si fuma al narghilè. Tutto attorno una ragnatela di hutong, le vecchie vie che da secoli costituiscono i quartieri popolari pechinesi, prima dell’arrivo dei condomini e dell’edilizia scintillante per i nuovi ricchi (vedi http://pietrotimes.blogspot.jp/2011/07/caccia-di-hutong.html). Alcuni hutong sono stati abbattuti per far spazio a nuove avventure edilizie, altri tirati a lucido e trasformati in vie per lo ‘struscio’, altri ancora hanno mantenuto il carattere d’un tempo, anche se magari hanno il condizionatore d’aria sui muri esterni, indispensabile durante l’estate torrida. Sulle sponde del lago, in una viuzza, c’è pure l’Hutong Pizza, una pizzeria ispirata alle vie-simbolo della città. E, qui e là, conduttori di risciò, che appena vi avranno avvistato vi ossessioneranno con proposte esose per un bell’hutong-tour. D’inverno si radunano infreddoliti e armati di spesse coperte nella piazzetta tra la Bell Tower e la Drum Tower, a breve distanza dal lago. Per un giro d’hutong che si rispetti, però, nulla di meglio di un buon paio di polpacci.











Come chiudere in bellezza un soggiorno invernale a Pechino? Verso il calare del sole, correte a piazza Tienammen, e assistete alla cerimonia dell’abbassa-bandiera. Lo spettacolo vero non sarà tanto quello della medesima, un dejà vu, quanto quello dei volti dei militari, infreddoliti ma granitici nel loro addestramento allo ‘sguardo a centottanta gradi’. Durante il periodo di servizio chi viene posto di guardia deve eseguire un rito per colli forti: un incessante roteare del volto - testa, sguardo, collo -, lento ma costante, per osservare gli eventuali nemici della Patria all’orizzonte. Sguardo glaciale, circondato dalle nuvolette del fiato che si raffredda nell’aria. La luce del sole cala e lentamente degrada in quella rossa artificiale degli slogan giganteschi di partito, propagati nell’etere a caratteri cinesi cubitali su pannelli che attraversano in larghezza tutta la piazza. Lo sconfinato selciato assume così una tinta rossastra d’insieme che vi ricorderà senza troppi giri di parole dove siete finiti. Terminato lo spettacolo della bandiera, sarete scacciati dalla piazza, per gli abusati ‘motivi di sicurezza’. Un consiglio per andarvi a riprendere dal gelo? Prendete la metropolitana fino alla fermata dello zoo, nel quartiere di Haidian, e rifugiatevi nel fantastico Moscow Restaurant, in un’ala del sovieticissimo Beijing Exhibition Centre, di fianco alla casa dei panda. Non perché la cucina russa sia un dovere, una volta a Pechino, ma per essere catapultati, ancora una volta, nel passato. Il salone ha un’architettura suntuosa, con soffitti infiniti e camerieri in livrea. Usciti di lì, dopo avervi cenato, vi sentirete un po’ Dottor Zivago.


Ente Turismo Cinese
Via Nazionale 75 - 00184 Roma
Tel. 06 4828888
Fax 06 48913429
www.turismocinese.it

IN RETE
http://it.wikipedia.org/wiki/Pechino
Sito in italiano di Wikipedia dedicato alla capitale, ricco di informazioni storiche e geografiche, con un’ampia lista dei luoghi da visitare
http://wikitravel.org/it/Beijing
Sito in italiano di Wikitravel, con informazioni pratiche e indirizzi di alberghi e ristoranti, anche a prezzi contenuti
http://it.wikipedia.org/wiki/Hutong
Sintetico sito in italiano di Wikipedia dedicato agli Hutong della capitale, tratto dalla più ricca di informazioni la pagina in inglese (http://en.wikipedia.org/wiki/Hutong)
http://www.hutongtohighrise.com/
Galleria fotografica con immagini d’archivio degli Hutong scomparsi o in via di epurazione
http://en.wikipedia.org/wiki/Beijing_Bicycle
Dettagliata scheda in inglese del film Beijing Bicycle
http://en.wikipedia.org/wiki/Shower_(film)
Scheda in inglese del film Shower


DOVE DORMIRE
Per un soggiorno da sogno nella capitale cinese concedetevi il lusso offerto dal fantastico Fairmont Beijing (www.fairmont.cn/beijing, 8 Yong An Men Wai Avenue, Chaoyang, stazione della metro Yong An Li, linea 1; tel. +86 010-85117777, fax 010-85073999, beijing@fairmont.com). Arrivando, sarete accolti dalla sua architettura unica, una gigantesco arco di trionfo tutto vetri e finestre. 222 camere (in Cina il numero significa ‘sei sul cammino giusto, qualunque cosa tu stia facendo’) con ogni comfort inimmaginabile (televisore di fronte alla vasca da bagno, asse della toilette riscaldata, caffè Nespresso, internet via cavo e wi-fi) e vista sul moderno quartiere di Soho, nel distretto di Chaoyang, a qualche fermata di metro dalla Città Proibita. Ricca colazione a buffet, occidentale e cinese, nel ristorante interrato (Lunar 8), che a pranzo e cena propone anche cucina giapponese, cinese e indiana. Per piatti di alta cucina provate le creazioni mediterranee dello chef canadese Marcus Routbard, al secondo piano, presso il ristorante The Cut (specialità i piatti di carne). E, per rilassarvi, oltre alla spettacolare piscina coperta, alla palestra e alla sala per lo yoga, non mancate la Willow Stream Spa, che offre un ricco menù di massaggi e di trattamenti estetici, fra cui l’aromaterapia.



DOVE MANGIARE
A Pechino, un po’ come in tutta la Cina, i ristoranti sono aperti ogni giorno e si mangia presto. La mancia non è comune (a volte vi verrà restituita!) e quasi dappertutto si fuma ai tavoli, nonostante la legge lo proibisca. Infinite possibilità per la cucina cinese, con sfumature differenti a seconda della provincia di provenienza dei cuochi (ricordando che il piatto motivo d’orgoglio locale è l’anatra alla pechinese, proposta un po’ dappertutto). Per quella dello Shandong lo Hai Shen Wang Restaurant (Building 5, Yard 14, Xinyayyuan, Zaojunmiao Donglu, Haidian, dalle 10 alle 14 e dalle 17 alle 21,30, tel. 010-62122840) propone la cucina ‘Lu’, base dei piatti del Nord (non per tutti gli stomaci/nasi): zampe d’anatra in mostarda, gelatina di maiale, zuppa d’uovo al pepe nero, polpette fritte di maiale e il piatto che dà nome al locale, il cetriolo di mare. Il Greentea Restaurant (2/F Building A, Winterless Center, 1 Xidawang, Guanghua crossing, Chaoyang, tel. 010-88807988, dalle 11 alle 21) offre pesce essiccato o granchio marinato in vino di riso giallo, anatra marinata nella salsa di soia e funghi neri, pollo bollito nel pepe fresco dello Sichuan con cipolle e peperoncino, bistecca arrosto al tè verde (croccante nelle parti esterne e morbida al centro). Come dessert cubetti di pane croccante e caldo serviti nel gelato alla vaniglia. 



Meizhou Dongpo (Building B20, Baijiazhuang Dongli, Chaoyang, tel. 010-65823742, tra i 240 e i 280 yuan a persona), per cucina dello Sichuan, con specialità quali salsicce (molto speziate o non speziate), pollo al peperone verde, maiale con foglie fritte all’aglio, anatra affumicata al tè, teste di pesce fritto. Per piatti più leggeri il Keli Huaiyang Village (5° piano del Chongwenmen Hotel, 2 Chongwenmen Xidajie, Chongwen, tel. 010-65235069, dalle 10 alle 14 e dalle 17 alle 21, 150 yuan in media) propone cucina dello Huaiyang (Jiangsu), con piatti freddi e saporiti: gamberi di fiume con fagiolini aromatizzati alla cipolla, medusa e cetriolini, maiale affumicato con arachidi. Tra i piatti caldi, ‘polpette’ di pesce bollite, cetriolo di mare e zuppa di pesce con da riso, polpette fritte di maiale, lumache bollite. Numerosissimi e di qualità anche i ristoranti che propongono cucina non cinese. Il Moscow Restaurant (135 Xizhimenwai Avenue, Haidian, di fianco allo zoo, sul lato sinistro dell’imponente Beijing Exhibition Centre, tel. 010-68354454, dalle 11 alle 14 e dalle 17 alle 21) fu il primo ristorante russo ad aprire nella capitale; offre piatti ben curati, sia della cucina russa sia di quella cinese (buoni dumplings in brodo), un pasto in media costa meno di 100 yuan. Per una pizza verace che più napoletana non si può, ma anche per ottimi piatti italiani a prezzi adeguati, non mancate La Pizza (3.3 Mall, Sanlitun, Chaoyang, tel. 010-51365582, dalle 11,30 a mezzanotte). Il cuoco Giuseppe Mania vi sfornerà una Margherita come solo a Napoli sanno fare, la sua firma qualche foglia di basilico fresco. Un semplice ma accogliente bistrò alla francese è il Café de la Poste (58 Yong He Gong Da Jie, Dongcheng, tel. 010-64027047), con piatti e spuntini ricchi di sapore. Affollato durante i fine settimana, non è economicissimo e il suo espresso non è esattamente napoletano, ma provate l’ottimo tortino al gorgonzola e noci. Per un cappuccino e qualche buon dolce rilassatevi allo Sculpting In Time Café (davanti alla Beijing Bell Tower, nella zona del lago Qianhai): piccolo locale accogliente, dotato di wi-fi e con personale gentile.


IL VIAGGIO
IL VOLO
Cathay Pacific (www.cathaypacific.com/cpa/it) ha ottimi voli dall’Italia (4 da Milano e 7 da Roma ogni settimana) per Pechino, con coincidenza a Hong Kong di circa un ora, a partire da 835 euro in economy. Eccellente il servizio di bordo e una business class rinnovata di recente, confortevole come poche altre.

COME MUOVERSI
Con una decina di linee, l’ottima metropolitana connette capillarmente tutte le zone di interesse turistico, così come il centro all’aeroporto internazionale (dalla stazione Dongzhimen, linea 2, costo 25 yuan). I biglietti si comprano nelle stazioni presso i distributori automatici in inglese e il costo (2 yuan) è fisso, anche per le lunghe distanze. Il biglietto va fatto scorrere sul sensore delle colonnine d’ingresso e inserito nelle medesime all’uscita. Da evitare le ore di punta, se possibile. I taxi sono relativamente economici ed efficienti, dotati di tassametro che emette la ricevuta per l’importo dovuto (di solito non occorre contrattare), difficilmente reperibili nelle ore di punta e all’uscita dei locali notturni più frequentati. È bene avere con sé un biglietto da visita o una guida con i caratteri in cinese da mostrare all’autista: nessuno parla inglese.


SHOPPING: ABBIGLIAMENTO (e santa pazienza)
Tra le mille cose che si possono comprare a Pechino (ceramiche, oggetti per l’arredamento, elettronica) una, in particolare, è consigliabile: l’abbigliamento. Premesso che il 99% ‘di marca’ è falso, bisogna aggiungere che spesso è di qualità, fatto con ottimi materiali (il falso cinese nel tempo si è affinato). Per rifarvi un guardaroba firmato a prezzi insultanti per i Grandi Stilisti visitate una succursale terrena dell’Inferno: il Sanlitun Yashou Clothing Market, a Sanlitun. Babele su più piani, è un alveare di stand in cui i negozianti, se farete l’errore di entrare nel loro territorio, vi accalappieranno per un gomito e non vi lasceranno più andare. Ma siete qui per fare compere, non per esercizi di buone maniere, no? Ecco, dunque, pantaloni, giacche, magliette, tutto quello che è umanamente possibile vestire. Vi verrà chiesto quanti esemplari ne volete (uno è un numero troppo ovvio), poi, calcolatore alla mano, vi verrà comunicato un prezzo cinque volte quello reale. Sempre. Se ve ne andrete (se riuscirete ad andarvene, vista la presa a tenaglia), il prezzo crollerà improvvisamente di quattro quinti. Chi non ama la contrattazione estenuante cerchi gli stand con il prezzo esposto a chiari caratteri su cartello (quelli sulle etichette sono solo virtuali): perle più uniche che rare, ma che vi eviteranno traumi psichici.

Fuso orario
Sette ore in più rispetto all’Italia, sei quando da noi è in vigore l’ora legale.

Documenti
Passaporto con almeno sei mesi di validità. Visto da ottenere in ambasciata o consolato (o presso le agenzie apposite), valido 30 giorni. È possibile ottenere l’entrata multipla (30 + 30 giorni), che però vi impone di uscire dal Paese dopo un mese, per poi rientrarvi.

Periodo migliore
Durante la nostra primavera e il nostro autunno, pressoché corrispondenti a quelle della zona di Pechino. D’inverno giornate limpide e terse, ma molto fredde.

Lingua
La lingua ufficiale è il mandarino. Poco diffuso l’inglese, se non tra alcuni giovani e in ambienti turistici.

Moneta
La moneta ufficiale è lo Yuan (RMB): un euro ne vale 8,50 circa.

Prefissi
Il prefisso internazionale per la Cina è 0086, quello di Pechino 010. Per chiamare l’Italia: 0039.




It's Chinese-Lunar New Year also in
NEW YORK CITY


The Chinese culture is ancient as any other, and wherever Chinese migrants settle down can't resist to show the beauty of their old traditions. In the many Chinese communities throughout the world the new year is celebrated noisily, with firecrackers and a color party made of beautiful clothes, paper stripes, joyful dragons that move as giant snakes through the streets, scaring little children and blessing shops owners. In New York City the biggest party happens in Manhattan's Chinatown and lasts several days. As a confirmation of the perfect mixture of cultures of the city, NYC Chinese New Year is a feast for everybody. Mixed couples participate, under the curious look of old Chinese immigrants. The new generations, more 'global', go beyond the ancient family-schemes, but don't forget their roots. So everybody, for fun, has the right to get dressed as an old Mandarin: a child, a father and, why not, even a dog... Thousands of people gather in Chinatown's streets, to watch the joyful madness of the commemoration, between parades, shows and a lot of food. Whan everything is over the street cleaners will have to work as never before: the feast leaves traces even when it's finished...




















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