I MAGNIFICI CINQUE
Cinque carnevali, cinque città del
Brasile.
La festa più matta del mondo, fra storie e stili differenti.
GOIÂNIA
Sulla
scia di Rio de Janeiro, molte grandi città del Centro-Sud del Brasile, a
cominciare da São Paulo, si sono dotate di cloni del Sambódromo, in versioni
ridotte. Lì, durante i quattro giorni canonici del carnevale, fanno sfilare le
proprie scuole di samba, spesso con sfumature locali, ispirate a temi
regionali. Goiânia, capitale del Goiás (il
nome deriva dagli indios goyazes) e capitale del cerrado - territorio
endemico del Centro-Ovest, a vegetazione bassa e semiarida -, è una città
moderna, fondata nel 1933, con oltre un milione di abitanti e strade a
scacchiera. Costruita a tavolino come Brasilia, Goiânia ha pochissimi monumenti
ma molti shopping centre e, sullo
sfondo, la cultura sertaneja (da sertão, il deserto brasiliano), detta
anche caipira (‘contadina’). Il Goiás,
in effetti, è un po’ il Texas del Brasile. Deve la sua ricchezza e la sua
cultura all’allevamento del bestiame, e la cucina è basata sulla carne: a Goiânia
un buon churrasco - spiedo di ottima carne, una delle più buone al mondo
- della domenica non si rifiuta a nessuno. La musica locale si fonda sugli
strimpellamenti melensi e le vocine in falsetto dei duetti di cantores sertanejos - cantanti ispirati al country locale -,
il gusto sul ‘modello JR’: fuoristrada americano in garage, conto in banca
robusto, forti valori (religione, famiglia), tradizionali e benpensanti. La
città, oltre a essere il più importante centro ospedaliero del Brasile, gode
fama di essere ‘la’ città in cui crescere una famiglia. ‘Goiano da gema’,
‘goiano della gemma’, cioè genuino, ama definirsi chi, con orgoglio, è e si
sente goiano. Su questo sfondo la
versione locale del Sambódromo vede
snodarsi la classica competizione tra scuole di samba, ma, qua e là, l’anima goiana spunta fuori. Alcune scuole
riescono a inserire le loro danze da cowboy, con cappello alla John Wayne e
cinturone da pistolero, tra un carrozzone e l’altro. Così da fare contenti
tutti.
SALVADOR DE BAHIA
Signore
& Signori, benvenuti alla follia pura. Folía,
d’altronde, è un concetto strettamente legato al carnevale brasiliano. Nella
succursale dell’Africa brasileira, nello
Stato di Bahia, la parte del leone - dal
punto di vista festaiolo - la fa la capitale Salvador, dove tutto o quasi s’incentra
sulla figura del trio elétrico, un gigantesco carrozzone ricoperto di
casse acustiche dalle quali esce musica al massimo volume. La gente, in truppa,
lo segue pulando (saltando) e
sudando. Secondo gli statistici, il carnevale di Salvador sarebbe il più grande
del mondo. Qui si svolge la festa di strada più imponente: circa di 25 km
d’asfalto, senza contare piazze e strade minori, sono il teatro della folía per un’intera settimana. Si stima
che, tra locali e turisti, in questo periodo lungo le strade di Salvador
saltino, ballino, cantino, bevano e amoreggino circa due milioni di esseri
umani. I circuiti principali: quello nell’antico centro storico, il Pelourinho
(‘Pelò’ per gli aficionados); quello
di Campo Grande, che raggiunge la piazza omonima partendo da quella dedicata al
poeta Castro Alves; quello che va dalla spiaggia della Barra a quella di
Ondina. Il trio elétrico domina
negli ultimi due, a traino dei gruppi/cantanti più famosi: Ivete Sangalo,
Daniela Mercury, Carlinhos Brown, Margareth Menezes, Olodum, Timbalada, Ilê
Aiyê, Chiclete com Banana e molti altri. Il più carismatico: quello dei Filhos
de Gandhi, ipoteticamente legati al padre spirituale dell’India (un suo clone vi
sfila tutti gli anni). Tra i ritmi più gettonati l’Axé e il Samba Reggae, solo
per citare quelli ‘storici’ (ogni anno nuove sfumature fanno la comparsa). Nel
Pelò si partecipa al carnevale più antico della città, con maschere di
cartapesta, birra a go-go e marcette più o meno spontanee. Necessari polpacci
d’acciaio, per affrontare le ladeiras, le stradine acciottolate saliscendi
del quartiere.
OLINDA
Nel Pernambuco il luogo più magico per godere il carnevale
è l’antica città coloniale di Olinda. Sorta di museo a cielo aperto, la città
si risveglia per circa un mese al ritmo del frevo. Qui i quattro/cinque
giorni canonici della festa sono considerati una restrizione assurda e offensiva.
Il frevo, ballo di origine africana, ha passi complicati eseguiti con un
ombrellino multicolore tenuto e passato fra le mani. Le vie acciottolate in
saliscendi offrono uno scenario particolare e i turisti accorrono a frotte. La
tradizione dei gruppi carnevaleschi di Olinda risale agli inizi del Novecento,
quando furono istituiti i primi blocos (‘blocchi’, la versione locale
delle scuole di samba), alcuni dei quali sopravvissuti fino a oggi: Lenhadores,
Vassourinhas, Cariri, Homem da Meia Noite, O Lord de Olinda, GRES Oriente.
Questi gruppi, e altri più recenti, hanno sede nelle viuzze della città, da cui
escono all’ora prefissata del giorno x: visto lo spazio ristretto si cerca di
non farli uscire contemporaneamente, la topografia non reggerebbe l’impatto. I blocos
non sono caratterizzati da una musica propria e originale: il ritmo di
sottofondo è comune, basato sul frevo, il samba (qui meno importante che a Rio)
e il maracatu, un ballo di origine africana assai diffuso nel
Pernambuco. I gruppi rispettano un orario fisso per le sfilate, un percorso
prestabilito, una data e un tipo di maschera. Nonostante le regole, il carnevale
di Olinda appare del tutto libero da limitazioni. La partecipazione di chiunque
a seguito del portabandiera è benvenuta, e nessuno vi guarderà storto se
seguirete più blocos. La birra e la cachaça
fanno da lubrificanti e vengono consumate a fiumi. Gli amanti delle sensazioni
forti ingurgitano anche il pau-de-indio (letteralmente ‘membro di indio’),
una bevanda naturale altamente energetica e allucinogena. Tutto questo, e molto
altro, nel nome del sacro Carnaval...
MANAUS
Il
Sambódromo di Manaus, forse per combattere un complesso d’inferiorità dovuto
alla dislocazione nel cuore dell’Amazzonia, è il più grande del Brasile.
Ufficialmente Centro de Convenções,
il luogo riprende in toto la struttura e i caratteri di quello carioca. Anche
qui sfilano, combattendosi il primato per l’anno in corso, le scuole di samba:
otto quelle della ‘serie A’, più svariate minori in attesa di promozione. Il
carnevale di Manaus, però, ha anche una forte influenza che deriva da Parintins
- città a 420 km, lungo il Rio Amazonas -, mondialmente nota per la festa di
fine giugno del Boi Bumbá (o Bumba-meu-Boi), cugina dell’omonima
festa di São Luís do Maranhão. Giunto
nello Stato dell’Amazonas grazie agli emigranti del Maranhão durante il periodo
d’oro del caucciù (Ottocento), il Boi venne ‘diviso’ in due tra il 1913
e il 1914. Prima fu istituito il Boi Caprichoso, di colore azzurro.
L’anno seguente arrivò il Boi Garantido, la cui bandiera è il rosso. Da
allora la rivalità è divenuta epica. Le città e l’intero Stato dell’Amazonas
sono divisi in due: azzurro e rosso. Per contenere tanta apocalisse, a
Parintins è stato costruito un apposito Bumbódromo, una specie di cugino
amazzonico del Sambódromo,
capace di ospitare 50.000 scalmanati. Un po’ come avviene per le scuole di samba
di Rio, a Parintins, fin dal 1966 è dichiarata la guerra per il gruppo
migliore, anche se poi il vincitore non viene osannato tanto quanto nella
capitale carioca. I cantanti, i giocatori di calcio, i politici dell’Amazzonia,
prima o poi, prendono tutti posizione: o rosso o azzurro. Il carnevale di
Manaus, sebbene fondamentalmente ispirato a quello di Rio, vede una presenza
sempre più massiccia delle influenze del Boi di Parintins, in un
tentativo di valorizzazione delle proprie radici indigene e di differenziazione
dalla lontana Rio. Il risultato è una festa unica in tutto lo sconfinato
panorama brasiliano.
Pubblicato
su Viaggiando
RIO DE JANEIRO
NON SOLO SAMBÓDROMO
Il Carnevale
a Rio, fra il business del tutto-organizzato e la festa di strada.
Due mondi in contrasto
Due mondi in contrasto
Quando nel
1984 lungo l’Avenida Visconde de Sapucaí a Rio de Janeiro fu costruito il
Sambódromo, l’opera del celeberrimo architetto Oscar Niemeyer, il Carnevale più
famoso del mondo subì una svolta. Il grande ‘imbuto’ di cemento lungo seicento
metri decretò la fine di un’epoca e la nascita di un’altra. Era finito il tempo
del Carnevale di strada e del samba nato alla fine dell’Ottocento come sintesi
e commistione di musica e cultura secolari. Tanti fattori, infatti, avevano
contribuito alla nascita delle escolas de samba e del ritmo più
esportato del Brasile. Alle origini c’erano le batucadas, le percussioni
degli schiavi africani, così come il jogo do Entrudo, una festa
carnevalesca nata nelle Azzorre e giunta in Brasile passando per Lisbona. La
cellula originaria delle scuole di samba, nel 1872, era stato il Rancho,
una banda musicale che sfilava mascherata al suono delle marcinhas
(marcette). Dalla Bahia giunsero quindi donne e uomini di colore, i quali
portarono a Rio ritmi e amore smisurato per la festa e la musica. Verso la fine
del secolo si diffusero i primi brani scritti appositamente per il Carnevale e
con l’avvento della radio il fenomeno esplose. Un nuovo ritmo, che mescolava
maxixe a polka, valzer a habanera, danze africane a batucada, si era imposto.
Nel
1917 nasceva ufficialmente il (e non la!) samba, chiamato così
per la prima volta - dall’angolana semba, un’antica danza fatta pancia a
pancia - nella Praça Onze di Rio, il luogo di aggregazione dei poveri che
festeggiavano il Carnevale. Il ceto medio sfilava lungo la centralissima
Avenida Rio Branco - quella in cui furono ambientate le riprese di Orfeo
Negro -, mentre l’élite festeggiava nei circoli esclusivi rigorosamente proibidos
alla plebe. Allora i componenti dei ranchos erano considerati un po’
come i capoeristas (danzatori-lottatori) baiani, atleti/delinquenti da
cui stare alla larga. La prima competizione per il ritmo migliore, dunque,
nacque dalla strada, dalla voglia di confrontarsi tra i compositori che
frequentavano gli stessi locali della capitale. Questa prima sfida si tenne nel
1929, quando le uniche tre scuole, non ancora note come tali, si misero alla
prova. Sei anni dopo le società carnevalesche erano una ventina, tutte regolate
dal primo statuto di una serie - ecco il primo ingresso delle tante, troppe
regole -, e nel 1946 il samba do enredo - un samba con testi musicali e
vocali precisi, non improvvisati - fu dichiarato ritmo ufficiale del Carnevale.
Dopo la guerra, fattosi incontenibile, il desfile (sfilata) di Carnevale
cominciò ad avere bisogno di più spazio. Nel 1965 l’incontro-sfida tra le
scuole fu trasferito nella vicina Avenida Getúlio Vargas, una strada più larga
della Rio Branco. Ma anche questo provvedimento non bastò.
Il
Sambódromo e il suo fallimento politico
Sull’onda
della fama acquisita con la realizzazione di Brasilia, Niemeyer diede alla luce
il tempio del samba, il Sambódromo. Costruito per contenere le grandi folle di
spettatori (43.000 posti a sedere) e i figuranti delle scuole di samba, il
nuovo mostro di cemento - futuristico secondo l’ottica degli anni Ottanta -
sancì, in gran parte, la fine del samba e del Carnevale intesi come ballo e
spettacolo popolari. Dal 1984, infatti, durante i cinque giorni
ufficiali di festa il pubblico si accalca sulle gradinate delle arquibancadas
populares - i posti più economici - o, chi se lo può permettere, in uno dei
comodi quanto costosi camerini privati in prima fila, per uno dei quali si
possono sborsare migliaia di dollari (prezzo minimo: 200$). I poveri davvero
poveri, invece, sbirciano lo spettacolo apocalittico a distanza, stipati lungo
le transenne di qualche viadotto. Giù, sull’asfalto, sfilano gli eletti, che
pagando cifre da capogiro hanno il diritto di indossare la fantasía
(costume) dell’anno e di sfilare per la propria scuola. Si parte da 2-300$ per
i costumi più semplici fino a raggiungere le migliaia di dollari per un destaque,
uno di quelli più pregiati, originali e pesanti, tanto da essere spesso
sorretto da un piedistallo sul carrozzone. Anche i turisti sono benaccetti,
purché disposti ad aprire il portafogli. In un reportage televisivo della BBC
una lavoratrice a tassametro di mezza età, intervista in uno dei tanti bordelli
a cielo aperto di uno dei quartieri più degradati e periferici di Rio de
Janeiro, dichiarò di sopportare guadagni da fame, una clientela vicina al
pensionamento e condizioni igieniche da disinfestazione perché “... almeno
posso pagarmi la fantasía...”
Una
rigida organizzazione
Le
scuole di samba carioca che partecipano alla sfilata del Sambódromo sono divise
in due leghe, il Grupo Especial - una sorta di serie A, dove
confluiscono le quattordici scuole migliori, attese per la sfilata della
domenica e del lunedì - e i Grupos de Acesso A e B, il girone inferiore
le cui scuole partecipano rispettivamente il sabato e il venerdì. Si aggiunge
la minisfilata dei mirins (dal tupi mirim, piccolo/a), i bambini
delle rispettive scuole. Ogni scuola partecipa con un minimo di 2500 figuranti
e un massimo di 6000, divisi secondo ruoli ben precisi. La comissão de
frente, il gruppo di apertura ha il compito di introdurre il tema musicale
e allegorico cui i propri carri sono ispirati; gli abre alas, il primo
carrozzone con il nome o il simbolo della scuola e i relativi figuranti; i porta
bandeiras o mestre salas, solitamente un uomo e una donna - ma a
volte anche bambini - che indossano costumi dell’Ottocento e che impugnano,
facendoli roteare vorticosamente, le bandiere e gli stendardi della scuola; il puxador
(‘che tira’), un solista esclusivamente uomo la cui voce amplificata ha il
compito di trascinare i coristi e tutta la scuola per mezzo delle strofe del
samba originale; le alas, i carrozzoni centrali con i relativi
figuranti, tra cui le baianas, donne di mezza età avvolte in lunghi
abiti a campana roteanti, tradizione questa importata dalla Bahia nel 1877.
Seguono i passistas, la ‘fanteria’ della scuola: i ballerini migliori e,
soprattutto, le ballerine mulatte che ipnotizzano gli spettatori con i loro
ancheggiamenti epilettici; i diretores de harmonia, i ‘sergenti’ che
tengono in riga il plotone, facendo attenzione che nessuno interrompa il ritmo;
la velha guarda (‘vecchia guardia’), composta da elementi ‘storici’ o
vip del passato della scuola che chiudono la sfilata. Il tutto è accompagnato
da un imponente gruppo musicale con una forte predominanza di percussioni (la batería)
l’anima della scuola, formata dai due ai quattrocento percussionisti che danno
il ritmo all’enredo (il tema musicale centrale) e al samba canção
(la canzone originale, ogni anno una diversa, con cui la scuola concorre). I
giudici attendono la scuola al varco, alla fine del lungo viale che va percorso
entro ottanta minuti - ma non meno di sessantacinque -, e assegnano punti
secondo diversi criteri: l’originalità del tema allegorico e di quello
musicale, la bellezza dei costumi, della coreografia e dei carrozzoni. Penalità
vengono assegnate alle scuole che oltrepassano il tempo massimo, mancano di
disciplina e dimostrano carenza di entusiasmo e di energia. I risultati vengono
comunicati il mercoledì pomeriggio e le otto scuole vincitrici, oltre a
incassare un premio in denaro ricavato dagli incassi, ritornano a sfilare,
davanti a un pubblico più ‘partigiano’ ma meno folto e già parecchio
affaticato, il sabato successivo. I temi musicali migliori vengono registrati
su un disco che ogni anno raggiunge il record di incassi.
Non
è tutta paillette quella che luccica
Lo
spettacolo del Sambódromo, nonostante l’eccessiva organizzazione, è
indubbiamente magico: la prima ora della prima volta che si assiste al desfile,
in qualunque posto ci si trovi, trasmette un’euforia incontenibile, un piacere
visivo e uditivo totale e appagante. Dopo un po’ la voglia di ballare diventa
incontenibile e verrebbe naturale scavalcare i limiti imposti da muri, reti e
regole per tuffarsi nel turbine. Ma non si può. Il Carnevale del Sambódromo è
riservato agli spettatori paganti e ai figuranti: è uno spettacolo eccezionale
che si sta a guardare seduti come un film al cinema o una rappresentazione
teatrale, ma a cui non si partecipa. Guardare e non toccare. Da qui il
fallimento filosofico e sociale, prima ancora che architettonico, dell’opera di
Niemeyer. Eppure
basta uscire dal grande ‘imbuto’ e tuffarsi in una qualsiasi delle stradine che
lo circondano, non importa se poco note e potenzialmente pericolose: il vero
Carnevale, spettacolo di anarchia pura, deve essere pericoloso. Qui
l’atmosfera è diversa, più autentica. La gente, libera da transenne, vigilantes
e cancelli, può muoversi, ballare, ridere, ubriacarsi. Può capitare di incontrare
qualche famosa attrice di telenovela, una specie di apparizione catodica
in carne e ossa, ora ‘in borghese’, mescolata fra i comuni mortali, sudata per
il calore torrido e l’euforia. Con un sorriso vero, non da telecamera, una
volta tanto. Le famiglie guardano la tv, magari sintonizzata proprio sul
Sambódromo, che poi è a due metri di distanza, ma se ne hanno voglia spostano
le sedie e le bottiglie di birra e improvvisano un samba. Sulle arquibancadas
lo spingi-spingi è quasi insopportabile e la frustrazione di non potersi
gettare nella mischia - fra mulatte, paillettes e tamburi rombanti - è grande.
Assistere alla magia del desfile e non potervi partecipare in prima
persona fa male. A
tutto ciò fa da contorno un periodo frenetico in cui il denaro circola
vorticosamente. Gli alberghi, prenotati da mesi, sono strapieni, tutto costa
almeno il doppio del solito, i bagarini fanno affari d’oro con biglietti
rincarati e non sempre autentici, alcuni ladri vanno a lavorare in maschera,
unendo l’utile al dilettevole. I tassisti danno il meglio di sé nel turlupinare
i turisti, le agenzie di viaggio rimpinguano le casse, i venditori ambulanti di
bevande si inventano uno stipendio anche per gli altri undici mesi. I padrini
che manipolano le grandi somme dell’evento tappezzano di maioliche pregiate le
ville di Búzios e di Angra do Reis, le piranhas (prostitute) di mezzo
Brasile affluiscono a Rio per sopperire alla richiesta di manodopera. La festa,
le droghe e l’alcol lasciano sull’asfalto morti e feriti, nei giorni ‘caldi’
gli incidenti stradali aumentano in numero esponenziale, ma il Grande Business
e, soprattutto, la follia istituzionalizzata, fanno dimenticare i lati negativi
della rivoluzione taumaturgica che in pochi giorni spazza le tristezze e le
miserie di un anno.
La
strada, dove il Carnevale è più vero
Se
è vero che la sfilata del Sambódromo rappresenta lo spettacolo principe, frutto
del supremo sforzo estetico del cittadino carioca, è anche vero che non tutto
il Carnevale di Rio si concentra lungo la Sapucaí. Una folta parte della
popolazione, infatti, preferisce - o vi è costretta, non potendo pagare le alte
cifre di iscrizione a una escola - sfilare in strada, fuori dal circuito
organizzato, un po’ come alle origini. Chi partecipa al Carnevale de rua magari
sfila anche nel Sambódromo - il calendario delle festività è così elastico da
permetterlo -, ma ci tiene a sottolineare il carattere più anarchico e
popolare, privo di regole ferree e libero da barriere architettoniche, della
festa brasiliana più seria, nonostante le apparenze, che esista.
Gli
spettacoli di strada, così numerosi da essere pressoché incalcolabili, hanno due
‘campioni’ di rappresentatività: la sfilata lungo l’Avenida Rio Branco e quella
della Banda di Ipanema. La prima si svolge il sabato di Carnevale lungo
l’arteria principale del centro storico, circondata da alti grattacieli alla
newyorkese, in un continuo alternarsi di banche, uffici, agenzie di viaggio. Il
luogo è doppiamente simbolico: qui in origine si svolgeva il Carnevale di
strada; qui oggi si lavora alla ‘occidentale’, in camicia e cravatta - la
giacca non va molto d’accordo con il clima tropicale -, e la grigia routine del
lavoro va interrotta e sdrammatizzata a tutti i costi. La
sfilata della Rio Branco non è imponente come quella della Sapucaí, ed è
organizzata da qualche piccolo gruppo che solitamente fa capo a una
corporazione di lavoratori, per esempio quella dei bancari. Eppure ha tutti gli
ingredienti del Carnevale vero: un Rei Momo (Re della Farsa),
panciuto e con lo scettro in mano che apre il corteo; mulatte, magari non così
belle e con più cellulite di quelle delle escolas, ma non meno
agguerrite nel sambar; batterie di strumenti musicali che calamitano
anche il più rigido e glaciale fra gli spettatori; costumi allegorici, alcuni
dei quali ‘politicamente corretti’ e dal forte messaggio sociale, come l’angelo
che spinge un carretto sul quale spiccano i meninos de rua: quello che
vende arance e chewing-gum agli automobilisti, il lustrascarpe, quello che
dorme avvolto in un cartone su un marciapiedi.
La
sfilata della Banda di Ipanema, invece, si svolge il secondo sabato prima del
Carnevale nella Praça Osório, nel quartiere della famosa garota, ed è il
simbolo massimo della fantasia e dell’omosessualità carioca - una delle tante
facce di Rio -, così come quella della Banda Carmen Miranda. Nelle due sfilate
i travestiti fanno la parte del leone e sono accompagnati dalla banda musicale
locale. Non si contano le ‘spose’ in abito bianco e lunghi baffi alla Charles
Bronson, sempre pronte a gettare bouquet sulla folla e ad attirare la curiosità
dei presenti. La sfilata, davvero anarchica, si trascina in un amalgama di
musica, colori, sudore, spintoni, sorrisi, cerveja e sguardi ambigui fino
alla spiaggia, quella più amata dai gay di mezzo mondo che lì si danno
appuntamento. Qualche ‘mamma’ porta il proprio bebè - una bambola di plastica -
in carrozzina, denunciando il traffico di neonati e le adozioni facili del
Primo Mondo. Al di là dell’apparenza, dunque, la festa, oltre che divertire, fa
anche lavorare il cervello.
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