venerdì 1 febbraio 2013

BRASILE - CARNAVAL!


I MAGNIFICI CINQUE

Cinque carnevali, cinque città del Brasile. 
La festa più matta del mondo, fra storie e stili differenti.

GOIÂNIA

Sulla scia di Rio de Janeiro, molte grandi città del Centro-Sud del Brasile, a cominciare da São Paulo, si sono dotate di cloni del Sambódromo, in versioni ridotte. Lì, durante i quattro giorni canonici del carnevale, fanno sfilare le proprie scuole di samba, spesso con sfumature locali, ispirate a temi regionali. Goiânia, capitale del Goiás (il nome deriva dagli indios goyazes) e capitale del cerrado - territorio endemico del Centro-Ovest, a vegetazione bassa e semiarida -, è una città moderna, fondata nel 1933, con oltre un milione di abitanti e strade a scacchiera. Costruita a tavolino come Brasilia, Goiânia ha pochissimi monumenti ma molti shopping centre e, sullo sfondo, la cultura sertaneja (da sertão, il deserto brasiliano), detta anche caipira (‘contadina’). Il Goiás, in effetti, è un po’ il Texas del Brasile. Deve la sua ricchezza e la sua cultura all’allevamento del bestiame, e la cucina è basata sulla carne: a Goiânia un buon churrasco - spiedo di ottima carne, una delle più buone al mondo - della domenica non si rifiuta a nessuno. La musica locale si fonda sugli strimpellamenti melensi e le vocine in falsetto dei duetti di cantores sertanejos - cantanti ispirati al country locale -, il gusto sul ‘modello JR’: fuoristrada americano in garage, conto in banca robusto, forti valori (religione, famiglia), tradizionali e benpensanti. La città, oltre a essere il più importante centro ospedaliero del Brasile, gode fama di essere ‘la’ città in cui crescere una famiglia. ‘Goiano da gema’, ‘goiano della gemma’, cioè genuino, ama definirsi chi, con orgoglio, è e si sente goiano. Su questo sfondo la versione locale del Sambódromo vede snodarsi la classica competizione tra scuole di samba, ma, qua e là, l’anima goiana spunta fuori. Alcune scuole riescono a inserire le loro danze da cowboy, con cappello alla John Wayne e cinturone da pistolero, tra un carrozzone e l’altro. Così da fare contenti tutti.












SALVADOR DE BAHIA

Signore & Signori, benvenuti alla follia pura. Folía, d’altronde, è un concetto strettamente legato al carnevale brasiliano. Nella succursale dell’Africa brasileira, nello Stato di Bahia, la parte del leone - dal punto di vista festaiolo - la fa la capitale Salvador, dove tutto o quasi s’incentra sulla figura del trio elétrico, un gigantesco carrozzone ricoperto di casse acustiche dalle quali esce musica al massimo volume. La gente, in truppa, lo segue pulando (saltando) e sudando. Secondo gli statistici, il carnevale di Salvador sarebbe il più grande del mondo. Qui si svolge la festa di strada più imponente: circa di 25 km d’asfalto, senza contare piazze e strade minori, sono il teatro della folía per un’intera settimana. Si stima che, tra locali e turisti, in questo periodo lungo le strade di Salvador saltino, ballino, cantino, bevano e amoreggino circa due milioni di esseri umani. I circuiti principali: quello nell’antico centro storico, il Pelourinho (‘Pelò’ per gli aficionados); quello di Campo Grande, che raggiunge la piazza omonima partendo da quella dedicata al poeta Castro Alves; quello che va dalla spiaggia della Barra a quella di Ondina. Il trio elétrico domina negli ultimi due, a traino dei gruppi/cantanti più famosi: Ivete Sangalo, Daniela Mercury, Carlinhos Brown, Margareth Menezes, Olodum, Timbalada, Ilê Aiyê, Chiclete com Banana e molti altri. Il più carismatico: quello dei Filhos de Gandhi, ipoteticamente legati al padre spirituale dell’India (un suo clone vi sfila tutti gli anni). Tra i ritmi più gettonati l’Axé e il Samba Reggae, solo per citare quelli ‘storici’ (ogni anno nuove sfumature fanno la comparsa). Nel Pelò si partecipa al carnevale più antico della città, con maschere di cartapesta, birra a go-go e marcette più o meno spontanee. Necessari polpacci d’acciaio, per affrontare le ladeiras, le stradine acciottolate saliscendi del quartiere.

















OLINDA

Nel Pernambuco il luogo più magico per godere il carnevale è l’antica città coloniale di Olinda. Sorta di museo a cielo aperto, la città si risveglia per circa un mese al ritmo del frevo. Qui i quattro/cinque giorni canonici della festa sono considerati una restrizione assurda e offensiva. Il frevo, ballo di origine africana, ha passi complicati eseguiti con un ombrellino multicolore tenuto e passato fra le mani. Le vie acciottolate in saliscendi offrono uno scenario particolare e i turisti accorrono a frotte. La tradizione dei gruppi carnevaleschi di Olinda risale agli inizi del Novecento, quando furono istituiti i primi blocos (‘blocchi’, la versione locale delle scuole di samba), alcuni dei quali sopravvissuti fino a oggi: Lenhadores, Vassourinhas, Cariri, Homem da Meia Noite, O Lord de Olinda, GRES Oriente. Questi gruppi, e altri più recenti, hanno sede nelle viuzze della città, da cui escono all’ora prefissata del giorno x: visto lo spazio ristretto si cerca di non farli uscire contemporaneamente, la topografia non reggerebbe l’impatto. I blocos non sono caratterizzati da una musica propria e originale: il ritmo di sottofondo è comune, basato sul frevo, il samba (qui meno importante che a Rio) e il maracatu, un ballo di origine africana assai diffuso nel Pernambuco. I gruppi rispettano un orario fisso per le sfilate, un percorso prestabilito, una data e un tipo di maschera. Nonostante le regole, il carnevale di Olinda appare del tutto libero da limitazioni. La partecipazione di chiunque a seguito del portabandiera è benvenuta, e nessuno vi guarderà storto se seguirete più blocos. La birra e la cachaça fanno da lubrificanti e vengono consumate a fiumi. Gli amanti delle sensazioni forti ingurgitano anche il pau-de-indio (letteralmente ‘membro di indio’), una bevanda naturale altamente energetica e allucinogena. Tutto questo, e molto altro, nel nome del sacro Carnaval...






MANAUS

Il Sambódromo di Manaus, forse per combattere un complesso d’inferiorità dovuto alla dislocazione nel cuore dell’Amazzonia, è il più grande del Brasile. Ufficialmente Centro de Convenções, il luogo riprende in toto la struttura e i caratteri di quello carioca. Anche qui sfilano, combattendosi il primato per l’anno in corso, le scuole di samba: otto quelle della ‘serie A’, più svariate minori in attesa di promozione. Il carnevale di Manaus, però, ha anche una forte influenza che deriva da Parintins - città a 420 km, lungo il Rio Amazonas -, mondialmente nota per la festa di fine giugno del Boi Bumbá (o Bumba-meu-Boi), cugina dell’omonima festa di São Luís do Maranhão. Giunto nello Stato dell’Amazonas grazie agli emigranti del Maranhão durante il periodo d’oro del caucciù (Ottocento), il Boi venne ‘diviso’ in due tra il 1913 e il 1914. Prima fu istituito il Boi Caprichoso, di colore azzurro. L’anno seguente arrivò il Boi Garantido, la cui bandiera è il rosso. Da allora la rivalità è divenuta epica. Le città e l’intero Stato dell’Amazonas sono divisi in due: azzurro e rosso. Per contenere tanta apocalisse, a Parintins è stato costruito un apposito Bumbódromo, una specie di cugino amazzonico del Sambódromo, capace di ospitare 50.000 scalmanati. Un po’ come avviene per le scuole di samba di Rio, a Parintins, fin dal 1966 è dichiarata la guerra per il gruppo migliore, anche se poi il vincitore non viene osannato tanto quanto nella capitale carioca. I cantanti, i giocatori di calcio, i politici dell’Amazzonia, prima o poi, prendono tutti posizione: o rosso o azzurro. Il carnevale di Manaus, sebbene fondamentalmente ispirato a quello di Rio, vede una presenza sempre più massiccia delle influenze del Boi di Parintins, in un tentativo di valorizzazione delle proprie radici indigene e di differenziazione dalla lontana Rio. Il risultato è una festa unica in tutto lo sconfinato panorama brasiliano.

Pubblicato su Viaggiando























RIO DE JANEIRO
NON SOLO SAMBÓDROMO
  
Il Carnevale a Rio, fra il business del tutto-organizzato e la festa di strada. 
Due mondi in contrasto
  
Quando nel 1984 lungo l’Avenida Visconde de Sapucaí a Rio de Janeiro fu costruito il Sambódromo, l’opera del celeberrimo architetto Oscar Niemeyer, il Carnevale più famoso del mondo subì una svolta. Il grande ‘imbuto’ di cemento lungo seicento metri decretò la fine di un’epoca e la nascita di un’altra. Era finito il tempo del Carnevale di strada e del samba nato alla fine dell’Ottocento come sintesi e commistione di musica e cultura secolari. Tanti fattori, infatti, avevano contribuito alla nascita delle escolas de samba e del ritmo più esportato del Brasile. Alle origini c’erano le batucadas, le percussioni degli schiavi africani, così come il jogo do Entrudo, una festa carnevalesca nata nelle Azzorre e giunta in Brasile passando per Lisbona. La cellula originaria delle scuole di samba, nel 1872, era stato il Rancho, una banda musicale che sfilava mascherata al suono delle marcinhas (marcette). Dalla Bahia giunsero quindi donne e uomini di colore, i quali portarono a Rio ritmi e amore smisurato per la festa e la musica. Verso la fine del secolo si diffusero i primi brani scritti appositamente per il Carnevale e con l’avvento della radio il fenomeno esplose. Un nuovo ritmo, che mescolava maxixe a polka, valzer a habanera, danze africane a batucada, si era imposto.
Nel 1917 nasceva ufficialmente il (e non la!) samba, chiamato così per la prima volta - dall’angolana semba, un’antica danza fatta pancia a pancia - nella Praça Onze di Rio, il luogo di aggregazione dei poveri che festeggiavano il Carnevale. Il ceto medio sfilava lungo la centralissima Avenida Rio Branco - quella in cui furono ambientate le riprese di Orfeo Negro -, mentre l’élite festeggiava nei circoli esclusivi rigorosamente proibidos alla plebe. Allora i componenti dei ranchos erano considerati un po’ come i capoeristas (danzatori-lottatori) baiani, atleti/delinquenti da cui stare alla larga. La prima competizione per il ritmo migliore, dunque, nacque dalla strada, dalla voglia di confrontarsi tra i compositori che frequentavano gli stessi locali della capitale. Questa prima sfida si tenne nel 1929, quando le uniche tre scuole, non ancora note come tali, si misero alla prova. Sei anni dopo le società carnevalesche erano una ventina, tutte regolate dal primo statuto di una serie - ecco il primo ingresso delle tante, troppe regole -, e nel 1946 il samba do enredo - un samba con testi musicali e vocali precisi, non improvvisati - fu dichiarato ritmo ufficiale del Carnevale. Dopo la guerra, fattosi incontenibile, il desfile (sfilata) di Carnevale cominciò ad avere bisogno di più spazio. Nel 1965 l’incontro-sfida tra le scuole fu trasferito nella vicina Avenida Getúlio Vargas, una strada più larga della Rio Branco. Ma anche questo provvedimento non bastò.




Il Sambódromo e il suo fallimento politico
Sull’onda della fama acquisita con la realizzazione di Brasilia, Niemeyer diede alla luce il tempio del samba, il Sambódromo. Costruito per contenere le grandi folle di spettatori (43.000 posti a sedere) e i figuranti delle scuole di samba, il nuovo mostro di cemento - futuristico secondo l’ottica degli anni Ottanta - sancì, in gran parte, la fine del samba e del Carnevale intesi come ballo e spettacolo popolari. Dal 1984, infatti, durante i cinque giorni ufficiali di festa il pubblico si accalca sulle gradinate delle arquibancadas populares - i posti più economici - o, chi se lo può permettere, in uno dei comodi quanto costosi camerini privati in prima fila, per uno dei quali si possono sborsare migliaia di dollari (prezzo minimo: 200$). I poveri davvero poveri, invece, sbirciano lo spettacolo apocalittico a distanza, stipati lungo le transenne di qualche viadotto. Giù, sull’asfalto, sfilano gli eletti, che pagando cifre da capogiro hanno il diritto di indossare la fantasía (costume) dell’anno e di sfilare per la propria scuola. Si parte da 2-300$ per i costumi più semplici fino a raggiungere le migliaia di dollari per un destaque, uno di quelli più pregiati, originali e pesanti, tanto da essere spesso sorretto da un piedistallo sul carrozzone. Anche i turisti sono benaccetti, purché disposti ad aprire il portafogli. In un reportage televisivo della BBC una lavoratrice a tassametro di mezza età, intervista in uno dei tanti bordelli a cielo aperto di uno dei quartieri più degradati e periferici di Rio de Janeiro, dichiarò di sopportare guadagni da fame, una clientela vicina al pensionamento e condizioni igieniche da disinfestazione perché “... almeno posso pagarmi la fantasía...”



Una rigida organizzazione
Le scuole di samba carioca che partecipano alla sfilata del Sambódromo sono divise in due leghe, il Grupo Especial - una sorta di serie A, dove confluiscono le quattordici scuole migliori, attese per la sfilata della domenica e del lunedì - e i Grupos de Acesso A e B, il girone inferiore le cui scuole partecipano rispettivamente il sabato e il venerdì. Si aggiunge la minisfilata dei mirins (dal tupi mirim, piccolo/a), i bambini delle rispettive scuole. Ogni scuola partecipa con un minimo di 2500 figuranti e un massimo di 6000, divisi secondo ruoli ben precisi. La comissão de frente, il gruppo di apertura ha il compito di introdurre il tema musicale e allegorico cui i propri carri sono ispirati; gli abre alas, il primo carrozzone con il nome o il simbolo della scuola e i relativi figuranti; i porta bandeiras o mestre salas, solitamente un uomo e una donna - ma a volte anche bambini - che indossano costumi dell’Ottocento e che impugnano, facendoli roteare vorticosamente, le bandiere e gli stendardi della scuola; il puxador (‘che tira’), un solista esclusivamente uomo la cui voce amplificata ha il compito di trascinare i coristi e tutta la scuola per mezzo delle strofe del samba originale; le alas, i carrozzoni centrali con i relativi figuranti, tra cui le baianas, donne di mezza età avvolte in lunghi abiti a campana roteanti, tradizione questa importata dalla Bahia nel 1877. Seguono i passistas, la ‘fanteria’ della scuola: i ballerini migliori e, soprattutto, le ballerine mulatte che ipnotizzano gli spettatori con i loro ancheggiamenti epilettici; i diretores de harmonia, i ‘sergenti’ che tengono in riga il plotone, facendo attenzione che nessuno interrompa il ritmo; la velha guarda (‘vecchia guardia’), composta da elementi ‘storici’ o vip del passato della scuola che chiudono la sfilata. Il tutto è accompagnato da un imponente gruppo musicale con una forte predominanza di percussioni (la batería) l’anima della scuola, formata dai due ai quattrocento percussionisti che danno il ritmo all’enredo (il tema musicale centrale) e al samba canção (la canzone originale, ogni anno una diversa, con cui la scuola concorre). I giudici attendono la scuola al varco, alla fine del lungo viale che va percorso entro ottanta minuti - ma non meno di sessantacinque -, e assegnano punti secondo diversi criteri: l’originalità del tema allegorico e di quello musicale, la bellezza dei costumi, della coreografia e dei carrozzoni. Penalità vengono assegnate alle scuole che oltrepassano il tempo massimo, mancano di disciplina e dimostrano carenza di entusiasmo e di energia. I risultati vengono comunicati il mercoledì pomeriggio e le otto scuole vincitrici, oltre a incassare un premio in denaro ricavato dagli incassi, ritornano a sfilare, davanti a un pubblico più ‘partigiano’ ma meno folto e già parecchio affaticato, il sabato successivo. I temi musicali migliori vengono registrati su un disco che ogni anno raggiunge il record di incassi.



Non è tutta paillette quella che luccica
Lo spettacolo del Sambódromo, nonostante l’eccessiva organizzazione, è indubbiamente magico: la prima ora della prima volta che si assiste al desfile, in qualunque posto ci si trovi, trasmette un’euforia incontenibile, un piacere visivo e uditivo totale e appagante. Dopo un po’ la voglia di ballare diventa incontenibile e verrebbe naturale scavalcare i limiti imposti da muri, reti e regole per tuffarsi nel turbine. Ma non si può. Il Carnevale del Sambódromo è riservato agli spettatori paganti e ai figuranti: è uno spettacolo eccezionale che si sta a guardare seduti come un film al cinema o una rappresentazione teatrale, ma a cui non si partecipa. Guardare e non toccare. Da qui il fallimento filosofico e sociale, prima ancora che architettonico, dell’opera di Niemeyer. Eppure basta uscire dal grande ‘imbuto’ e tuffarsi in una qualsiasi delle stradine che lo circondano, non importa se poco note e potenzialmente pericolose: il vero Carnevale, spettacolo di anarchia pura, deve essere pericoloso. Qui l’atmosfera è diversa, più autentica. La gente, libera da transenne, vigilantes e cancelli, può muoversi, ballare, ridere, ubriacarsi. Può capitare di incontrare qualche famosa attrice di telenovela, una specie di apparizione catodica in carne e ossa, ora ‘in borghese’, mescolata fra i comuni mortali, sudata per il calore torrido e l’euforia. Con un sorriso vero, non da telecamera, una volta tanto. Le famiglie guardano la tv, magari sintonizzata proprio sul Sambódromo, che poi è a due metri di distanza, ma se ne hanno voglia spostano le sedie e le bottiglie di birra e improvvisano un samba. Sulle arquibancadas lo spingi-spingi è quasi insopportabile e la frustrazione di non potersi gettare nella mischia - fra mulatte, paillettes e tamburi rombanti - è grande. Assistere alla magia del desfile e non potervi partecipare in prima persona fa male. A tutto ciò fa da contorno un periodo frenetico in cui il denaro circola vorticosamente. Gli alberghi, prenotati da mesi, sono strapieni, tutto costa almeno il doppio del solito, i bagarini fanno affari d’oro con biglietti rincarati e non sempre autentici, alcuni ladri vanno a lavorare in maschera, unendo l’utile al dilettevole. I tassisti danno il meglio di sé nel turlupinare i turisti, le agenzie di viaggio rimpinguano le casse, i venditori ambulanti di bevande si inventano uno stipendio anche per gli altri undici mesi. I padrini che manipolano le grandi somme dell’evento tappezzano di maioliche pregiate le ville di Búzios e di Angra do Reis, le piranhas (prostitute) di mezzo Brasile affluiscono a Rio per sopperire alla richiesta di manodopera. La festa, le droghe e l’alcol lasciano sull’asfalto morti e feriti, nei giorni ‘caldi’ gli incidenti stradali aumentano in numero esponenziale, ma il Grande Business e, soprattutto, la follia istituzionalizzata, fanno dimenticare i lati negativi della rivoluzione taumaturgica che in pochi giorni spazza le tristezze e le miserie di un anno.


La strada, dove il Carnevale è più vero
Se è vero che la sfilata del Sambódromo rappresenta lo spettacolo principe, frutto del supremo sforzo estetico del cittadino carioca, è anche vero che non tutto il Carnevale di Rio si concentra lungo la Sapucaí. Una folta parte della popolazione, infatti, preferisce - o vi è costretta, non potendo pagare le alte cifre di iscrizione a una escola - sfilare in strada, fuori dal circuito organizzato, un po’ come alle origini. Chi partecipa al Carnevale de rua magari sfila anche nel Sambódromo - il calendario delle festività è così elastico da permetterlo -, ma ci tiene a sottolineare il carattere più anarchico e popolare, privo di regole ferree e libero da barriere architettoniche, della festa brasiliana più seria, nonostante le apparenze, che esista.
Gli spettacoli di strada, così numerosi da essere pressoché incalcolabili, hanno due ‘campioni’ di rappresentatività: la sfilata lungo l’Avenida Rio Branco e quella della Banda di Ipanema. La prima si svolge il sabato di Carnevale lungo l’arteria principale del centro storico, circondata da alti grattacieli alla newyorkese, in un continuo alternarsi di banche, uffici, agenzie di viaggio. Il luogo è doppiamente simbolico: qui in origine si svolgeva il Carnevale di strada; qui oggi si lavora alla ‘occidentale’, in camicia e cravatta - la giacca non va molto d’accordo con il clima tropicale -, e la grigia routine del lavoro va interrotta e sdrammatizzata a tutti i costi. La sfilata della Rio Branco non è imponente come quella della Sapucaí, ed è organizzata da qualche piccolo gruppo che solitamente fa capo a una corporazione di lavoratori, per esempio quella dei bancari. Eppure ha tutti gli ingredienti del Carnevale vero: un Rei Momo (Re della Farsa), panciuto e con lo scettro in mano che apre il corteo; mulatte, magari non così belle e con più cellulite di quelle delle escolas, ma non meno agguerrite nel sambar; batterie di strumenti musicali che calamitano anche il più rigido e glaciale fra gli spettatori; costumi allegorici, alcuni dei quali ‘politicamente corretti’ e dal forte messaggio sociale, come l’angelo che spinge un carretto sul quale spiccano i meninos de rua: quello che vende arance e chewing-gum agli automobilisti, il lustrascarpe, quello che dorme avvolto in un cartone su un marciapiedi.



La sfilata della Banda di Ipanema, invece, si svolge il secondo sabato prima del Carnevale nella Praça Osório, nel quartiere della famosa garota, ed è il simbolo massimo della fantasia e dell’omosessualità carioca - una delle tante facce di Rio -, così come quella della Banda Carmen Miranda. Nelle due sfilate i travestiti fanno la parte del leone e sono accompagnati dalla banda musicale locale. Non si contano le ‘spose’ in abito bianco e lunghi baffi alla Charles Bronson, sempre pronte a gettare bouquet sulla folla e ad attirare la curiosità dei presenti. La sfilata, davvero anarchica, si trascina in un amalgama di musica, colori, sudore, spintoni, sorrisi, cerveja e sguardi ambigui fino alla spiaggia, quella più amata dai gay di mezzo mondo che lì si danno appuntamento. Qualche ‘mamma’ porta il proprio bebè - una bambola di plastica - in carrozzina, denunciando il traffico di neonati e le adozioni facili del Primo Mondo. Al di là dell’apparenza, dunque, la festa, oltre che divertire, fa anche lavorare il cervello.



Nessun commento:

Posta un commento