Viaggio a Malacca, tra risciò, Barbie,
scarpine lillipuziane, incensi, turisti cinesi e tracce portoghesi
“Tempio indù. Moschea. Tempio cinese.
Tempio buddista. Chiesa Tamil. Tutto nello spazio di mezzo chilometro.
Convivenza, in pace. Ecco la Malesia.” Questa è la lezione geopolitica che il
tassista mi regala, mentre mi deposita all’albergo di Jalan Tukang Emas,
l’antica via degli orafi, nel cuore di Chinatown, di fronte alla moschea
Kampung Kling. Nel prendere la camera non ho calcolato la distanza
cuscino-minareto, per cui maledico la mia mancanza di accuratezza ogni volta
che il muezzin mi sveglia all’alba. Ma le sue litanie fanno parte del
pacchetto-Malesia, come mi ha ben spiegato il tassista. Dunque va bene così, il
muezzin fa esotico, e si viaggia per
questo, no? In effetti la Malesia, soprattutto dopo essere passati attraverso
il resto dell’Indocina, può offrire una piacevole sorpresa. Gente mediamente
carina e sorridente, non interessata esclusivamente in quanto può passare dal
tuo portafogli al loro. Ogni tanto, addirittura, qualcuno ancora genuinamente
curioso di sapere chi sei, da dove vieni, perché. Sensazioni tramontate
altrove, qui ancora possibili, grazie a un Paese che non vive di turismo. Convivenza
pacifica tra malesi DOC, musulmani, circa il 65% della popolazione, cinesi, il
22%, indiani, l’8%. Il resto un mix di indonesiani e di occidentali
trapiantati. I musulmani si riproducono abbondantemente, come da copione
etico-religioso, mentre i cinesi sono in calo, orientati come sono a mantenere
una qualità della vita decorosa. Che la convivenza sia effettivamente pacifica,
nonostante le infinite differenze, mi è stato confermato in molte occasioni.
Scolaresche in cui ragazzine velate giocano con coetanee cinesi o indiane,
tutte attratte allo stesso modo dal messaggio ricevuto sul cellulare o dall’Ipod.
Che la convivenza sia non sempre pacifica me lo fanno notare, come la famosa
eccezione che conferma la regola, le urla che odo dalla strada, mentre consumo
la mia lasagna quotidiana al Limau Limau Café, una piccola oasi di pace
& delizie che ho scovato di fianco alla moschea. Di proprietà di due
sorelle gattare (una parete è addobbata con l’intero campionario della loro
collezione di gatti). Identiche come gocce d’acqua, una mi ha adottato e mi
ricopre di chiacchiere, l’altra mi ignora. Entrambe hanno imparato a fare
lasagne commestibili, a prova di bolognese, copiando la ricetta da un libro. Il
mondo è bello perché globale. Urla, dicevo. Corro in strada a vedere che
diamine sta succedendo. Un conduttore di risciò sta avendo una discussione
infuocata con un indianino. A giudicare dal mattone che impugna ho come
l’impressione che voglia sfracellarlo. Forse per questo l’indianino continua a
indossare il casco, dopo aver abbandonato la moto in mezzo alla strada.
L’imbestialito lo insegue in una giostra senza fine attorno a un’auto, sembra
un cartone animato di Speedy Gonzales. Non parlo malese, dunque non capisco: questioni
di traffico e precedenze, a giudicare dalla quantità di mini-scontri
risciò/altro mezzo che si verificano troppo spesso nelle strettissime viuzze di
Malacca. Poi, così come è esplosa, la mattana evapora. L’indianino fugge, verrà
a recuperare la moto più tardi. L’infuriato riprende a pedalare. Io finisco la
mia lasagna, com’è giusto che sia.
A Malacca - Melaka in malese - c’ero passato
nel 1988. Di allora ricordo risciò arrugginiti e guidatori insistenti. Una
stanza claustrofobica in una guest-house in cui il proprietario vendeva agli
ospiti copie di una foto sua di fianco a David Byrne, l’ex leader dei Talking
Heads, passato dalla sua stamberga. Un dollaro per un ricordo VIP, questa la
tariffa della foto.
Il tempo è passato, la Malesia ha fatto passi da gigante o,
quanto meno, zampate da ‘tigre asiatica’. Di risciò arrugginiti ne sono rimasti
una ventina, usati perlopiù nei mercati di frutta e verdura per portare a casa
qualche massaia carica di sporte. I nuovi risciò, circa 150, destinati
esclusivamente ai turisti, sono un’altra storia. Decorati come carretti
siciliani, gareggiano in qualità e quantità di addobbi richiama-clienti. Tema
dominante intere aiuole di fiori di plastica, soprattutto sull’ombrellone,
indispensabile per i clienti asiatici, che rifuggono il sole come se fosse
Satana. Davanti, a prua, di solito un grande cuore, sempre fatto di fiori. Poi,
qua e là, a seconda del gusto del proprietario, gadget di varia natura: da
intere armate di Barbie a carrozzerie da barca, da finti logo della Coca-Cola con
il nome del guidatore a bambole degli indiani d’America. Fantasia a ruota
libera, ognuno con il proprio stile. Le tariffe orarie per i polpacci, ventitré
anni dopo, sono più da gondola, a scanso di equivoci riportate nero su bianco
in un cartello della piazzetta dominata dallo Standhuys, il complesso rossastro
seicentesco olandese, con la chiesa di Cristo (1753), la piccola torre
dell’orologio, la fontana e il museo Storico ed Etnologico. Qui si concentrano
i pedalatori di risciò, in costante attesa di passeggeri ben paganti.
Mediamente gentili e non ossessivi: le tariffe sono chiare, prendere o
lasciare. “Che cosa hai trovato di più interessante a Malacca?”, mi domanda tra
una lasagna e un espresso la sorella loquace del Limau Limau. Non riesco a non risponderle: “La piazzetta dello Standhuys,
dopo l’ora del tè, quando arrivano le truppe cinesi”. Tutti i giorni, infatti,
faccio questione di essere lì tra le sei e le sette, subito prima del tramonto.
Allora arrivano, in massa, autobus stracolmi di turisti cinesi, in gita tutta-la-Malesia-in-quattro-ore, o giù
di lì. Circo vero, da vedere per credere. Come bambini che, per la prima volta,
toccano il mare o la neve. Fotografano tutto, fra una sigaretta e l’altra. Tutti fanno il segno di vittoria,
asiaticissimo, con l’indice e il medio tesi verso le nubi, mentre si fanno
immortalare. Abbigliamento da far paura, volume della chiacchiera da rottura
del timpano. Qualcuno infila la testa dentro la bocca del cannone dei coloni
che furono, per vedere che cosa si nasconda là dentro. Un tipo ha un serpente
bianco extra-large e lo noleggia come modello per le foto, facendo affari
d’oro. Le guide, cinesi pure loro, bandierina levata al cielo, hanno volti
maciullati dalla noia, mentre ripetono la stessa storia per la milionesima
volta. Due passi attorno a ciò che rimane del Middlesburg, fortino portoghese
cinquecentesco, poi ripreso e allargato dagli olandesi, quindi tutti sul bus,
si riparte. Non solo cinesi DOC, però. Anche cinesi di Singapore, più eleganti
e mano vocianti. Malesi di altre regioni, tra cui ragazze velate con cappello
da cow-girl (l’uno sull’altro), sposini freschi di chicchi di riso, famiglie
allo struscio, fidanzatini e molto altro. Fra questo, io, l’avvoltoio, che
osservo, annoto, fotografo dall’alto del balcone del museo. Manna per gli
occhi.
Malacca non è una città di grandi panorami,
nemmeno salendo sull’Orribile Pilone, una colonna panoramica (made in Switzerland), all’anagrafe
Menara Tamingsari, che dall’alto dei suoi ottanta metri vi permette di
osservare a 360° la città tutelata dall’Unesco. La tutela ($), è lecito
supporre, le è stata concessa prima
che mostri moderni come la torre panoramica fossero eretti. Poco più in là,
qualche architetto/assessore scellerato ha reso possibile la costruzione di una
specie di Venezia in miniatura, probabilmente clonata dalla vicina Singapore.
Tra ponti illuminati a giorno con luci da luna-park e architetture vagamente
veneziane scorrono le barchette turistiche del giro sull’acqua, giorno e notte.
Qualcuno ha voluto dare una ‘ripulita’ ai vecchi e sudici canali della città,
dimenticandosi però il buon gusto. Lo stesso è avvenuto nella periferia, in
crescita costante, dove la nuova edilizia fa da padrone. Grandi centri
commerciali e villette a schiera. La furia ripulitrice ha messo le mani anche
su Chinatown, ma almeno qui le cose sembrano fatte per benino. Tutte le vecchie
case cinesi, semplici all’esterno e a volte spettacolari all’interno, sono
state imbiancate e decorate con miriadi di lanterne rosse. Di notte, sul tardi,
quando i più sono a nanna, è magico perdersi fra le sue viuzze, inseguendo le
sfumature che vanno dal rosa al rosso, passando attraverso l’arancione. Chinatown
tirata a lucido, e con essa un’infinità di dettagli. Malacca, anche se non
vanta monumenti incredibili o panorami mozzafiato, è una città spettacolare per
chi ama il dettaglio. Facile, andare a caccia di dettagli, soprattutto a
Chinatown. Le casette votive per gli spiriti, i tre incensi all’ingresso di una
casa o di un negozio, cornicioni con la data dell’edificio, molti fra gli anni
Trenta e Cinquanta del secolo passato. Inseguire i dettagli, a Malacca, può
essere una stimolante caccia al tesoro senza fine. Chi non può fare a meno dei
monumenti, invece, deve salire sulla collinetta alle spalle del museo Storico
ed Etnologico. Dominata dai muri dell’ex chiesa di San Paolo, anch’essa in
origine portoghese, la collina offre una bella vista sulla città. All’interno
della chiesa le lapidi lasciate dai colonizzatori che passarono da questo
trafficato porto, facendone assieme alla vicina Singapore uno dei principali
punti di passaggio per le navi commerciali del Sud-Est Asiatico. Ai piedi della
chiesa, scendendo verso la parte moderna della città, la Porta de Santiago,
altra testimonianza lusitana. Attenti, qui come altrove (Hong Kong, Seul), ai
falsi bonzi cinesi. Ne circolano svariati, travestiti da religiosi buddisti,
molto abili nell’estorcere ‘donazioni’ ai turisti, in cambio di qualche
collanina che si compra un-tanto-al-chilo nei supermercati. Se li lasciate
fare, infileranno le mani nel vostro portafogli… Individui distanti anni luce
dalla cultura Peranakan che domina
Malacca, così come Singapore e Penang. Antico mix di cinesi con malesi e
indiani, i Peranakan qui hanno avuto uno sviluppo proprio, particolare. Nella
lingua, in cucina (speziatissima), nell’abbigliamento, nella vita di tutti i
giorni, nel culto dei propri antenati. Cultura ricca e profonda, tutta da
scoprire. Lontana anni luce dai desperados
travestiti da bonzi.
Aprile, è ora di Ching Ming Festival
Grande fervore, nei cimiteri cinesi di Malacca, attorno al 5 aprile. Allora le famiglie si ritrovano presso i sepolcri degli avi, secondo la tradizione cinese, per offrire loro beni terreni da godere nell'aldilà: denaro, automobili, alcolici. Tutto rigorosamente di carta e cartoncino, bruciato davanti alle tombe e 'spedito', via fuoco, nell'aldilà. Il rito si svolge sia nel cimitero antico di Malacca sia in quello moderno di Jelutong, enorme, fuori città.
A spasso per antiquari
Grande fervore, nei cimiteri cinesi di Malacca, attorno al 5 aprile. Allora le famiglie si ritrovano presso i sepolcri degli avi, secondo la tradizione cinese, per offrire loro beni terreni da godere nell'aldilà: denaro, automobili, alcolici. Tutto rigorosamente di carta e cartoncino, bruciato davanti alle tombe e 'spedito', via fuoco, nell'aldilà. Il rito si svolge sia nel cimitero antico di Malacca sia in quello moderno di Jelutong, enorme, fuori città.
A spasso per antiquari
Chinatown e dintorni si sono trasformati,
grazie al turismo, in una specie di galleria antiquaria. Negozi e negozietti,
di ogni dimensione e prezzo, si avvicendano a ristorantini, drogherie, templi e
negozi di souvenir. Si va dal rigattiere che sembra aver raccolto tutto il
ciarpame che era possibile reperire nei solai del mondo (foto di Elvis Presley,
putti da fontana che fanno pipì, bottiglie di Coca-Cola, vecchie pubblicità di
sigarette) alla galleria fattasi museo. In quest’ultima categoria non si può mancare
la bella Malaqa House, autodefinitasi museum
(70, Jalan Tan Cheng Lock, tel. 606-2814770, aperta tutti i giorni dalle 10
alle 18), su due piani. Al pianterreno un susseguirsi di stanze in cui, tra
piante e fontane, è esposto di tutto: antiche scatole di legno laccato, statue,
fantastici mobili cinesi, dipinti e molto altro. Ogni oggetto è elegante ed è
raro trovare, almeno qui, paccottiglia kitsch. Tanto che la galleria è stata
immortalata da svariati fotografi per bei libri fotografici sulla città. Al
piano superiore, raggiungibile attraverso scalinate di legno, altre stanze in
cui giacciono sedie, mobili e quadri d’altri tempi. Nessuno vi farà smorfie, se
visiterete il luogo senza comprare (missione difficile, quest’ultima).
Meno altisonante, ma pur degno di visita, è il piccolo negozio di Miss Lily, il William C. Agencies/Chee Trading (57 Jalan Tokong, tel. 012-6594626). Lo riconoscere per la fotografia in bianco e nero di una vecchia cantante-attrice cinese, appesa all’entrata. Dentro di tutto un po’: dalle antiche monete portoghesi a oggetti giavanesi. Il negozio ha orari d’apertura estremamente saltuari, dunque ritenetevi fortunati se lo troverete aperto. La gentile Miss Lily, figlia d’arte (il negozio è stato tramandato di padre in figlia) sarà felice di fare quattro chiacchiere in inglese con voi.
Meno altisonante, ma pur degno di visita, è il piccolo negozio di Miss Lily, il William C. Agencies/Chee Trading (57 Jalan Tokong, tel. 012-6594626). Lo riconoscere per la fotografia in bianco e nero di una vecchia cantante-attrice cinese, appesa all’entrata. Dentro di tutto un po’: dalle antiche monete portoghesi a oggetti giavanesi. Il negozio ha orari d’apertura estremamente saltuari, dunque ritenetevi fortunati se lo troverete aperto. La gentile Miss Lily, figlia d’arte (il negozio è stato tramandato di padre in figlia) sarà felice di fare quattro chiacchiere in inglese con voi.
Le scarpe più piccole del mondo
Istituzione di Malacca e chicca fra le
chicche, il laboratorio di Mr. Wah Aik (56 Jalan Tokong, tel. 606-2849726,
tutti i giorni dalle 9,30 alle 17,30). Qui, ancor oggi, si fanno le scarpine
per dame dell’élite cinese, almeno secondo la tradizione secolare - per fortuna
defunta - di spaccare le ossa delle dita dei piedi alle bambine ‘prescelte’, così
da essere eccellenti, eleganti dame di compagnia/mogli della nobiltà cinese. A
vedere dal vivo le scarpine e pensare che anche il più piccolo piede
dell’universo possa entrarci provoca già dolore e sudore. Di misura per un bebè
di un anno di vita, è difficile immaginare come un piede adulto, anche se preso
a martellate e piegato su se stesso a tortellino possa (potesse) entrarci. Per farvi
richiudere la bocca, dopo il vostro lungo ooooohhhh
di incredulità. Mr. Wah Aik vi farà vedere un articolo di giornale con le foto
delle ultime, vere ‘geishe’ cinesi cui fu riservato il supplizio.
I piedi, piegati e fasciati, si trasformavano in specie di pugni a monodito, infilati in qualche maniera dentro a questi confetti con i laccetti. Tali elette, ovviamente, non si occupavano di cose terrene, come andare a fare la spesa o portare la prole a spasso nel parco. A tali mansioni ci pensava la servitù, mentre loro rimanevano a casa a fare figli e bella figura. Proibita da tempo in Cina, questa pratica oggi è divenuta leggenda, e Mr. Wah Aik fabbrica souvenir per i collezionisti eccentrici. Per arrotondare, visti gli alti costi delle sue ‘chicche’, lo scarpaio fa anche belle calzature ‘moderne’ riprendendo i disegni, i materiali e i colori originari dell’abbigliamento Peranakan.
I piedi, piegati e fasciati, si trasformavano in specie di pugni a monodito, infilati in qualche maniera dentro a questi confetti con i laccetti. Tali elette, ovviamente, non si occupavano di cose terrene, come andare a fare la spesa o portare la prole a spasso nel parco. A tali mansioni ci pensava la servitù, mentre loro rimanevano a casa a fare figli e bella figura. Proibita da tempo in Cina, questa pratica oggi è divenuta leggenda, e Mr. Wah Aik fabbrica souvenir per i collezionisti eccentrici. Per arrotondare, visti gli alti costi delle sue ‘chicche’, lo scarpaio fa anche belle calzature ‘moderne’ riprendendo i disegni, i materiali e i colori originari dell’abbigliamento Peranakan.
La cucina Peranakan
A Malacca non bastavano i piatti cinesi,
malesi e indiani, tutti di qualità e offerti in triplice copia a ogni angolo di
strada. Anche in cucina la città ha voluto differenziarsi ed eccellere. Parola
chiave, per capire che cosa scegliere in un menù locale, è nyonya. Il termine designa la donna di casa nella cultura
Peranakan, mix di cinese e malese (a volte indiano). Trasportato in cucina, nyonya significa ‘casalingo’, come sulle
vecchie tavole domestiche di Malacca. Il termine ha varcato i limiti e oggi
tutto, a Malacca, vi verrà offerto come ‘nyonya’,
dagli abiti ai biscotti. Per rimanere tra le pentole, dalla cucina nyonya aspettatevi spezie e sapori
forti. Domina la pasta di gamberi, inserita un po’ dappertutto, a volte anche
nei piatti di carne. Tra le portate nyonya
spiccano l’otak-otak (pesce
speziato, avvolto in foglie di banana e cotto alla griglia), l’itik tim (stufato d’anatra con verdure)
e il perut ikan (stomaco di pesce
conservato nelle erbe). Se tutto ciò non è bastato a soddisfare la vostra
curiosità esploratrice di nuovi, estremi sapori, dirigetevi come tappa finale
verso la cosiddetta ‘cucina portoghese’ locale. Troverete alcuni ristoranti
specializzati nel quartiere portoghese, a qualche chilometro da Chinatown, o
nelle viuzze di quest’ultima. Scordatevi, però, il bolihno de bacalhão e il Mateus di Lisbona: qui si marcia a
carriolante di spezie piccanti, in un matrimonio fra cucina malese, indiana e
portoghese d’antan. Pesce a go-go, con abbondare di curry e di altre
spezie. Non per tutti i palati…
Ente
Turismo della Malaysia
Via Privata della Passarella, 4
20121 Milano
Tel: 02-796702
info@turismomalesia.it
www.turismomalesia.it
IN
RETE
pagina di Wikipedia, in italiano, con ricche
informazioni storiche e geografiche
pagina di Wikitravel, in inglese, utile per le
informazioni pratiche
pagina di Wikipedia, in inglese, dedicata alla
cultura Peranakan
pagina dell’Ente Turismo della Malaysia, in
italiano, dedicata alla città
pagina in inglese, focalizzata sugli antiquari e
sull’arte
DOVE DORMIRE
Chong Hoe Hotel
26, Jalan Tukang Emas (Goldsmith Street )
Tel.
(00606) 2826102
Una
specie di perla rara in Malesia: camere tranquille e pulite, con bagno (acqua
calda) e aria condizionata, a circa 10 euro, nel cuore di Chinatown. Non
applica rincari durante il fine settimana.
Hotel Mimosa
108,
Jalan Bunga Raya
Tel.
(00606) 2821113
www.mimosahotel.com
A
due passi dalla popolare Jonker Street (Chinatown), è un albergo discreto con
63 camere (le doppie a partire da 50 euro, più care durante i fine settimana).
Allo stesso piano della reception ha il Lattice
Cafè, dove si possono consumare piatti malesi e occidentali.
Lisbon
Hotel
Jalan D’Albuquerque
Portuguese Settlement
Tel.
(00606) 2835000
www.lisbonhotel.com.my
Nel
quartiere portoghese, a circa 4 km da Chinatown. Camere a partire da 65 euro
(80 euro nei fine settimana), con ristorante. Offre pacchetti con i pasti
inclusi.
Klebang Beach Resort
92-1,
km 9, Batang Tiga
Tanjung Keling
Tel. (00606) 3155888
www.klebangresort.com
Per
chi non può fare a meno della spiaggia, a un quarto d’ora d’auto dalla città.
Inaugurato in febbraio, ha 53 camere (a partire da circa 30 euro, più care nei
fine settimana), ristorante (cucina malese e internazionale), piscina.
DOVE
MANGIARE
Limau Limau
Café
9, Jalan Hang Lekiu (Chinatown, a due passi dalla
moschea)
Tel. (00606) 012
6984917
Accogliente caffè, con un ricco menù che va oltre
la semplice colazione. Buoni piatti locali e, perché no, discrete lasagne.
Tames Cafè
50, Jalan Tokong (Chinatown)
Tel. (00606) 012
6397152
Cucina nyonya, per provare qualcosa di
locale e… forte (speziato). Chiuso il lunedì, di solito chiude presto (alle 7
dal martedì al giovedì, alle 9 durante i fine settimana).
Eleven
11, Jalan Hang Lekir (Jonker
Walk, Chinatown )
Tel. (00606) 2820011
www.elevenbistro.com.my
Ristorante
e ‘bistrò’, è specializzato nella cosiddetta cucina ‘portoghese’ di Malacca.
Locale accogliente, con un bell’arredamento, aperto tutti i giorni fino a
tardi. Tra i piatti: granchi e/o gamberi Sambal
(piccanti!), Kangkung (spinaci
locali) fritti con aglio, peperoncino e pasta di gamberi.
Pak Putra
56,
Jalan Kota Laksamana (di fianco al 7/11, a pochi passi da Chinatown)
Tel. (00606)
012 6015876
Cucina
indiana e pachistana eccellente, nonostante il locale sia tutto fuorché
invitante (poco pulito, lunghe attese). Osservare Qamar, il ‘boss’ del
ristorante, mentre sforna polli tandoori
e cheese nan a velocità della luce è
già uno spettacolo, e il loro sapore vi farà dimenticare tutto il contorno.
Aperto solo a cena (fino all’una del mattino), chiuso ogni due lunedì.
Zheng
He Tea House
17, Jalan Tukang Besi
Per
un tè d’autore, in una vecchia casa da tè, specie di tempio dedicato all’antica
bevanda. Berla qui, fra pareti decorate con caratteri cinesi ed eleganti teiere
di ceramica, è rito. Nel patio, occasionalmente, si tengono spettacoli di
marionette. Aperto tutti i giorni dalle 11 alle 22.
IL
VIAGGIO
IL VOLO
Cathay Pacific (www.cathaypacific.com/cpa/it) ha ottimi voli dall’Italia. Eccellente il servizio di bordo e una business class rinnovata di recente, confortevole come poche altre.
COME MUOVERSI
Malacca
è facilmente raggiungibile in poche ore d’autobus partendo dall’autostazione
centrale di Kuala Lumpur. Le corse sono frequentissime e costano pochi euro.
Fuso
orario
Sette ore in più rispetto all’Italia (6 con l’ora
legale).
Documenti
Passaporto con almeno sei mesi di validità. I
cittadini italiani non hanno bisogno di visto. All’ingresso nel Paese viene
rilasciato un permesso turistico di 90 giorni.
Periodo
migliore
Da
dicembre ad aprile.
Lingua
La lingua ufficiale è il Malay (Bahasa Melayu), molto simile all’indonesiano.
Moneta
La moneta ufficiale è il Ringgit (MYR): un euro ne
vale 4,20 circa.
Prefissi
Il prefisso internazionale per la Malaysia a è 0060,
quello di Malacca 6. Per chiamare l’Italia: 0039.
altre foto di Malacca su:
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