Piccoli oggetti, grandi ricordi
1)
banconota finta da 100 $, piegata e ripiena di cascarilla, polvere rituale della Santería cubana. Datami come
portafortuna da un’amante jinetera. I
denti non mi sono ancora caduti tutti, dunque non porta sfiga.
2)
‘foglia d’oro’ birmana, pezzettino d’oro preso a martellate per ore dagli
schiavi dei laboratori artigianali birmani, fino a trasformarlo in un
quadratino dallo spessore infinitesimo, poi venduto in una bella bustina di
carta. Si applica sulle statue di Buddha, per la buona fortuna. Appena divento
buddista la applico.
3)
l’Occhio di Dio, il feticcio più importantissimo. Pietrazza di natura ignota,
regalatami in Guatemala dall’artigiano-pusher Hector Fulton (poi gli scippai il
nome, firmandomi così su svariati articoli pubblicati su Frigidaire). L’ho portata appesa al collo per un decennio buono. La
succhiavo, durante i decolli e gli atterraggi in aereo, in funzione antisfiga.
4)
tappi di cera svizzeri. Indispensabili come l’ossigeno, per difendere il santo
sonno da vicini che trombano, spostano mobili, guardano Mario de Filippi a
volume osceno, cani isterici, galli con l’ansia della sveglia, capodanni cinesi
e musicazza negli autobus indiani. Unica controindicazione (oltre ai 7,50 euro per
scatolina da 20 pezzi): danno assuefazione. Senza, dopo un po’, non riesci più
a dormire, nemmeno in una camera iperbarica. E, se li usi un po’ troppo, quando
il rosa si trasforma in nero, arriva l’otite.
5)
il plettro di Dio, all’anagrafe Jorge Ben. Conquistato a gomitate in prima
linea (bordo palco) durante un concerto elettrizzante dei suoi, a Umbria Jazz,
anni fa. I vicini di gomito mi invidiarono tantissimo.
6)
il tappo per le orecchie di Dio, all’anagrafe Lenine (musicista brasileiro, non
rivoluzionario russo). Conquistato a gomitate in prima linea (bordo palco)
durante un concerto elettrizzante dei suoi, a Central Park, NYC, anni fa. I
vicini di gomito mi invidiarono tantissimo, anche se al tatto era viscido di
anima di orecchie.
7)
pass della comune di Osho, Poona, India. Te lo davano solo dopo essere stati
promossi all’esame dell’AIDS. Poi, dentro la comunità, era tutta festa. Ah, che
bei tempi.
8)
tessere stampa tarocche, artigianato asiatico utilissimo per accedere a qualche
evento imperdibile (campagna elettorale di Lula a Salvador de Bahia nell’89,
per esempio). La prima, a sinistra, fu fatta con i trasferelli da un maestro
quasi orafo al mercato di Divisoria, Manila. La seconda, dove la facciazza mi
si era arrotondata, è un frutto delle volpi di Khao San Road, Bangkok. Per 10$
puoi scegliere fra patente internazionale, tessera stampa o studentesca.
9)
carte per studiare i kana (Hiragana e
Katakana), l’ABC del giapponese scritto (quello insegnato ai bimbi giapponesi
in asilo; dalla prima elementare in poi si inizia a fare sul serio, con i kanji, un vero dolore nel tenue). Indispensabili,
i primi tempi in Giappone, per capire al supermercato se quella roba fritta che
stai comprando è pollo o pesce.
10)
agendina tascabile di sopravvivenza. Pagina dedicata all’immondo coriandolo, se
sai come si chiama nelle altre lingue (hindi del Sud, hindi del Nord,
vietnamita) lo eviti nei piatti al ristorante. Gesù, alla faccia di quel bidone
aspiratutto di Anthony Bourdain, quanto l’ho usata.
11)
la mia prima racchetta Forzanes (5*) da frescobol,
la mia prima pallina Penn (lucida per l’uso). Quanto sudore, quanto
divertimento.
12)
accessorio fotografico d’antiquariato: ’90 gradi’, uno zoom finto da 007 (lire
100.000, mica poche, per un pezzo di vetro), in pratica uno specchio camuffato
da lente fotografica. Girandolo in maniera adeguata permette di fotografare
qualcuno puntando lo zoom a perpendicolo rispetto al soggetto, così da far
pensare che si stia fotografando altro. Il marchingegno, però, è di difficile
manovrabilità, e dopo la terza foto fatta con quello strumento, a polso quasi
slogato, l’ho archiviato nello sgabuzzino.
13)
oggetto semplice e santo: panno-sciarpina giapponese antisudore. Passate un’estate
a Okinawa, capirete a che cosa serve.
14)
borraccetta gringa per l’acqua. Una volta, quando vedevo gli americani che
andavano sempre in giro con ‘sta roba qui, non li sopportavo. Poi me l’hanno
regalata. Poi l’ho usata. Non vivo più senza, nemmeno quando esco a cena. Con
quello che costa la Ferrarelle.
15)
feticissimo. DVD autografato da Keifer Sutherland, in arte Jack Bauer,
protagonista della serie ‘24’, fondamentale nella costruzione dei veri uomini.
A New York feci la fila come un adolescemo in calore, neanche troppo tempo fa,
da Best Buy. Il sommo stringeva mani
e autografava, io tremai di eccitazione e gli dissi che la sua voce doppiata in
italiano faceva cagare. I know, mi
disse.
16)
forse ancora più feticcio del n°15: sceneggiatura O-RI-GI-NA-LE di un episodio
di ‘24’, ottenuta non chiedetemi come (l’italiano ha le sue conoscenze, si sa),
nonostante la chiara dicitura apripista (CONFIDENTIAL). Non la vendo a nessun
prezzo, è inutile insistere.
17)
back-gammon da viaggio, arrotolabile, FATTO CON LE MIE MANINE. Copiato da
quello di una fighessa tetesca che lavorava in un negozio di cose inutili a Panajacel,
Guatemala. Come lo vidi, me ne innamorai (del back-gammon, non della fig.).
Tappeto di infinite battaglie.
18)
mascherina anticancro, per guidare la moto nel traffico pazzo e schifoso di
Saigon. Come si può notare, in Vietnam gli americani non hanno lasciato solo le
bombe.
19)
l’unica cravatta che ho, per le occasioni davvero eleganti. Il regalo di un
caro amico, acquistata in un negozio per cazzoni di New Orleans. Non l’ho usata
un granché, ma ha sempre un certo stile.
20)
mini-dizionario Lonely Planet (fotocopiato, come fanno i tarocchi in Vietnam
non li fanno manco nei Quartieri Spagnoli) di vietnamita. Indispensabile, per
esempio, quando arrivi in una piccola città e vuoi spiegare al tipo del bar che
nel frigo semivuoto, anziché tenerci solo due pesci, ci potrebbe mettere anche
qualche bottiglia di birra che, invece, tiene nella cassa ad abbronzarsi sotto
il sole DI FIANCO al frigo.
21)
strafeticci. Libri autografati, con tanto di DEDICA, da Dio, all’anagrafe Jorge
Amado. Me li regalò quando lo intervistai, nel 1994. Non li vendo a nessun
prezzo.
22)
ventaglio antigringhi, utilissimo per sopravvivere al caldo schifo di Okinawa
in agosto, mentre sei accampato fuori da una base militare americagna a
incazzarti per l’arrivo degli elicotteri Osprei, rumorosi frullatori d’aria e
di organi intimi.
23)
borsina giapponese per la spesa, leggermente freak, fatta con le manine della
mia fidanza. Ecologicamente corretta (non compri borse di plasticazza), ha una
resistenza da argano. Lo giuro. E poi ha pure la dedica, in basso a dx.
24)
schiacciamosche made in Italy (finché
non l’ho fotografato ho sempre pensato che fosse made in China), indispensabile per attendere che il vostro taxi-brousse si riempia di passeggeri,
oltre che di mosche, in un’autostazione africana. Oppure per riuscire a dormire
qualche ora nella bettola che vi hanno venduto per camera, in Amazzonia
(funziona da dio anche contro gli stronzi mosquitos).
25)
famigerato model release, documento
che ogni fotografo serio, oggigiorno, con l’andazzo che c’è (avvocati sempre
pronti a farti causa perché hai paparazzato qualcuno), dovrebbe usare dopo aver
ritratto qualche umano vivo, se poi vuole venderne la foto. All’atto pratico,
quasi nessuno (me in primis) lo usa. Farlo è un secondo lavoro, ci vorrebbe un
assistente solo per quello. Ve lo immaginate, mentre siete lì che state
fotografando la parata di Saint Patrick sulla 5th Avenue, correre dopo ogni
click a molestare chi sfila, chiedendogli la firma e un’infinità di dati? No way.
26)
sciarpino nepalese, quasi indistruttibile. Mi ha salvato da infiniti mal di
gola, puzze schifose, tubi di scappamento, vicini di bus con l’alitosi. Appena
torno in Nepal ne compro quindici.
27)
guayaberas, le camicie più belle del creato. Nate per essere usate dai
contadini caraibici per raccogliere i frutti di guava – hanno quattro tasche,
due all’altezza dei capezzoli, due a quella della cintura -, sono poi diventate
quanto di più cool il look da mafioso di Miami possa
concepire. Le colleziono, ma ne ho solo 11 (donazioni welcome). In ordine di importanza: 3 di marca Ravgo, il 5* del settore, vendute in un negozio vicino
all’autostazione di Merida, Mexxxico, che da solo vale un aereo fino a laggiù;
1 di marca Yucalpetén, sempre di
Merida; 1 fatta in Belize e 1 a Panama (si è ristretta, non vale una cippa); 5 made in China, marca Mayan, 10$ ciascuna in un negozio
proletario per latinos di Jackson
Heights, NYC. Ogni volta che ci passavo davanti ne compravo una di colore
diverso. Le uso poco, ma il mio cassetto ne è molto orgoglioso.
28)
camicia da best driver di autobus sudcoreano.
Finita dio solo sa come in un mercato pulcioso in Laos, dove l’ho comprata per
la vorticosa cifra di 2$. L’ho usata nelle occasioni speciali, per guidare la
moto fra le risaie del Laos e al carnevale degli stranieri a Goa. Il mio era
l’abito più bello, tutti mi facevano ohhhh e mi invidiavanooohhh.
29)
adattatori per prese di corrente dell’intero globo. Dio, quando creò tutte le
cose, non mi è chiaro perché, decise di fare un bel casino in termini di prese
di corrente. Così, viaggiando, mi è toccato dedicarmi anche a questa
collezione. Oggi posso infilare i miei cavi in qualsiasi buco.
30)
student pass per la rete della
metropolitana newyorchese. Trovato per terra un bel dì, l’ho usato di brutto,
viaggiando gratis in lungo e in largo nella ragnatela sotterranea della grande
città, nonostante l’età dello studio l’avessi passata da un bel pezzo. Un
brutto giorno due cops mi fermarono,
dopo che ero appena entrato nella metropolitana, chiedendomi di vedere la mia
tessera. Gesù è grande e volle che nel portafogli avessi anche un’altra
tessera, valida. Per fortuna i due non erano autorizzati a infilare le mani nel
mio portafogli, dunque non sono finito ammanettato.
31)
scusate l’ovvietà, ecco un iPod®. Attrezzo per me indispensabile, non tanto per
ascoltare i miei Artisti di riferimento, ma per difendere orecchie e cervello e
sistema nervoso dalle scimmie rumorose che affollano i treni italiani e del
resto del mondo (unica eccezione il santo Giappone, dove la buona educazione fa
rispettare i timpani altrui). Sì, la socialità è una gran bella cosa, ma le
chiacchiere velenose dei vicini sono troppo spesso mortali.
32)
longyi birmano, il meglio che c’è sul
globo per avvolgere le parti intime e le gambe con una comoda, rassicurante
copertina-sottana unisex. In altri luoghi potrete chiamarla pareo o sarong, ma
quello birmano è una carezza all’anima, per non parlare delle parti intime.
33)
banconota da 1 deception, souvenir
più unico che raro, raccattato durante una commemorazione dell’11 settembre a
NYC, quando ancora c’era il figlio scemo di quello scemo di Bush. Stampata dai
sostenitori dell’”inside job”,
secondo i quali l’attentato alle Torri Gemelle fu realizzato da organi interni
del governo americano, anziché da saladini in crociata contro i grattacieli
gringhi, non ha circolato un granché. Però il suo bell’effetto lo fa.
34)
collezione di dépliant delle compagnie aeree su che cosa (provare a) fare in
caso di emergenza. In funzione antisfiga, ça va sans
dire.
Nessun commento:
Posta un commento