Ogni primo aprile e primo ottobre la Repubblica di San Marino, fino dal lontano 1243, celebra l’investitura dei due Capitani Reggenti, i capi di Stato che presiedono gli organi istituzionali del Monte Titano. Questa insolita tradizione di gestione del potere, a rotazione semestrale, risale all’epoca comunale, quando furono introdotte le figure dei Consules, i primi Consoli, Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito. Oggi, almeno sulla carta, i Capitani Reggenti hanno il potere di sciogliere il governo e di indire le elezioni, anche se in realtà svolgono soprattutto una funzione di rappresentanza. Sono le uniche figure ad avere conservato un trono (in legno) e a presiedere il Consiglio Grande e Generale (un Parlamento monocamerale costituito da sessanta membri che vengono eletti ogni cinque anni) e il Congresso dei Dieci (ministri). Ai membri del Consiglio Grande e Generale spetta il compito di designare i Capitani Reggenti, i quali non possono essere rieletti per tre anni.
La leggenda della fondazione
San Marino, secondo la leggenda - non ci sono vere e proprie testimonianze storiche a riguardo - e secondo la legge del 1941 che ha istituzionalizzato la data della fondazione, nacque nel 301 d.C. da uno scalpellino originario dell’isola di Arbe, in Dalmazia. Marino era stato ingaggiato, insieme all’amico Leone, per lavorare alla ricostruzione del municipio di Rimini. Terminati i lavori, dopo alcuni anni, Leone si ritirò in preghiera nell’attuale San Leo, all’epoca chiamata monte Feretrius. Marino, rimasto a Rimini, dovette fuggire, a quanto pare per depistare una donna che si proclamava sua moglie. All’epoca dell’imperatore Diocleziano, dunque, Marino fondò una piccola comunità di cristiani perseguitati sul Monte Titano, una vetta di difficile accesso. Marino, tuttavia, non fu ben accetto dai signori locali, almeno finché uno di questi non si ammalò e fu ‘miracolosamente’ salvato da Marino. Lo scalpellino, da quel momento, iniziò e essere noto per i miracoli e venne santificato. Di lui oggi non rimangono che la leggenda, le ossa, conservate in una teca della Pieve (la Basilica, nella piazza Domus Plebis; lì si trova una statua del santo, opera del Tadolini, mentre le ossa sono contenute in un’urna all’interno dell’altare maggiore) e il giaciglio.
L’evoluzione della Repubblica
In seguito, la comunità religiosa crebbe fino a trasformarsi in una libera società civile e in un comune indipendente. L’indipendenza della Repubblica, in effetti, è di antica data. Uno dei primi documenti che ne attestano l’autonomia locale dalle vicine Marche e Romagna è il Placito Feretrano (885), un manoscritto in cui è riportata la controversia riguardante la proprietà di beni fra l’abate Stefano di San Marino e il vescovo Deltone di Rimini. Il primo ebbe la meglio.
Il territorio indipendente, sessanta chilometri quadrati nei quali vivono circa ventiseimila residenti ufficiali, si chiamò inizialmente ‘Terra di San Marino’, quindi ‘Comune di San Marino’ e, infine, ‘Repubblica di San Marino’. L’autogoverno fu affidato a un’assemblea di capifamiglia cui venne dato il nome di Arengo. A capo di questa istituzione fu posto un Rettore, il quale contrassegnò gli Statuti, le prime leggi democratiche. Successivamente, al Rettore fu affiancata la figura del Capitano Difensore, utile a condividere la responsabilità dell’esecutivo. Nel Duecento questa struttura si trasformò nell’istituzione dei due Capitani Reggenti, scelti tra le figure più importanti della città-Stato. Una delle più antiche democrazie del mondo, la Repubblica di San Marino combatté la sua ultima guerra nel 1462. Ma la sua indipendenza, mantenuta spesso grazie agli abili balestrieri e all’alta muraglia che circonda le tre rocche - la Guaita, la Cesta e il Montale -, fu messa in crisi solo due volte nel corso della storia. La prima conquista armata risale al 1503, quando Cesare Borgia, ‘il Valentino’, occupò il Monte Titano per pochi mesi. La sua morte repentina ridiede la libertà a San Marino. Nel 1739, invece, fu il cardinale Giulio Alberoni a occupare il territorio con le armi. I sanmarinesi seppero sottrarsi a questo occupatore con la disobbedienza civile, inviando richieste di giustizia clandestinamente al papa, il quale riconobbe l’indipendenza della Repubblica. Nel 1741, poco dopo l’ultimo attacco subito, fu istituita la Guardia del Consiglio (o Guardia Nobile), un corpo armato di volontari che, fino a oggi, ha il compito di scortare i Capitani Reggenti e gli esponenti degli organismi istituzionali.
La parata dei Capitani Reggenti
La parata del primo aprile e del primo ottobre vede la Guardia del Consiglio in prima fila, nel corso di una cerimonia suggestiva che da secoli si svolge secondo un protocollo immutato. Attraverso le vie tortuose i militari - professionisti e lavoratori durante la vita di tutti i giorni - in alta uniforme (contraddistinta dall’elmo con le piume bianche e azzurre, i colori della bandiera) sfilano in corteo e accompagnano le massime autorità della repubblica, primi fra tutti i Capitani Reggenti, caratterizzati dagli spadini con le else d’oro, il berretto con tocco di ermellino, un corsaletto di seta, calzoni a sbuffo e mantella di velluto nero. Al corteo partecipano anche i ‘donzelli’ dei Capitani Reggenti - specie di ombre vive che li scortano dovunque - e i membri del corpo diplomatico e consolare, oltre agli altri corpi militari. L’imponente sfilata inizia attorno alle 10 del mattino e ha come capolinea il Palazzo Pubblico (1894), nella Piazza della Libertà - il cosiddetto ‘Pianello’ -, dove campeggia la statua omonima, regalata nell’Ottocento da una donna tedesca con ambizioni aristocratiche (dopo il suo gesto generoso fu insignita del titolo di duchessa di Rancidello e, quindi, di Acquaviva). Il Palazzo Pubblico è presidiato dalla Guardia di Rocca, che negli altri giorni effettua il cambio ogni ora. Un’altra occasione per vedere i Capitani Reggenti in alta uniforme è il 3 settembre, quando si tiene una sfilata in concomitanza a una messa solenne nella basilica, in onore al santo Marino.
San Marino oggi, fra turismo e difesa dei privilegi
Rifatta quasi completamente fra Ottocento e Novecento, oggi la piccola Repubblica incuneata fra l’Emilia Romagna e le Marche è una meta turistica internazionale, affollata soprattutto durante i fine settimana, quando riuscire a trovare un posto per l’auto, nonostante i molti parcheggi disposti su più livelli, è una missione impossibile. Cittadini russi, tedeschi, così come italiani di ogni regione, affollano le vie in pendenza che conducono da una Rocca all’altra, apparentemente posseduti dalla frenesia dello shopping. Quasi nessun visitatore, di solito, riesce a tornare a casa senza avere acquistato qualche souvenir piuttosto kitsch, solitamente ispirato al passato medievale del luogo (balestre o mazze chiodate in miniatura…). La cittadella fortificata, visibilmente rifatta, domina la vallata sottostante, moderna e dedita in gran parte alla media e piccola industria. Il particolare regime economico della Repubblica, dove in pratica non esiste la disoccupazione, ha suscitato molte invidie e un’infinità di polemiche in questi anni. Tra mini-casinò illegali, esenzioni fiscali di dubbia fondatezza, frodi all’IVA, millequattrocento società anonime, San Marino è finita più volte sotto la lente di ingrandimento degli organi di controllo economico e della magistratura italiane. Da qualche anno, però, le nuove autorità che governano il Paese hanno cercato di alleviare il contenzioso fiscale, per esempio combattendo il fenomeno delle fatturazioni ‘fantasiose’. La Repubblica del Monte Titano, nel frattempo, tenta di difendere i propri confini economici. Tanto da essere arrivata a proibire l’ingresso alle assistenti domiciliari e alle infermiere straniere con meno di cinquanta anni. I troppi matrimoni combinati o interessati con cittadini sanmarinesi hanno fatto sì che il legislatore intervenisse a tutela dell’invasione di questa piccola e benestante Disneyland a metà strada fra il Medio Evo e la Romagna. C’è da chiedersi se questo limite di età abbia un senso - oltre i cinquant’anni i desideri scompaiono? -, tanto che la locale Federazione dei pensionati si è infuriata e ha scritto una lettera pubblica di protesta, affermando come non sia possibile impedire matrimoni, nel Duemila e rotti, con un editto medievale.
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