Goa, colonia portoghese fino al 1961 - anno in cui Nehru rimandò i lusitani oltremare con l’aiuto dell’esercito -, è nota a tutti per le sue belle spiagge, frequentate a partire dagli anni Sessanta dai Figli dei Fiori e, oggi, dai loro eredi culturali. Negli anni della rivoluzione studentesca c’era chi arrivava fin qui dall’Europa in ciclomotore - qualche eccentrico persino in Solex, divenendo così, alla fine del viaggio, una specie di Eroe Nazionale per la comunità hippie -, il nudismo era d’obbligo, e se non consumavi almeno mezza tonnellata di hascisc al giorno eri considerato un emarginato. Oggi i neo-hippie vestono sempre a Kathmandu o a Bali, ma arrivano a Goa in aereo - molto, molto più comodo - e con la carta di credito in tasca (a volte di papà). A questi esploratori di un passato ormai evaporato, negli ultimissimi anni, si sono poi uniti i turisti più ‘tradizionali’, giunti dall’Europa, dal Giappone o dagli Stati Uniti per una breve vacanza all’insegna del comfort. Spiagge come Colva e Calangute, per esempio, si sono trasformate in grandi villaggi vacanza, dove gli alberghi e i negozi di souvenir non si contano più, e i cheese macaroni sono il piatto preferito. Gli ex hippie, quelli veri, che vi ritornano a decenni di distanza, memori di un glorioso passato, fanno molta fatica a riconoscerle, e quasi sempre si rifugiano nelle spiagge più settentrionali - Harambol, Chapora, Vagator -, dove il culto del fumo, del nudismo e del moon party (le feste notturne in spiaggia) prevalgono sui concetti di piscina in riva al mare e di tutto organizzato.
La peculiarità di Goa nel panorama indiano, però, non è data solo dalle belle spiagge e dal dolce far niente, dalla possibilità di mangiare carne bovina e da un portoghese parlato da qualche anziano. In effetti questo Stato della federazione indiana vanta molte particolarità. La più appariscente, senz’altro, è quella religiosa: Goa rappresenta una specie di piccola ma salda enclave cattolica circondata da un subcontinente a maggioranza indù e, in minor misura, musulmana. I portoghesi che si trasferirono qui dopo la conquista di Alfonso de Albuquerque (1510), infatti, portarono con sé anche la loro religione, la quale attecchì in profondità. Old Goa, il gioiello architettonico che i colonialisti lusitani ci hanno lasciato, rispecchia in tutto il suo fulgore un’epoca fatta di grandi lussi e forti passioni religiose, ancora percettibili negli edifici e nell’aria dopo l’abbandono di questa ex capitale, più volte decimata dalle epidemie. Chiese come quella di San Francesco, di Santa Caterina (o Catedral da Sé), di San Gaetano o del Buon Gesù, in effetti, possono costituire un forte impatto per chi viene da un’India fatta di vacche sacre e folla, di mendicanti e cremazioni. L’ottima conservazione delle decorazioni, unita all’atmosfera di città fantasma, possono far dimenticare, almeno per qualche istante, mappe, bussola e lezioni di geografia.
Il cattolicesimo praticato a Goa, così come da noi, vede un calendario fitto di date e ricorrenze. Importante, per esempio, quella del 3 dicembre, in onore a San Francesco Saverio a Old Goa. In aprile, un’occasione da non perdere per conoscere una strana India - che prega Gesù in sari - è quella della Settimana Santa. In questo periodo tutte le chiese e i conventi della regione vedono un’intensa attività di pellegrinaggio, ed è interessante assistervi. Panjim (la capitale), Old Goa, Margao, i centri più importanti dello Stato, hanno le chiese maggiori, e dunque ricevono grandi quantità di fedeli. Tutte le figure di rilievo del clero locale partecipano a questa ricorrenza, organizzata con meticolosità e attesa con ansia durante l’anno precedente. Imponente la processione del Venerdì Santo attraverso le vie principali di Panjim, così come affilatissima la chiesa del quartiere di Altinho durante la cerimonia del ‘lavaggio dei piedi’ per mano del vescovo.
Anche Margao, capitale del distretto di Salcete, vede un gran afflusso di pellegrini, e le alte cariche della chiesa locale, così come alcuni laici di fede comprovata - riconoscibili per un grande mantello rosso -, dispongono dei posti migliori durante le processioni: sono i primi a poter baciare il crocefisso situato sul palco allestito nella piazza principale. Alcuni chierichetti aiutano a servire la messa, mentre una piccola orchestrina di violinisti accompagna il rito. Anche presso la chiesa delle Carmelitane, la più importante della città, soprattutto il Venerdì Santo, i fedeli arrivano numerosi da tutta la regione, e fanno code chilometriche - ma regolari, molto anglosassoni - per raggiungere il cuore del tempio. Qui sono conservate diverse immagini sacre, e la più venerata è quella di un grande Cristo in croce, a cui tutti baciano i piedi. Anche diverse statue della Madonna ricevono il dovuto omaggio, e su un ‘letto di morte’ del Cristo vengono cosparsi numerosi petali di fiori e appoggiate ghirlande coloratissime. All’esterno della chiesa vigono la serietà e il silenzio, ma solo per chi sta in fila. Basta allontanarsi di qualche metro dalla coda che i bambini, impazienti per l’attesa, giocano e schiamazzano, vestiti a festa e vagamente consci del rito a cui stanno partecipando. I venditori ambulanti di granite, sciroppi coloratissimi, gelati e succo di canna sono, almeno in quest’occasione, i loro amici preferiti, ai quali cercano di far guadagnare qualche rupia insistendo affinché i genitori aprano il borsellino.
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