Ecco quanto rimane del diario d’Africa scritto da mio
nonno, il sottotenente Giovanni Natalucci, spedito nel 1939, assieme a molti
altri sventurati, a tenere alto l’onore della Patria in ‘Abissinia’. Un
reportage d’altri tempi, trascritto esattamente come fu composto (linguaggio
rococò, sintassi così cosà, ingenuità e razzismo a go-go, atmosfere di qualche
anno luce fa).
Per fortuna sono nato nel 1965.
10 aprile 1939
Il 10 aprile 1939 d'ordine di
S.M. il Re dovetti presentarmi al II Reggimento Art. del "Metauro"
per servizio quale richiamato della classe 1911, per prendere parte al
conflitto Italo-Etiopico, di cui dovevano sorgere le ostilità da un istante
all'altro.
Nei primi tre mesi non vi fu
nulla di straordinario, essendo restato in Ancona in servizio. Nel mese di
luglio venimmo trasferiti al 12° Reggimento Artiglieria della "Sila",
mobilitata per l'Africa Orientale. Eravamo capitati nel periodo delle manovre
estive e quindi ne prendemmo parte, restando 49 giorni nell'interno del
territorio della Sila, di cui parlarne sarebbe come dire essere già in terra
d'Africa. Forse il Governo Italiano, pur avendo fatto moltissimo per detta
zona, non ha creduto, date le condizioni del terreno, estendere le proprie
opere di carattere fascista e moderno fin là. Quindi in quel periodo di tempo
abbiamo quasi vissuto un preambolo di vita africana: creduto, per lo meno.
Dopo tali manovre, un altro
mese a Polìstena, in provincia di Reggio Calabria, paese del tutto differente
da quello che ci si sarebbe aspettato, dopo quello che avevamo veduto.
All'improvviso, benché si
aspettasse ciò da parecchio tempo, venne l'ordine d'imbarco da Messina. Un
attimo di perplessità, ed eravamo già nel piroscafo "Conte
Biancamano".
È il giorno 11 ottobre
del 1939. Partenza da Polìstena alla sera precedente. Arrivo a Messina alle 10
dell'11. Imbarco alle ore 17. Il momento è magnifico. Quelle espressioni del
popolo che assiste. Lacrime non trattenute di coloro che avevano fra i partenti
marito o figlio o fratello, e finalmente il distacco dalla banchina tra un
urlìo frenetico ed un rumore assordante di sirene ed un abbagliare magnifico di
fari. Sul molo una infinità di persone che frammischiano gli addii agli inneggi
al Re, al Duce e alla Patria con fragorosi alalà partenti da bordo. Si
vede qualche soldato ed anche Ufficiali che, avendo certamente lasciato a terra
qualche parente, che non sentiva nessun rumore, ma soltanto gli occhi un po’
arrossati, sventolare un fazzoletto bianco in direzione di un punto della
folla. Messaggi grandiosi.
12\13 ottobre
Due giorni tra cielo e mare
trascorsi magnificamente bene. Tutti i comodi concessi da questa nave di
modernissima costruzione. Il Mare Mediterraneo calmissimo. Una vita pacifica,
senza noie o pensieri: un Marconigramma a casa e si continua. Abbiamo con noi
il Generale Badoglio, Maresciallo d'Italia, che si intrattiene con tutti con
animo veramente fraterno. Questa nave contiene oltre quattromila uomini
destinati in Eritrea, con scalo a Massaua. Si dice che noi si farà tappa appena
giunti a Saganeiti, località a circa 100 km da Massaua.
14\15 ottobre
Alle ore 4 si giunge a Porto
Said: spettacolo veramente magnifico: un'infinità di lumi che sembrano sorgere
dall'acqua. Chi l'avrebbe detto un anno indietro di dover oggi fare una
crociera simile! Eppure durante il corso della vita tante cose non si aspettano
ed eppure avvengono lo stesso! Alle 6 la nave tutta contornata di barche,
vaporetti e motoscafi, colmi di connazionali che con bandierine tricolori
inviano il loro saluto ed i loro auguri ai servi della Patria. In questo
momento il soldato stimolato così farebbe cose grandi. Lo spettacolo è
veramente grandioso e commovente: tre giovanette in un motoscafo lanciano le
loro grida entusiastiche e baci, in un altro due o tre famiglie riunite tutte
adorne di nastri tricolori cantano, gridano, inneggiano di fronte al loro
popolo inglese che assiste sulla banchina, perfettamente impassibile.
Alle 8 ci distacchiamo e si
continua il nostro cammino: in questo momento entriamo nel Canale di Suez ed
una macchina, con un gran bandierone in festa a tutta velocità ci raggiunge.
Certamente qualche ritardatario connazionale che vuole porgere anche lui il suo
saluto. Effettivamente è così: ci segue continuamente lungo la strada: contiene
due uomini che portano un quadro del Duce ed una bandiera, e quattro donne che
freneticamente si sporgono, in piedi sulla macchina, quasi per avvicinarsi
ancor più alla nave. Portano un megafono e gettano grida inneggianti ed auguri.
Spettacolo che nel corso della vita di una persona si vede una volta sola:
spettacolo che riempie il cuore di una nostalgia calma ed eroica fra il deserto
arabico e quello africano. Qualcuno dall'emozione versa qualche lacrima: tra
questo qualcuno ci sono anche io che non riesco a trattenermi: verso lacrime
che escono al pensiero di trovare alcune persone sparse nel mondo che hanno i
medesimi nostri pensieri e che moralmente ci aiutano a compiere il nostro
dovere. Hanno già fatto parecchi chilometri dietro di noi e non sanno più che
dire: infine gridano i loro nomi attraverso il megafono: Maria Uva, Marchesa
Scotto, Ines Scotto, Fedora Scotto. Porto Said. Piccolezze e puerilità
grandiose! Infine si fermano, salutano e voltano per andarsene: dopo un minuto
le rivediamo ancora: la volontà di lasciarci era meno forte di quella di
seguirci; quattro volte, hanno fatto questo lavoro: anime veramente buone!
Grandezza di cuore e passionalità del popolo italiano! Bellissimo! Proprio
veramente grande.
Appena lasciata
finalmente questa macchina , durante il percorso del canale, altre automobili
giunte chissà da dove, piene di italiani, in una fantasmagoria di colori
bianco, rosso e verde, raggiungono il numero di venti e seguono il percorso
della nave. Uomini, donne, vecchie e bambini: tutti in un medesimo grido di
gioia gettano dal cuore le loro spontanee espressioni di giubilo. Eppure come è
bello vedere tra gente estranea, lontano chilometri e chilometri dal proprio
paese, persone che sembra si siano sempre conosciute, benché probabilmente
chissà di che paese italiano saranno state! Ci hanno seguito fino a notte.
Appena scomparsi ci siamo sentiti così soli da farci tornare in mente
un'infinità di ricordi tra quelle zone aride e deserte, dove ogni tanto si
intravedeva un palmizio, magari quasi poetico ed una piccola carovana ferma
sull'argine del canale.
Alle 23 siamo a Suez:
città orientale intravista tra le luci della sera. A tale ora anche qua si
ripete lo spettacolo del giorno: ma quanti italiani sparsi nel mondo!
Ogni tanto da una draga
nell'oscurità sorge una voce gridando: Duce! Voce italiana che sembra abbia
perduta la tonalità propria, abituata in terra inglese. Un vaporetto ci gira
intorno come una falena e sembra voler precedere una parte di noi stessi! Come
è grande il cuore italiano! Qualche vecchio lavoratore ci grida il nome della
propria provincia, perché vuole essere onorato di gridare al vento la propria
nazionalità.
Alle 24 si parte anche
da Suez ed entriamo nel Mar Rosso, ed oggi 15 ottobre niente di nuovo, tolto
qualche isolotto di materia calcarea sulla costa africana. Domani sera
probabilmente o al più tardi giovedì mattina, nelle prime ore, saremo a
Massaua.
16 ottobre
Il caldo si incomincia
a sentire: il barometro segna 33 gradi per tutta la giornata. Nessuna novità a
bordo.
17 ottobre
Alle prime ore del
mattino si è in vista di Massaua. Il caldo è enorme. Alle ore 9 entriamo nel
porto: un caos completamente; fuori scalo un'infinità di navi che attendono di
essere scaricate: noi sbarchiamo verso sera perché il caldo del giorno è
insopportabile. Massaua non è una città adatta per abitarvi: difatti gli
abitanti sono pochissimi perché il clima non lo permette. Le strade sono
ricoperte da un alto strato di polvere, dove si affoga. Il movimento stradale è
grandioso data la quantità immensa di camions che circolano, specialmente nei
giorni di arrivo di truppe. Il movimento fa sembrare Massaua una grande città,
specialmente per tutto quello che di nuovo è stato fatto per l'occasione. Ma
guardando bene si vede la meschinità del luogo: costruita completamente sulla
sabbia, dà proprio l'idea del vero villaggio africano: lontano si delineano i
monti che formano l'altopiano eritreo. Sembra proprio di vivere dentro una
bolgia infernale. La sera alle 7 scendiamo da bordo e subito dopo saliamo sui
camions per essere trasportati nell'interno. Una colonna di 20 di questi si
muove alla volta di Shinda che si trova a circa 70 km all'altezza di 900 metri.
Lungo la strada un incidente d'auto ha
reso inservibile un camion, per fortuna senza ferire gli uomini che stavano
sopra e la colonna è continuata con 19 automezzi. La strada per un certo tratto
è abbastanza buona, perché costruita di nuovo ed asfaltata, ma ad un certo
punto sembra proprio di attraversare un deserto di sabbia con qualche
arboscello qua e là.
18 ottobre
Alle 3 del mattino siamo a Ghinda,
paesaggio veramente incantevole, che non sembra proprio di trovarsi in Africa
tolto il caldo che si soffre durante il giorno e il freddo durante la notte. Il
territorio sembra proprio quello che abbiamo trovato in Sila in Italia. Ci
siamo attendati sopra un rialzo di terreno completamente allo scoperto, essendo
la zona sprovvista di alberi. Proprio sopra la mia testa passa la ferrovia Massaua-Asmara,
che non ha ragione di esistere, dato l'uso limitatissimo che se ne può fare.
Durante il giorno un'infinità di negrotti coi capelli in croce vengono a
vendere sigarette, caramelle e caffè: miseria enorme esiste fra la popolazione
negra. Notizie riguardanti la nostra posizione di fronte agli Abissini di
questi luoghi non se ne hanno, quindi non so proprio nulla: prendiamo il nostro
destino come viene. La nostra mensa è in paese e viene fatta dai negri: tutto
sta nel vincere la prima impressione perché tutto sembra che sia sporco. Con
questa penuria di donne, c'è una negra che serve a tavola che farebbe venir
voglia ad un eunuco. In giornata sono stato a visitare il villaggio indigeno:
veramente caratteristico, ma una sporcizia che non se ne ha un'idea. Curiosi
sono gli usi degli abitanti: roba del resto che si può leggere in qualsiasi
libro di avventure africano; un ragazzo aveva un cerchio di latta intorno al
braccio con altri gingilli attaccati e diceva che glielo aveva messo il padre
per preservarlo dai morsi dei serpenti. I capelli vengono tagliati in croce non
so ancora per qual motivo. Gli uomini sono gelosissimi delle proprie donne e
coprono il loro viso quando va un forestiero a visitarli. Le capanne sono fatte
di melma col tetto di paglia.
19 ottobre
Giornata di riposo. La sera alle ore 20
siamo partiti da Ghinda per Uefarit a piedi. Incominciano le marce faticose: 22
chilometri fatti di notte non danno tanto fastidio, ma la strada, benché
asfaltata rovina la pianta dei piedi: nessun avvenimento interessante.
20 ottobre
Alle 4 siamo a Uefarit, paese identico
all'altro. Tutte queste località sono uguali: hanno pochi abitanti, ma sono
punti più che altro di riferimento, come del resto si sono trovati in Sila,
tolto il villaggio indigeno. In questa zona siamo a 1900 metri e si incomincia
a farsi sentire il freddo di notte, abbastanza discretamente, tanto che mi son
dovuto mettere l'impermeabile. Quello che è brutto però che di giorno fa sempre
un caldo tremendo per me che non ne sono abituato, che si aggira sempre sui 39
gradi; ma si vive alla meno peggio, con l'ausilio di un po’ di vento.
Credevo di trovare, almeno di notte,
qualche animale, ed invece ancora non si vede nulla. Bella è la disciplina del
nostro coloniale negro. Alle 23 partiamo alla volta di Radocorò: marcia di 30
chilometri.
21 ottobre
Alle 7 siamo a Radocorò: una marcia di
8 ore che la sentirò per parecchio tempo: mi sembrava di vedere un esercito di
deportati in Siberia: ho veduto una scimmia appollaiata in cima ad un albero e niente
altro. Ho mangiato il rancio dei soldati non avendo trovato nulla per fare la
mensa. Durante il giorno nessun avvenimento degno di nota: soltanto è degno di
nota il fatto che sono sprovvisto di lettino e teli da tenda, perché sono
dietro col materiale e sto dormendo sotto dei teli imprestati dai soldati,
sempre vestito, sulla nuda terra e per guanciale, qualche cosa d'occasione.
22 ottobre
Alle 3,30 si inizia la terza marcia per
Decameré di 16 chilometri; questa volta l'abbiamo fatta bene, ma con un freddo
terribile. Siamo a Decameré alle ore 8 in un'altitudine di 2090 metri. Qua
anche di giorno si sta abbastanza bene, perché spira un forte vento che
rinfresca l'aria: però c'è scarsità d'acqua e quella che si beve è
cattivissima. Ho una pesantezza di testa che non so come riesca a scrivere:
sarà forse data dall'aumento dell'altezza e quindi della pressione. Ho mangiato
malissimo non trovandovi roba da mangiare. Domani ultima tappa a Gura, dove c'è
il concentramento delle truppe e dove ci si riposerà finalmente qualche tempo.
Qui a Decameré oggi ci sono circa trentamila uomini della Gran Sasso e Sila di
tutte le armi in una estensione di territorio grandissima.
Porco diavolo! Sono le 18 e sto
soffrendo un freddo fenomenale. Son venuto in Africa per soffrire il caldo ed
invece mi fanno soffrire il freddo: è roba dell'altro mondo!
Proprio in questo momento son venuto a
sapere da voci che circolano, che il Comandante del Reggimento ha ricevuto un
fonogramma che spiega come il Negus abbia capitolato. Sarà vero? Vedremo più
tardi. Mi dispiacerebbe perché allora che cosa son venuto a fare?
23 ottobre
La notizia sopra è errata, ma si è
saputo d'altra parte che il Negus ha concesso l'Abissinia alla Società delle
Nazioni, la quale a sua volta ne concederà il protettorato all'Italia e che il
Negus verrà fra giorni per parlare appunto di questo fatto con S.E. De Bono. Ma
s'intende che anche queste sono notizie sapute così, per via indiretta da voci
che corrono e che probabilmente saranno errate anche queste. Questa mattina
alle 4 si è iniziata l'ultima marcia per Mai Edagà e ci siamo arrivati dopo 12
chilometri in una località bellissima per posizione, aria ed acqua. Da questa
altezza, oltre i 2.000 metri, si gode un panorama stupendo: data l'abbondanza
eccezionale di acqua il terreno è fertilissimo e tutta la catena di monti che
si estende allo sguardo offre una vista magnifica: un villaggio indigeno
(quello di Mai Edagà) è a ridosso di una collina ed è veramente caratteristico.
Per la temperatura si sta abbastanza bene, poiché c'è un vento quasi
primaverile. Soltanto la notte dalle 6 della sera alle 6 della mattina cambia
la temperatura e si sente un freddo abbastanza pungente. Ieri notte, prima che
si arrivasse noi in questa località, pochi uomini che già erano sul luogo,
hanno inteso gridare iene e sciacalli, e qualcuno di questi animali avvicinarsi
alle tende ed alle cucine.
24\26 ottobre
Siamo in completo riposo e questa sosta
vivifica le forze che erano incominciate a mancare lungo le marce. Dalla prima notte
che son qui, fino ad oggi non ho inteso nulla in fatto di animali, forse perché
o ho il sonno pesante oppure perché la gran quantità di uomini e quadrupedi
impediscono a tali animali di avvicinarsi, poiché per loro natura sono
paurosissimi, ma molto feroci quando vengono feriti. Però a sentire il negro
residente qua sembra che sia una zona effettivamente piena di queste bestie.
Come benvenuto però la prima notte si è infiltrata sotto la mia tenda una
vipera, che è stata trovata la mattina successiva sotto il mio letto a terra.
Fortuna quindi che avevo il letto, altrimenti se dormivo ancora a terra quasi
certamente mi avrebbe morso e chissà come sarebbe andata a finire! a me questo
rettile fa molta impressione perché difficilmente ci si può difendere. Un suo
morso, se non si è pronti alle cure del caso, quali sarebbero una pronta
fasciatura strettissima della parte ed una iniezione di siero antivipera, fa
passare all'altro mondo una persona appena trascorso il periodo di tre ore.
Speriamo bene! Mi vengono i brividi solo a pensarci. un animale contro il quale
si possa usare pistola, forza, baionetta, va bene, che uno si può difendere:
alla peggiore delle ipotesi può ferire, ma non avvelenare e d'altronde può
avere la peggio la bestia stessa, che con un colpo di pistola ben diretto può
colpire una parte vitale. Però anche da questo canto, tanto la jena che lo
sciacallo, per esempio, anche se colpiti in una parte vitalissima, quale
sarebbe il cuore od il cervello, vivono ancora tanto quanto basta per sbranare
la persona che le ferisce. Morale della storia: è meglio non avere a che fare
con bestie di simile fatta, né con altre.
In questi giorni non c'è niente
di nuovo. Ho ricevuto l'altro ieri una lettera da casa spedita il giorno 9 ed
arrivata a Polìstena. Non ho avuto altre notizie e le attendo con ansia, perché
con questa distanza a cui sono, vedere ogni tanto lettere famigliari, leggere
parole carissime, avere presente almeno col pensiero la propria famiglia, fa un
piacere inusitato e solleva morale ed incoraggia in un modo da non dirsi.
Per quello che si sa il giorno
1 novembre si partirà ancora da qua per raggiungere Senafè, quasi sulla
frontiera.
27\31 ottobre
In questi giorni poco di nuovo.
Tutte le notizie che correvano in relazione al conflitto per una resa o
capitolato sono errate e le azioni sono incominciate di nuovo. A quanto sembra
nella notte dal 27 al 28 è stato preso il Forte di Macallè. Noi si accelera il
movimento e presto saremo in linea. Questi giorni ho avuto poco da fare:
soltanto un servizio di trasporto materiale da Ghinda a qua. Lungo il percorso
ho sempre trovato grandi branchi di scimmie che forse emigravano per non
trovarsi in compagnia di uomini. L'altro ieri sono stato all'Asmara e
certamente non mi capiterà più di vedere una città come quella: non che fosse
bella né brutta, ma aveva proprio quel carattere di orientale proverbiale in
special modo nel quartiere indigeno: indigeno si chiama poi non so perché,
poiché è composto in più gran parte da indiani, greci ed altri che tengono un
commercio attivissimo, ma molto caro, in special modo per il fatto che sono in
massima parte ebrei, e come tali abituati a rialzare il prezzo delle merci in
una maniera fantastica.
La città incomincia ad
europeizzarsi ora con la costruzione di strade asfaltate ed edifici europei.
Costumi che è magnifico vederli: di tutte le fogge e di tutte le qualità. Ho
fatto alcuni acquisti, ma ho speso molto ed ho comperato poco. Però il fatto di
essere serviti a pranzo da negri, fa una certa impressione, ma sono sicuro che
con un po’ di tempo si acquista tale abitudine.
Domani, come ho detto, andremo
a Senafè (80 km da Mai Edagà), in quattro tappe ed in cinque giorni, passando
attraverso località di cui io non ricordo i nomi e non mi interessano, poiché
io questa volta per fortuna vado avanti in camion direttamente a Senafè, con il
materiale che le batterie non si possono portare al seguito.
1\2 novembre
Dovevo partire ieri sera da Mai
Edagà per Senafè, ma ancora non sono arrivati i camion e quindi mi trovo qui
con pochi uomini, isolato da tutti, poiché questa notte sono partiti gli ultimi
resti della divisione. Una noia che non so proprio cosa fare: vorrei andare a
caccia, ma la noia stessa mi toglie la voglia di fare qualsiasi cosa. Questa
notte appena partiti gli ultimi uomini, ho inteso un gran concerto di jene,
distanti molto poco dalla mia tenda: forse erano andate dove stavano le cucine
a rosicchiare gli avanzi, oppure avranno disossata qualche carogna di mulo
morto. Certo è un concerto che non piace, perché fa venire l'umor cattivo.
Di giorno ci sono delle mosche
che mangiano letteralmente: mi trovo in questo momento sotto la tenda e non
posso dormire appunto per questo fatto: sono abituate a posarsi in qualsiasi
parte del corpo di questi negri, senza che essi le scaccino, e credono quindi
che il bianco sia lo stesso; ma si sono sbagliate; ne sto facendo una
carneficina: ma proprio che io dovevo venire in Africa per ammazzare le mosche?
Questo poi no. Aspetto in seguito: forse c'è qualche cosa di più importante; da
quello che ho inteso, il forte Macallè non è stato ancora occupato e sembra che
sia una cosa un po’ più difficile delle altre. Dicono che la zona di Macallè
contenga dai 70.000 ai 400.000 uomini ed i nostri stanno facendo un
accerchiamento di tutta la zona. Questo di Macallè, se riesce bene, sarebbe un
buon colpo per l'Italia. Ma si dice che detta zona sia minata e prima di
azzardarsi sopra devono provarla, forse mandandoci degli animali. Sarebbe bello
trovare dentro al forte qualche bianco che ci vuol male! C'è da aspettarselo!
Chissà che anche la nostra divisione non ne prenda parte come rincalzo! Per
oggi non ho più voglia di scrivere, perché sto in una posizione proprio
orientale e scomodissima: sotto la tenda, disteso su un fianco sopra il letto,
scrivo in una latta di benzina vuota, che mi sta facendo un rumore proprio
piacevole! Non so proprio che fare: ho una noia che non ne posso più.
Incomincia a fare freddo ed è bene che mi vesta: a proposito, oggi prima di
mangiare sono stato a fare due passi al fiume ed ho trovato qualche negra che
stava lavando i panni: ma che modi barbari di lavare! Prendono un po’ di sterco
di zebù e lo accendono con due pezzi di legno strofinati insieme e sopra a
questo calore fanno riscaldare dell'acqua e sapone che gettano sopra la
biancheria sporca. Ma che biancheria! Io la chiamerei grigeria! Poi lavano con
i piedi come se pestassero l'uva, ma non diventa mai bianca la loro zimarra! Ad
una di esse, più interessante delle altre dissi di spogliarsi per farle una
fotografia, ma non volle dicendo che aveva vergogna; vergogna, forse di far
vedere quel petto che arriva fino alle ginocchia! Ma ho fatto una fotografia ad
un gruppetto di loro che non voleva assolutamente. Ma caratteristico quel
bambino che portano sulla schiena, tutto ricoperto di mosche. Domani voglio
andare, se sto ancora qui, al villaggio indigeno a prendere qualche fotografia.
3 novembre
Sono ancora a Mai Edagà e non avendo da
fare nulla sono andato a vedere il villaggio indigeno di qua, poco distante di
qua. Al primo vedere sembra che non vi siano casa né persone, poi invece
entrando si vedono delle specie di capanne con pareti talvolta di mattoni, ma
la maggior parte con tronchi d'albero e siepi, uniti insieme da sterco di zebù
e capra, che fa l'effetto della calcina, manipolate in un modo loro speciale.
Sono capanne che sorgono in iscala su una falda di una collina. Quindi la
parete che si trova dietro la capanna è il monte medesimo tagliato verticale.
Ma è una cosa da inorridire vedere quelle catapecchie (tukul) in cui
vive una famiglia ed insieme tutti i loro mobili formati di terra e tronchi e
bestiame e tutto insomma quello che può occorrere ad una tale famiglia che vive
di tè, caffè, latte, uova, dura, e talvolta come delle proprie bestie, che
uccidono una volta tanto in unione a più famiglie. Appena un italiano entra
dentro un villaggio, un'infinità di bambini corrono incontro e gridano: "Arcù,
ova?", ("Amico, uova?"). Mi sono presentato dal capo (cicca)
che ha una capanna come tutti gli altri, ma è quello che sa meglio l'italiano e
che può sembrare più intelligente. Appena veduto, mi si è profferito in
gentilezze, mi ha fatto sedere sulla soglia della propria abitazione e mi ha
offerto una tazza di tè, come è loro uso. Io ho dovuto far buon viso a cattiva
sorte, perché oltre a non essere il mio forte il tè, veduto offrire in una
tazzina lavata con acqua calda piuttosto sporca, non mi voleva andar giù e ne
ho dovute prendere per forza due tazzine, altrimenti se non si accetta il cicca
si offende, perché vuole che gli si dica che la sua roba è buona. Va bene! Come
vassoio un piatto che una volta era smaltato a fiori, e posato in terra, come
unico tavolo. Quel benedetto tè è tutt'oggi che mi va su e giù. D'altronde
bisogna sopportare tutto. A un certo momento sono venute altre persone che si
son messe a confabulare in amarico con costui; dopo ho saputo che in quel
momento si era tenuta una seduta in tribunale civile. Gli ho offerto una
sigaretta, ma non l'ha accettata dicendo che altrimenti il prete gli avrebbe dato
tre mesi di quaresima. Alla mia domanda se erano tutti cristiani, mi ha
risposto calorosamente che tutti erano cristiani e assolutamente nessuno
mussulmano, tanto è vero che tutti portano una croce azzurognola incisa nella
fronte. Sono gelosissimi delle loro donne e non vuole che si faccia loro
fotografie; quindi io sono stato costretto farne una in compagnia di quelle
presenti. Essi bevono quotidianamente birra, che fanno uscire dall'orzo, grano,
dura e granturco. Fortuna che non me ne hanno offerta. Il loro paese è fatto
appunto di dura, che è una specie di orzo e lo chiamano nghiera, mentre
quello che mangiano gli ascari che si confezionano da soli in un attimo subito
prima di mangiarlo, è il famoso burgutta.
Qua è assolutamente impossibile avere
soldi spiccioli, perché quelli che si aveva si sono spesi in Eritrea, come a
maggior ragione in territorio etiopico, non vogliono assolutamente la moneta
cartacea, quindi si è ridotti al punto di avere soldi in tasca e non sapere
come spendere e talvolta può capitare e capiterà certamente che con viveri che
si possono comperare non sarà possibile averne per mancanza di spiccioli.
Vedremo in seguito, come si fare.
Ora, mentre sto in tenda, tre negrotti
son venuti e alla meno peggio mi son fatto insegnare alcune principali parole
del dialetto amarico per poter parlare meglio che sia possibile con questa
gente.
A quel che si dice domani Macallè
dovrebbe essere presa e noi andremo avanti fino a scavalcare la Sabaudia e la
Gavinana per dar loro riposo.
4\18 novembre
Niente di nuovo si è verificato in
questi giorni: incomincia a stancarmi questa vita; leggo qualche libro, se ne
trovo. Il solito concerto alla notte come diversivo. Non piove da molto tempo,
ma non ci si augura la stagione delle piogge, perché dicono che sia terribile.
Mi sono accorto che mi sta crescendo la pancia: lo credo, perché non faccio
neppure un po’ di moto!
19 novembre
Sono stato invitato dal prete di Svan
Seran, un villaggio indigeno a due chilometri di qua ed ho passato una bella
mattinata. Per questa gente è un grande onore ospitare qualcuno di noi. Mi ha
accolto dentro la sua capanna: madonna che abitazione! Da un lato l'arnia delle
api e un'infinità di cianfrusaglie; in un'altra parte dei grandi orci di terra
per le provviste di grano e dura; in un angolo il posto per dormire, formato
dalla nuda terra, senza pagliericci e senza coperte: così si gettano a terra la
sera e dormono. Infine la parte che rimane vuota di quella stamberga è occupata
dalle bestie che possiedono: zebù, capre e galline. Un cattivo odore da non
resistere, specialmente se accendono per allontanare le api dagli ospiti quelle
forme di sterco e melma disseccate. Ho dovuto far buon viso a cattiva sorte e
trangugiare tutto quello che mi hanno dato: prima un pezzo di miele naturale,
con le celle di cera comprese ed esigeva che le mangiassi: il miele va bene, ma
la cera, poi! Mi sembra un po’ troppo; e quindi dopo aver masticato un po’ di
quella roba dovevo gettare la cera che mi restava fra i denti. Poi in un
bicchiere avuto chissà come, mi ha versato dell'ìdromele, bevanda composta di
miele allungato. Dopo questo alcune tazzine di caffè e infine due bicchieri di
latte caldo. Ho trangugiato di mala voglia tutta questa roba, che dentro lo
stomaco stava un momento ferma e credevo che fosse finita, quando mi dice di
incominciare da capo. Questo poi! Si intende che ho rinunziato con tutte le mie
forze: mica voglio crepare per lui! Finito, diciamo così, questo trattamento,
ha radunato i capi del paese ed ho fatto loro la fotografia: che felicità per
loro! Si sono vestiti a festa e si sono messi avanti la macchina e sembrava che
la volessero spaccare: facevano la figura di tante mummie. Per le donne non è
lo stesso: si riesce a mala pena a prender loro la fotografia. Hanno una
immensa paura e vergogna. Appena vedono una macchina fotografica scappano via
gridando: uh! uh! bordogna! bordogna! Al diavolo loro e la bordogna!
Finalmente me ne son tornato con uno stomaco pieno di porcherie che mi ha tolto
l'appetito. Eppure non capisco come al giorno d'oggi si debba essere tanto
indietro in fatto di civiltà!
20\22 novembre
Oggi mentre facevo il bagno nel
torrente qui vicino, mi si presenta un ascaro con una lettera: dovevo
presentarmi subito al Comando di Presidio di Mai Edagà. Mi vesto e in tutta
fretta vado. Trovo un telegramma del Comandante di Reggimento dove mi dice di
raggiungere immediatamente il Gruppo. Chissà perché! Mi viene di pensare a qualsiasi
cosa. Vedremo.
23 novembre
Faccio la mia tenda e
con sacco letto e cassetta ed attendente, mi accingo a trovare qualche mezzo di
fortuna per raggiungere Uogorò, dove sembra ha sede il Gruppo. Finalmente verso
le 11 con l'aiuto del carabiniere di servizio riesco a prendere un camion di
una ditta privata che va fino a Senafè. Alle 6, dopo mille sobbalzi in quella
strada arrivo a Senafè tutto scombussolato e mi fermo al Comando di Tappa. Qui
esiste il materiale spedito di volta in volta da Mai Gurà e trovo alcuni uomini
che mi danno da dormire dentro il magazzino dei materiali.
Per mangiare a pranzo
mi sono arrangiato con una scatoletta di carne in conserva, ma a cena vado alla
mensa del Comando di Tappa, per gli ufficiali di passaggio.
24 novembre
Son fortunato perché di
qua parte una colonna di autocarri carichi di materiale e munizioni che va a
Uogorò. Arrivo ad Adigrat verso le 11 e mi fermo con la colonna a mangiare
qualche cosa: ho ancora una scatoletta di marmellata e mi sazio con quella. Si
riparte quasi subito e sono costretto a fermarmi in un posto qualsiasi perché è
notte e le macchine non possono più transitare. Faccio costruire la mia tenda
in mezzo all'erba e per mangiare mi faccio invitare alla mensa di un
battaglione di fanteria che si trova poco distante. In questo momento penso che
viso farebbe chi mi vedesse in quelle condizioni, impolverato fino ai capelli,
sudicio da far pietà, senza un po’ d'acqua per darmi una mezza lavata, quasi
sperduto in mezzo ad un territorio che non faceva promettere nulla di buono,
perché, benché conquistato, i negri che lo occupano ieri erano abissini e sono
tuttora armati e vagano in mezzo a queste montagne. Sono solo con un autista su
un lato della strada e speriamo di poter dormire. è capitato proprio in questi
paraggi che un autista borghese si sia fermato con la macchina e si sia
addormentato sul volante e che alcuni negri lo abbiano seviziato. Speriamo di
dormire tranquillo!
25 novembre
Di buon'ora mi alzo
senza aver avuto incidenti di sorta e attendo le altre macchine che erano
restate indietro sorprese dalla notte. Di giorno che pauroso effetto questa
zona! Al pensiero di aver fatto di notte quella strada che vedo dietro di me,
mi viene i brividi solo a pensarci: un zig-zag che scende dalla cima di una
montagna, da dove non si vede il fondo del precipizio e la strada ad un solo
senso, larga appena il tanto per il passaggio di una macchina, tutta piena di
buche immense e sassi, che ognuno dei quali fa fare un salto di un metro. Ma
fin qui ci sono e devo andare avanti. Verso le 7 si vedono le altre macchine e
proseguo fino a Uogorò dove arrivo verso le 9. Ma non trovo più il reggimento,
che mi dicono è partito l'altro ieri alla volta di Macallè. Porco diavolo, devo
fare ancora circa sessanta chilometri con queste strade antidiluviane! Però che
panorami! Rocce immense che si ergono a picco ad un'altezza immensa, che sembra
di vederle cadere da un momento all'altro e subito in basso delle pianure
estesissime. Qua bisogna scaricare gli autocarri e caricare tutto sulle
autocarrette, perché la strada che ci sarà non è praticabile: figuriamoci cosa
sarà, se è peggio di quella fatta. Esiste qui l'autocentro della Divisione, che
mette a disposizione delle autocarrette. Bisogna però andare via domani,
perché, altrimenti bisogna pernottare in mezzo alla strada e non è
consigliabile. Mangio alla mensa ufficiali dell'autocentro e faccio mettere il
mio lettino dentro un autocarro e passo una buona nottata, ma ancora sono
sempre lurido e non riesco a darmi una lavata.
26 novembre
Alle 7 mi metto in autocarretta e vado
alla volta di Macallè. Che disastro la strada! Ed hanno il coraggio di dire che
le strade sono già fatte. Ogni tanto il pericolo di ribaltare. Bisogna tenersi
forte alle maniglie dell'autocarretta per non essere sbalzato via dal sedile.
Questo tormento dura fino alle 2 del pomeriggio, quando finalmente sono a
Macallè. Quattro giorni di viaggio e 290 chilometri in camion. Il mio stato
fisico è indescrivibile. Appena i colleghi mi vedono si mettono a ridere credendo
che venissi dall'altro mondo. Macallè è una località bellissima. Qui in alto si
erge il forte, che però ha poco di disuguale da tutti gli altri già veduti ed
in basso a circa 200 metri c'è il paese di Macallè, che è molto caratteristico:
alla periferia si erge una villa, sede di un capo abissino, di cui non ricordo
il nome e che si è sottomesso alla presa di Macallè ed il resto è composto di
tante abitazioni in calce che si confondono stranamente col terreno, ma sempre
le medesime caratteristiche delle abitazioni indigene.
Sono stato chiamato telegraficamente qua
per dare notizie del materiale e per avere il mio stipendio. Valeva proprio la
pena di farmi fare 290 chilometri con quelle strade.
27 novembre
Mi fermo tutt'oggi qui e mi riposo e
domani devo ritornare indietro per fissare la mia sede a Senafè. Prendo alcune
fotografie dei luoghi e mi do finalmente una pulita generale, che ne avevo
proprio bisogno. In questa zona tira un vento da non dirsi: non so come
facciano le tende a resistere a tale impeto.
Qua in prima linea non si trova
assolutamente nulla: quel poco di indispensabile che portano dalle retrovie
costa un occhio: per dare solo un esempio, una scatola di svedesi bisogna
pagarla una lira.
28 novembre
Riparto da Macallè alle 7 e la strada
già fatta a tappe forzate arrivo ad Adigrat la sera alle 8 senza quasi toccare
cibo in tutto il giorno: avevo i resti di una scatola di marmellata e ho
mangiato quella durante la giornata, senza pane, perché non ne avevo e non ne
ho trovato. Ho cambiato in tutto il giorno tre volte il mezzo di locomozione
per le esigenze dei mezzi stessi che trovavo.
Cerco il Comando di Tappa e mangio con
una fame da lupi alla mensa di Presidio e dormo sotto la tenda per gli
Ufficiali di passaggio.
29 novembre
Riparto alle 9.
8 febbraio
Senafè - Oggi un telegramma del
Comandante di Reggimento, mi richiama urgentemente al Gruppo, con tutti i
soldati, forse per prendere parte all'azione sul... che si dovrà svolgere in
questi giorni. Partirò domani mattina e intanto bisogna che metta a posto tutte
le mie cose.
9 febbraio
Con mezzi di fortuna mi muovo da Senafè
e giungo a sera fino a..., dove pernotto.
10 febbraio
Proseguo e giungo a Passo... alle ore
19, dove dovrebbe trovarsi il Comando di reggimento, ma nessuno sa dirmi nulla
e allora con un autocarro giro tutta la zona in cerca di questo benedetto
Reggimento che nessuno sa dove sia. Finalmente alla sera alle 20 in piena
oscurità, senza fanali, riesco a trovare il Comando Base della Divisione a...
11 febbraio
Raggiungo
il mio Gruppo e trovo il nuovo Comandante che mi sembra una brava persona. Sono
arrivato giusto in tempo. Questa notte ci sarà uno spostamento e il Gruppo deve
prendere parte all'azione sull'Amba Aradam, che scorgiamo da qui, ma che sembra
molto lontano e dicono che si troverà una forte resistenza, perché il monte è
messo in tal modo da avere verso di noi tutta la parete completamente a picco.
12
febbraio
Questa
notte ci siamo spostati e dopo qualche chilometro di marcia prendiamo posizione
in un posto di cui non ricordo il nome, perché questi son tanto difficili e di
passaggio, che non ci si riesce a ricordarli. Si sparano i primi colpi verso
l'Amba Aradam. L'azione va bene. Il nemico si ritira di qualche chilometro e
noi facciamo un altro sbalzo in avanti e ci appostiamo in una vallata. Un
paesetto è preso di mira e completamente devastato. Incomincia un'azione di
fuoco tremenda. Coadiuvati da altre artiglierie c'è un concentramento
fantastico. Ogni tanto si vede qualche gruppetto in fondo che scappa con ali ai
piedi. Ad un tratto, mentre sto mangiando qualche cosa, ad appena 40 metri da
me e più lontano dalle batterie si sentono tre scoppi tremendi. Un nostro aereo
ha gettato tre bombe sopra le nostre truppe. Erroneamente l'osservatore aveva
preso una vallata per l'altra. Dette bombe prendono in pieno una compagnia di
sanità giunta allora ed ammucchiata. Il disastro ha fatto 36 morti e 81 feriti.
Un'impressione che è difficilissimo descrivere. La gran massa di uomini e
quadrupedi mi ha salvato, perché altrimenti ad appena quaranta metri di
distanza ci sarei restato anche io. Figuriamoci, bombe che hanno effetto per
almeno 100 metri di raggio. L'impressione è di quelle che si sentono una volta
sola . Teste, braccia, gambe, parti del corpo sbranate e lanciate a distanza.
Corpi irriconoscibili, muli completamente sfracellati. Sono stato male tutta la
giornata alla vista di tale spettacolo. Gente che corre gridando come pazzi,
fino a che non si fa un po’ di calma ed accorrono le autoambulanze per il
trasporto dei morti e dei feriti. Mi è sembrato ad un certo momento che
l'azione avesse da svolgersi a nostro svantaggio, visto il morale degli uomini
abbassarsi così tempestivamente. Ma per fortuna la fermezza dei comandanti ha
fatto si di rimettere la calma e di continuare ciascuno il proprio compito.
Per
questa volta l'ho scampata bella, ma certo che la mia entrata in guerra non è
stata priva di emozioni.
Verso le
17 facciamo ancora uno sbalzo di qualche chilometro, questa volta
faticosissimo, fino in cima ad un monte di 2.800 metri. Questa presa di
posizione è stata una cosa che certamente l'uguale non capiterà più. Arrivati
che era notte, senza luna, in un posto tutto precipizi, dove poco prima stavano
gli abissini: cose tutte che facevano una grande impressione. Non si potevano
accendere lumi. Pensare a mettere a posto muli, uomini e materiale senza avere
un luogo fissato, con persone e muli che venivano a battere contro. Ad un certo
momento, perché sembrava che non bastasse, il Padre Eterno butta giù tutto
quello che poteva: tuoni, lampi ed acqua di cui l'eguale non avevo mai visto.
Allora tutti a precipitarsi a far tende. Ma era un'idea. Con quel vento che
tirava era proprio una cosa chimerica far la tenda. Ma finalmente, dopo che ci
siamo bagnati come pulcini, siamo riusciti a mettere quasi in piedi quattro
teli e ci siamo messi sotto in due, ma figuriamoci il freddo. Dormire con la
fanteria accanto che sparava a più non posso, senza la sicurezza di poter
riposarsi un po’, con la sorpresa di vederci addosso da un momento all'altro
qualche orda abissina. Ma spero che questa giornata così ricca di avvenimenti
passi presto e il giorno si facci vedere.
13
febbraio
Oggi
riposo relativo in quella posizione.
14\15 febbraio
All'alba
il Gruppo si sposta in avanti sulla destra dell'Amba Aradam. In tutta la
giornata con piccoli sbalzi e per tutto il giorno seguente, senza cibo ci si
sposta di parecchi chilometri. La grande battaglia dell'Amba Aradam è nel suo
pieno nel giorno 14. Un bombardamento fantastico di due Corpi d'Armata
sull'Amba Aradam e dintorni dura dalla mattina fino a sera. A notte i nostri
erano sul territorio bombardato il giorno stesso. Gli Abissini si sono dati ad
una fuga disperata lasciando sul terreno un'infinità di morti, 6 camion,
mitragliatrici, armi e munizioni. Si sono trovati sul terreno anche 2 bianchi,
dei quali uno morto e l'altro ferito. Dicono che siano giornalisti polacchi.
Quello ferito si trovava in istato di ubriachezza. La loro preparazione sull'Amba
era fortissima e molte cose hanno dimostrato che c'era l'intervento di
ufficiali bianchi, tanto è vero che si è trovata una borsa di cuoio con dentro
viveri ed equipaggiamenti europei. Gli Abissini erano nascosti in caverne con
piccoli accessi scarsamente visibili dall'esterno, di modo che essi potevano
sparare benissimo dall'interno a ragion veduta, senza che i nostri potessero
vederli sia di fronte che dall'alto ed era una posizione effettivamente
inespugnabile, anche se avesse contenuto 100 armati, mentre in effetti erano
20.000. La loro fuga è stata precipitosa, lasciando, come ho detto molta della
loro roba sul terreno, tutto per effetto della nostra artiglieria, che ha fatto
letteralmente un fuoco d'inferno da darci l'idea di un crivellamento della
roccia stessa. Sul terreno ho vedute molte custodie di pallottole belghe,
francesi e inglesi di modello 1939. Come ricordo ho con me una caratteristica
borraccia fatta con un corno di bue rivestito di pelle. Del luogo ho preso
interessanti fotografie. Morale: la fuga degli abissini è stata data dal
terrore avuto dalla gran massa di fuoco e la scarsità di viveri. La notte
tuttavia qualche colpo di mitragliatrice viene sempre tirato, perché qualche
sbandato si trova continuamente, magari ancora intanato in un ricovero.
Parecchi sono i sottomessi che vengono verso di noi. Dal nostro osservatorio si
nota un paese che ha issato bandiera bianca. Un ferito raccolto da noi e curato
da noi, mentre il medico si avvicinava con le forbici per tagliarli la benda, si
è subito riparato con una mano gli organi genitali per la paura di averli
tagliati. E pensare che questa gente si meriterebbero il medesimo trattamento
che essi fanno ai morti. Ma credo che qualche camicia nera abbia reso zuppa per
pan bagnato.
16\17\18\19 febbraio
Riposo della truppa e
ricognizione della zona. Oggi è arrivato il bollettino e racconta le cose come
effettivamente ...... In più sento che il giorno della presa dell'Amba Aradam
in Italia sono state issate le bandiere in segno di gioia. Questa è una cosa
che ci riempie di contentezza e di commozione al pensiero che siamo sempre
ricordati dai nostri cari.
Domani all'alba ci spostiamo di
nuovo per la presa dell'Amba Alagi e faremo uno sbalzo di 12 chilometri.
20 febbraio
Il Gruppo si sposta alle ore 6
e si dirige verso Enda Debra Ailà, dove prende posizione. Nulla di notevole da
segnalare in tutta la giornata.
21 febbraio
Ancora nella medesima località,
ma ci spostiamo di qualche chilometro in cima a un cocuzzolo. Sembra che l'Amba
Alagi sia libero e che gli Abissini si siano ritirati ancora più in là. Perciò
non essendo il nostro obiettivo ....... molto probabilmente ritorneremo a
Doghià per dirigersi con automezzi al lago Tana. Questo almeno sembra per ora
l'altro nostro obiettivo.
22\25 febbraio
Sempre nella medesima posizione
senza sapere quello che si farà in seguito. Ma si è avuta notizia che l'Amba
Alagi è stato occupato dagli Abissini e che li abbiamo davanti ad appena due
ore di marcia. Perciò tutto forse cambia. La nostra mira sarà certamente di
nuovo l'Amba Alagi, ma tutta la divisione Sila ora è smembrata in tanti diversi
punti e non si sa quindi quando si riprenderà l'azione. Questa volta però è
salutare per tutti, dopo il lavoro sfibrante fatto nei giorni passati...