A Blumenau (Santa Catarina, Brasile) per l’Oktoberfest, imponente festa della birra, seconda al mondo dopo quella di Monaco di Baviera. Nel Brasile tedesco, molto lontano da Amado e Veloso...
Il Sud del Brasile è quanto di più lontano si possa immaginare dai nostri cliché del ‘País maravilhoso’: benessere diffuso, molto lavoro, ordine & pulizia, gente bianca che più bianca non si può. In effetti, da São Paulo in giù, sembra di essere in una succursale dell’Europa: italiani, svizzeri, polacchi, ucraini, austriaci e, soprattutto nello Stato di Santa Catarina, tedeschi. La regione che si trova alle spalle di Florianópolis, infatti, pare un pezzetto di Baviera catapultato al tropico. Joinville, Blumenau, Pomerode, Brusque e molti altri centri richiamano la Germania (qui Alemanha), oltre che nei nomi, nelle case in stile Enxaimel - più di cento quelle preservate come patrimonio storico solo nel distretto di Blumenau -, nelle insegne dei negozi, in cucina (nei ristoranti locali si può pranzare a base di Einsbein, Kassler e Apfelstrudel), sui telefoni di strada - con forme che vanno dal boccale di birra alla testa di tedesco, biondo e con il cappello verde piumato -, sui tratti somatici delle persone. La lingua tedesca - ciò che rimane di dialetti trapiantati più di un secolo fa a un oceano di distanza - è un’altra, inconfondibile targa di questi semialbini cresciuti in un Paese nero, lusitano e indio. Lontani somaticamente e caratterialmente dal Nord e dal Nord-est come un siciliano può esserlo da un abitante di Oslo, eppure accomunati da una bandiera che sembra disegnata apposta per una finale di calcio e da un portoghese sensuale e divertente.
Blumenau, in particolare, cittadina di circa 260.000 abitanti attraversata dal rio Itajaí-Açú, è una delle principali culle del germanismo in terra brasiliensis. Lo è nell’immaginario dei brasiliani soprattutto grazie all’imponente festa di ottobre dedicata alla birra e ai bagordi, inaugurata nel 1984 per risollevare gli animi e le economie della popolazione colpita nei due anni precedenti dalla piene straripanti e disastrose del fiume (si contarono diversi morti e un pericoloso bis si verificò nel 2001, pochi giorni prima dell’inaugurazione della festa). Cugina della più imponente festa di Monaco di Baviera e dell’omonima che si celebra tra le comunità tedesche della Namibia, l’Oktoberfest si svolge per diciotto, interminabili giorni in un’area apposita non lontana dal centro (dal 3 al 20 ottobre nel 2013). Il successo crescente dell’Oktoberfest di Blumenau, oggi visitata mediamente da un milione di persone che consumano mezzo milione di litri di birra, ha fatto sì che negli ultimi anni eventi simili proliferassero un po’ dovunque tra le comunità tedesche del Sud - ad esempio la Fenachopp della vicina Joinville o l’Oktoberfest di Santa Cruz do Sul, nel Rio Grande do Sul -, anche se quella di Blumenau continua a vantare il primato per dimensioni e notorietà, seconda solo a quella di Monaco.
Prosit! È questa l’esclamazione che si sente più spesso, nei giorni della festa, aggirandosi tra i quattro padiglioni della PROEB - la fiera che ospita la kermesse - o nelle vie principali del centro di Blumenau. Lungo queste ultime il calendario delle sfilate è foltissimo e molti fanno questione di vestire gli abiti tradizionali tedeschi: anche le persone di colore, se non tedesche nell’albero genealogico, tali almeno nell’animo e in questo periodo dell’anno. Lungo Rua XV de Novembro, la via ‘vetrina’ della città, si alternano i frequenti passaggi del Bierwagen, un mezzo trasformato in botte su quattro ruote che distribuisce gratuitamente chopp, birra alla spina. Nei giorni di apertura e chiusura della festa, così come durante i fine settimana, la via è attraversata dal colorato desfile di tutto ciò che è possibile far sfilare: gruppi folcloristici e di ballo delle comunità tedesche della regione - ognuna con i propri abiti tradizionali -, bande e anziani suonatori di fisarmonica, Schützenverein (tiratori scelti, riuniti in trentasei circoli locali), bebè adagiati su culle di legno tirate dalle madri, bambine avvolte da ghirlande, cagnolini - quanto più minuscoli tanto più apprezzati - pure avvolti in ghirlande. E inoltre: stranissimi mezzi di trasporto - come la Centopéia, una specie di tandem a cento polpacci, con tanto di gancio personale per appendere il boccale di birra, vicino al sellino -, ubriaconi cronici, riciclatori di lattine vuote, macchiette ricorrenti che hanno atteso un anno per vivere il loro momento di gloria, Regine e Principesse della festa (tutte rigorosamente biondissime; la Regina godrà almeno un anno di lauti contratti pubblicitari), strana gente che si deve essere sbagliata e ha scambiato l’Oktoberfest per il Carnevale, cuccioli di tigre (in gabbia), cavalli e amazzoni del Beto Carrero World (una specie di Disneyland in salsa western che si trova a breve distanza e che fa impazzire i brasiliani), pagliacci, ‘baristi’ di strada che dai loro carrettini ambulanti distribuiscono birra a chiunque ne faccia apposita richiesta.
L’altra metà della popolazione, quella degli spettatori, si accalca sul marciapiedi della Rua XV de Novembro, i cui negozianti in quei giorni decuplicano le vendite e - qualunque cosa commercino durante il resto dell’anno, siano ottici o panettieri - nei giorni dell’Oktoberfest si specializzano in boccali da asporto e collezione, magliette, cappelli e souvenir. I commessi vengono vestiti come manichini in abiti tradizionali per attirare le frotte di curiosi che giungono da ogni parte del Brasile, fin dall’Amazzonia: la birra è uno dei piloni della cultura brasiliana, a ogni latitudine. I negozianti più intraprendenti ingaggiano musicisti d’arpa o cantanti di ballate tedesche, da piazzare di fronte alle vetrine, mentre i negozi di cd fatturano in valute forti grazie alle compilation teutoniche: nella regione, infatti, proliferano centinaia di musicisti ‘tradizionali’.
I grandi padiglioni della PROEB aprono verso sera e la gente comincia ad arrivare lentamente, soprattutto per mangiare qualcosa al volo, in piedi, nei tanti ristorantini che sfornano non stop quantità industriali di panini con le salsicce, quaglie ripiene, hot dog con la senape, polli, ravioli fritti. Verso le nove iniziano le gare di abilità, tutte solitamente connesse ai derivati del luppolo, come quella per i ‘bevitori di chope (ulteriore brasilianizzazione della già brasiliana chopp, birra alla spina) al metro’. Il metro in questione è un bicchiere simile a una cannuccia per soffiatori di vetro, in pratica il gambo di un lungo calice all’interno del quale scorre un metro (600 ml, l’equivalente di una bottiglia) di birra. Al via! dell’arbitro i concorrenti devono ingurgitare tutto il contenuto nel tempo più breve possibile - il record è di 10 secondi e 78 decimi - senza versarne una goccia a terra o sui vestiti. Ovviamente c’è chi si rovescia tutto addosso, con il massimo disgusto dei fan e dei fotografi che si accalcano in prima fila davanti al palco. Così come chi, preparatosi a casa per un anno intero, forse nella vita fa solo quello, tracanna il liquido in un unico sorso senza farne cadere una singola gocciolina. Più o meno alla stessa ora, le bande - quaranta, tutte rigorosamente in abiti tradizionali e per un totale di 450 ore di musica - iniziano a dar fiato alle trombe, così come ai sassofoni, alle batterie e alla chitarre elettriche. Sui palchi e nelle piste dei saloni domina la musica tedesca - danze dei primi immigranti, polke, valzer, balli del quaquà, roba velenosa ma che fa muovere le gambe dei più legati alla tradizione -, e qualche anno fa gli organizzatori hanno deciso di invitare qualche gruppo dalla madrepatria: tutti si resero conto di come il tempo e la distanza avessero distorto testi e ritmi delle canzoni, per cui fu necessario un ‘ripasso’ per mano della centrale. Nei padiglioni della PROEB, però, non si suona solo musica tedesca: anche se non sembra siamo in Brasile, e ogni tanto bisogna che ce lo ricordiamo. Ed ecco, quindi, un alternarsi di samba, forró, musica carnevalesca baiana, flamenco, pagode, canzoncine sciocche molto in voga al momento, cancan, ballate russe, roba italiana da esportazione. La contaminazione è profonda e i più conservatori, molti di quelli che ‘inventarono’ la festa negli anni Ottanta, storcono il naso. Il successo dell’Oktoberfest - da cui un sempre crescente afflusso di visitatori da altre regioni e con altri gusti (unico fattore comune: l’amore per la birra e per la festa in senso filosofico e generale) - e il conseguente ‘imbastardimento’, hanno fatto sì che negli ultimi anni i blumenauensi più tradizionalisti abbiano iniziato a disertare la festa: troppa ressa, troppa gente venuta lì solo per ubriacarsi e fare baccano, troppa poca Alemanha.
I più detestati da questi rigorosi cultori delle radici - che in quei giorni trasmigrano al mare o si chiudono in casa a sorbirsi ore e ore di telenovelas -, sono i turisti paulisti: perlopiù adolescenti che, forti dell’arroganza ‘della capitale’ (economica e culturale) e dei soldi di babbo scendono in provincia a urlare frasi alcoliche e a seminare zizzania (la proprietaria del mio albergo, che ne ha dovuti scacciare cinque tutti d’un colpo sotto i miei occhi, ne è la prova vivente). Secondi in classifica: le orde di ragazzotti argentini (Brasile/Argentina = cane/gatto) - e, in minor misura, uruguayani - che, trasportati in massa con gli autobus, sbarcano in città come unni. Se siete sordi e non potete sentire il loro vociare spagnolo, li riconoscerete grazie a due fattori: i ragazzi sono assatanati e a caccia spietata di brasileñas, abbordate in malo modo con sbrigative tecniche da militare ubriaco in libera uscita; le argentine, invece, indossano tutte ciabatte infradito, secondo una moda sciatta che deve spopolare nella terra di Gardel. Questa invasione, ovviamente, provoca tensione: ma mai quanto a Monaco di Baviera, dove se finite in mezzo a una rissa tra ariani e turchi e vi salvate il collo potete considerarvi miracolati e accendere un cero al vostro santo di fiducia. In Brasile, invece, anche nella sua culla più teutonica, tutto viene risolto con calma e con un sorriso - numa boa, come direbbero i brasiliani amanti delle amache e della vita senza stress -, e i microrazzismi sono anestetizzati dalla voglia comune di far festa, più importante di ogni altra cosa. A Blumenau, a differenza di Monaco, c’è sempre un posto ai tavoli. A qualunque nazionalità, razza o ceto sociale apparteniate.
I più detestati da questi rigorosi cultori delle radici - che in quei giorni trasmigrano al mare o si chiudono in casa a sorbirsi ore e ore di telenovelas -, sono i turisti paulisti: perlopiù adolescenti che, forti dell’arroganza ‘della capitale’ (economica e culturale) e dei soldi di babbo scendono in provincia a urlare frasi alcoliche e a seminare zizzania (la proprietaria del mio albergo, che ne ha dovuti scacciare cinque tutti d’un colpo sotto i miei occhi, ne è la prova vivente). Secondi in classifica: le orde di ragazzotti argentini (Brasile/Argentina = cane/gatto) - e, in minor misura, uruguayani - che, trasportati in massa con gli autobus, sbarcano in città come unni. Se siete sordi e non potete sentire il loro vociare spagnolo, li riconoscerete grazie a due fattori: i ragazzi sono assatanati e a caccia spietata di brasileñas, abbordate in malo modo con sbrigative tecniche da militare ubriaco in libera uscita; le argentine, invece, indossano tutte ciabatte infradito, secondo una moda sciatta che deve spopolare nella terra di Gardel. Questa invasione, ovviamente, provoca tensione: ma mai quanto a Monaco di Baviera, dove se finite in mezzo a una rissa tra ariani e turchi e vi salvate il collo potete considerarvi miracolati e accendere un cero al vostro santo di fiducia. In Brasile, invece, anche nella sua culla più teutonica, tutto viene risolto con calma e con un sorriso - numa boa, come direbbero i brasiliani amanti delle amache e della vita senza stress -, e i microrazzismi sono anestetizzati dalla voglia comune di far festa, più importante di ogni altra cosa. A Blumenau, a differenza di Monaco, c’è sempre un posto ai tavoli. A qualunque nazionalità, razza o ceto sociale apparteniate.
Pubblicato su Smoking
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