domenica 3 giugno 2012

INDIA - GLI ACIDI FANNO MALE, FIGURIAMOCI AI TEDESCHI


Sull’autobus fatto di lamiere slabbrate e galline chioccianti che va da Panjim ad Harambol, a Goa, incontro Marco, tardofreak sulla quarantina.
“Sono svizzero, del Canton Ticino, ma quando viaggio da ‘ste parti mi vendo per italiano. Voi Azzurri comunicate più rispetto, specie ai ladroni che vanno a caccia di travellers’cheque, orologi con il cucù, tobleroni pregiati.”
“È da molto che sei a Goa?”
A vederlo sembra un aficionado del luogo, deve essere qui da sempre.
“No, sono in India da una ventina di giorni, ma ero già stato da queste parti molti anni fa. Troppi. Ora mi sembra tutto cambiato. Alberghetti per coppiette in viaggio di nozze, cheese macaroni per turisti americani, comunità di recupero per tossici, indiani che si fanno le pippe dietro gli scogli sbirciando con il cannocchiale le sporcaccione occidentali seminude. Tutto ciò, allora, non c’era. C’erano solo le sporcaccione occidentali seminude. Era tanto che volevo tornare, ma il lavoro, sai...”
“Che cosa fai a casa?”
“Il magazziniere. Una volta, con i miei compagni di lavoro, durante l’ora d’aria provammo una balestra che qualcuno aveva portato in azienda. Sparammo una freccia fuori dalla porta, alla cieca, e si andò a conficcare nella guancia di un tipo che pedalava in bicicletta. Si scatenò un bel casino.”
Di palo in frasca. A giudicare dall’aneddoto, i conti tornano. Guglielmo Tell da magazzino, odio per i ciclisti. Scoppiato quanto basta, perfettamente inserito nella cornice di Goa.
In fuga dall’iperorganizzata Colva Beach e da un vecchio dentista di Margao che ha provato a togliermi un ponte dolorante con le mani, mi sono spinto fino ad Harambol, ispirato da un bel servizio fotografico che ho trovato su una rivista donna. Stando al reportage, questa è la spiaggia più freak dell’intero litorale, l’ultima che non si è ancora svenduta al turismo organizzato e dove ha piantato le radici una comunità hippy integralista. Alcuni vivono nelle caverne tra la giungla e, a giudicare dalle foto, da queste parti devono circolare individui parecchio eccentrici. Ne può nascere un articolo interessante e, lo penso ma non me lo confesso, vorrei fare delle foto così.
Mi spingo con Marco oltre il laghetto di Harambol in cerca di una camera decente, vorremmo evitare almeno gli scorpioni nei letti. Oltre il promontorio c’è un piccolo hotel che sembra fare al caso nostro, le stanze che l’albergatore ci propone sono davvero carine e confortevoli. Il posto, però, è tremendamente isolato e, a giudicare dal sorrisino da gatto+volpe dell’israeliano che gestisce il posto, siamo telepaticamente certi che, non appena appoggiati i bagagli e calate le tenebre, di nostro nelle camere rimarrà solo l’odore.
“Forse è meglio se cerchiamo una stanza sulla spiaggia principale”, propongo a Marco.
“D’accordo.” Svizzero sì, fiesso no.
Troviamo due stanzette buie e iperbasic in una stamberga al limite del laghetto.
“Dov’è il bagno?”, oso chiedere al proprietario.
Sorry, no bathroom, Sir. L’unico ‘bagno’ è quello là - mi indica una specie di cabina del telefono fatta di bambù e frasche -, per usarlo basta pagare due rupie al guardiano. Oppure può scegliere tra il mare e la foresta. Di solito consiglio il mare.”
Mah.
Verso sera non posso più farne a meno, devo usare il bagno.
Pago le due rupie a un vecchietto secco secco, che in cambio mi allunga due pezzetti contati di carta igienica. Secca pure lei.
Aperta la porta della ‘toilette’, rimpiango di non avere una telecamera. Il water è composto da un’asse alla turca con un bel bucone nel centro, vista spiaggia. Tiro giù i braghini, mi accomodo a tripla distanza di sicurezza, faccio il mio sporco dovere. Fischietto e penso al bagno di casa mia.
La bomba non ha ancora colpito il bersaglio, che inizio a sentire uno strano rumore alle mie spalle, verso le parti basse, per l’esattezza. Un enorme maiale grigio topo, forse un cinghiale, accorso in silenzio ma superapido, ha afferrato al volo il boccone fumante e lo sta biascicando a quattro palmenti, manco fosse panettone. Deve aver sentito scricchiolare i cardini della porta mentre la chiudevo.
Non vomito perché credo che sia fisicamente impossibile occupare contemporaneamente le due vie di sicurezza, ma lo spavento improvviso misto al disgusto mi fa chiudere bottega in fretta. Anche perché non vorrei che l’operatore ecologico, non sazio, allungasse il naso e passasse ai piani alti, assaggiando i miei gioielli. La frutta. Butto un occhio sul fondo della toilette, e noto che del prodotto interno lordo non è rimasto alcunché, né le briciole né le due rupie di carta igienica.
“È normale - mi fa Marco quando, stupefatto, gli riferisco dell’incontro con Sora Natura -, anni fa questi erano gli unici spazzini di Goa. Il sistema è assolutamente sano, e in giro non rimane nulla, a parte l’alito dei maiali. Oggi, però, purtroppo, grazie alla fighetteria dei turisti, sante istituzioni come questa vanno scomparendo, e tutti gli alberghetti si sono dotati di bagni con il pozzo nero, molto più inquinanti.”
Strani, gli svizzeri, li facevo diversi.
Trascorsa una notte a schiacciare zanzare sui muri e a scacciare maiali neri cannibali dai sogni, il giorno seguente inizio a vagabondare qua e là, alla ricerca di bei soggetti da immortalare. Un tipo biondo con il turbante, dev’essere di Hannover, fa il bagno nudo nel laghetto, nella posizione del fior di loto. Una famiglia di turisti indiani lo osserva e lo indica ai bambini come si fa con la tigre al circo, ma lui sembra lievitare a due metri di altezza, tanta è l’indifferenza che dimostra nei confronti dei negri ficcanaso. Dalla foresta giungono voci quasi umane, deve essere qualcuno dei neotrogloditi che chiama un vicino di grotta per l’aperitivo.
In un istante mi rendo conto che la visione della mia Nikon turba l’umanità freak-chic locale. Appena notano l’obiettivo distolgono lo sguardo, innescando un ghigno schifato. Come cavolo avrà fatto il fotografo che mi ha preceduto a fare quelle foto (l’hippy che medita al lume di candela nella sua grotta, il party al chiar di luna in spiaggia, una tipa nuda che sguazza nel laghetto) così belle? Li ha ricoperti d’oro e si sono messi in posa? Non può essere andata diversamente. Anche i freak, si sa, tengono famiglia.
Vagando, incappo in una casa molto particolare, con un bel patio decorato da un’infinità di strani oggetti. Maschere, sculture, quadri, il tutto con colori quasi fosforescenti. Un tipo pelatino e baffuto rulla un cannone grande come un hot dog su un muretto e mi guarda serio da sotto il pelo da faccia.
“Buongiorno”, gli dico.
“Buongiorno”, mi risponde, ora con un sorriso. “Vuoi?”, mi propone, porgendomi il joint.
Sarà un busone?
“No, grazie, molto gentile, non fumo.”
Heinz, così si chiama, è di Amburgo e mi invita cordialmente a chiacchierare, mentre armeggia con fumo e cartine. Non è busone.
“Sono un fotografo - gli premetto - e sto facendo un servizio sulla vecchia Goa, quella degli anni Sessanta o, almeno, ciò che ne rimane. Ho visto un bel servizio sugli hippy che ancora vivono qui e vorrei fare qualcosa di simile. Purtroppo non ho qui con me la rivista, altrimenti te la farei vedere.”
“Beh, se vuoi, puoi fare un po’ di foto alla casa. Ma non a me, per favore.”
“Grazie”
Fatto qualche scatto, Heinz mi racconta la sua autobiografia. È un fiume in piena.
“Sono qui da una ventina d’anni. Ho campato per una vita facendo la spola dall’Afghanistan, importando tonnellate di fumo che vendevo ai turisti. Ora mi sono ritirato dall’attività, ho già i miei anni, e cerco di godermela, anche se Goa non è più quella di un tempo. Pensa che in questo periodo le autorità hanno persino proibito i moon party. Qualche tempo fa il figlio del governatore è morto di eroina, e da allora gli sbirri interrompono ogni festa. Il calendario, di conseguenza, è in costante movimento. Ogni volta si sceglie una spiaggia diversa, ci si impasticca, parte la musica, tutti cominciano a ballare nudi, ed ecco che un branco di sudici sgherri ti piomba addosso e inizia a manganellare a suon di bambù. Se ti beccano e hai i soldi per pagargli le birre e le zoccole ti lasciano andare, altrimenti...”
Heinz è partito a ruota libera, la sua più che una chiacchierata amichevole sembra un comunicato stampa. Annoto tutto nelle pieghe del cervello. Il suo tono è cordiale e disponibile.
“E hanno pure proibito il mercatino freak di Anjuna, un’istituzione di Goa fin dai tempi del concerto degli Who. Ora, in compenso, regnano sovrani i ristorantini che offrono carne di pescecane ai turisti e i cartelli che proibiscono il nudismo. Le riviste indicano dove trovare l’aragosta ad appena dieci dollari. Ti rendi conto?”
“Beh, sì, hai ragione, le cose devono essere cambiate parecchio. Se lo dici tu...”
Difficilmente riuscirei a fare il nudista, non ho il physique du rôle, e poi amo mostrare le mie parti intime solo a chi voglio io. Non mangio l’aragosta, né altri crostacei, mio padre mi ci ha stuprato la gola quand’ero piccolo (“Senti che buono, senti!”), e adesso a solo parlarne mi vengono i conati. Per quanto riguarda i mercatini freak ho già dato in gioventù. Ora soffro di allergia da odore d’incenso, ma lui ha il diritto di non saperlo.
Ringrazio Heinz per l’aiuto e la gentilezza. Lo saluto e proseguo la missione. A Vagator mi imbatto in Marco, con il quale inauguro un tormentatissimo torneo di backgammon al tavolo di un ristorantino. Come cornice sonora fa da sfondo il vociare tossico di un calabrese trapiantato a Cinisello Balsamo, gran bel mix di accenti, Garibaldi deve avere un attacco di epilessia nella tomba. Coso dibatte ad alta voce per ore sulle quotazioni e la bontà dell’afgano piuttosto che del pakistano, con volume distorto dalla troppa eroina presa a colazione. Ma è democratico, quindi ha deciso di deliziare tutti i frequentatori del locale con il suo monologo da fatturione, in un inglese che è meglio lasciar perdere.
Massacrato Marco, e massacratomi i timpani, mi incammino di nuovo. È buffo, un altro italiano ha issato un cartello sulla sua casetta di fango e frasche con la scritta Vero espresso italiano. Con la moka. In italiano sulla catapecchia.
Giunta l’ora di pranzo, mi butto nel primo ristorantino che incontro lungo la spiaggia di Harambol. Sull’insegna svetta un ritratto di Shiva dai colori lisergici, e il locale non può che chiamarsi Om.
Durante questo mio trascinarmi goano mi piacerebbe tanto incocciare almeno in una persona carina e interessante, con la quale parlare di tutto un po’, possibilmente non solo di quotazioni in borsa dell’hascisc e di quanto fanno quegli ultimi Superman arrivati freschi freschi da Amsterdam. In realtà, mentre mangio, mi scontro con altri due italiani, una grammatica e due volti da rifare, e due ragazzine tedesche. Queste ultime dicono di avere diciassette anni, ma ne dimostrano il doppio.
“Siamo fuggite da casa. Della scuola e dei genitori rompicoglioni non ne potevamo più. Fuck the system!
Mentre mi regalano questo manifesto politico, mangiano, così sembra, un pollo. In realtà, pare che il pollo lo succhino, lo triturino, lo schiaccino, lo spalmino, il tutto tra la faccia e le mani, senza smettere di parlare. Sarà per la mia educazione impostami a bacchettate dalle orsoline, ma il quadretto che mi trovo davanti mentre sto tentando di finire il mio pollo mi riporta immediatamente il maiale di ieri davanti agli occhi. Di colpo mi è passata l’appetito. Via, via di qui.
Al pomeriggio riesco a scroccare un passaggio da un prete locale. Con la sua Vespa raggiungiamo Old Goa, la vecchia capitale, un gioiello dell’architettura coloniale portoghese, oggi città fantasma. Le foto che faccio - crocefissi e stucchi dorati - non sono esattamente quelle che avevo immaginato, ma la conversazione con il padre è stimolante.
“Che sporcaccioni quei turisti, tutti atei. Pensa che vanno in giro nudi. Ogni tanto ne vedi due che si nascondono nella foresta. Chissà che cosa fanno, sicuramente andranno all’inferno.”
Sicuramente.
Sulla via del ritorno facciamo una sosta presso una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Gli ospiti sono tutti indiani e, così mi dicono, ogni tanto anche qualche occidentale viene parcheggiato qui dalla polizia. I presenti, nemmeno tanto giovani, come terapia separano montagne di chicchi di riso, uno per uno, dalle scorie. Vado via, prima che l’angoscia mi strangoli.

Ad Harambol è piombata la notte e, prima di uscire, metto nella sacca della macchina fotografica la rivista con il famoso reportage. Se incontro Heinz glielo voglio far vedere.
Infatti, dopo un po’, ritrovo il tedesco in una bettola lungo la spiaggia. Da buon tognino, le vecchie tradizioni sono dure a morire, si dev’essere bevuto un’intera cassa di birra, almeno a giudicare dell’alito e dallo sguardo liquido.
“Ciao, Heinz, come stai? Ecco il servizio di cui ti parlavo. Mi piacerebbe proprio fare delle foto così...”, e glielo allungo.
In una frazione di secondo il mio ‘amico’ cambia improvvisamente espressione. Inizia a sbraitarmi addosso.
“Che cazzo vuoi? Perché sei venuto qui, a spiarci? Perché non te ne vai con la tua macchina fotografica del cazzo a Disneyland?? Via, vattene di qui!”
Accenna un inizio di aggressione, ma poi si trattiene. Anche se ubriaco fradicio, si rende conto che non è il caso di combinare casini di fronte a testimoni, forse ne ha già avuti anche troppi. Qualcuno lo trattiene dal mettermi le mani addosso. E poi, se ci prova, gli schianto la Nikon sul cranio.
Me ne vado, esterrefatto. Solo ora il postino afgano si è reso conto che voglio fare sul serio un servizio sui suoi colleghi. E il mix ventennale di acidi tornati a galla grazie a qualche ettolitro di birre, seppur indiane (fiacche), ha fatto venir fuori Mister Hyde. Domani lascerò Goa. I suoi fantasmi incartapecoriti mi hanno stufato. Mi divertirò di più a fotografare le mucche di Bombay e le loro enormi cacche sante.

da L'importante è muoversi
http://pietrowrites.blogspot.it/2012/03/limportante-e-muoversi.html




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