giovedì 6 ottobre 2011

ITALIA – LE MESTRUAZIONI DEL(LA) PHOTO EDITOR


Perché Dio è così cattivo e ha creato la photo-editoressa??

La prima volta che ci sbattei contro fu a Segrate, alla Mondadori, nella redazione di una nota rivista di moda. Ero reduce dal mio primo viaggione fotografico in Asia e da bravo emigrante ero arrivato a Milano da Bologna in un giro di spaccio di diapositive. Avevo ventiquattro anni e le braccia forti potevano trasportare valigie zeppe di telaietti di plastica con coriandoli di pellicola all’interno. Il portafogli era vuotissimo: avevo investito tutta la mia paghetta in un taxi per la maledetta periferia milanese, previo appuntamento con la redazione di Uoma è Bella. La photo editor, Pinuccia Pini, quando arrivai non c’era. Io ero stato puntualissimo, come da accordi presi al telefono (‘Alle 15,30, perché alle 15,35 sarò in riunione, va bene?’), la photo editor meno. Mi accolse una sottoposta bionda, gentile. Esaminò con attenzione i miei reportage, decidendo di trattenerne uno sulla Malesia, in visione. Mentre stavo compilando la bolla di consegna delle diapositive sprizzavo felicità: la fanciulla mi aveva dato la possibilità di pubblicare per un Sommo Editore.
A bolla metà compilata arrivò correndo, capelli rossi al vento, la photo editor. La bionda le disse di aver guardato le mie foto della Malesia e che le erano piaciute, decidendo di trattenerle.
Malesia? Asia? No. Basta Asia.’
E scappò.
Rimasi con la penna e il bollettario tra le mani. Dolore allo stomaco e smorfia di dolore (ai testicoli, al portafogli).
‘Asia?’ Che cosa voleva dire? Un intero continente da buttare? Potevano essere le foto più-pazzesche della storia della fotografia dai fratelli Lumiére in poi, ma la zoccola le aveva bocciate senza nemmeno guardarle. Mah, il mondo è pieno di stronze/i, si sa, mi dissi mentre ritornavo alla stazione centrale con una navetta gratuita del Sommo Editore. I soldi erano finiti, le speranze piallate.

Nei tempi epici del pre-internet tutto si giocava su quanto riuscivi a essere brillante in tre secondi netti al telefono. In quella rapida circostanza, dopo aver fatto il salto agli ostacoli tra art director in perenne riunione, linee occupate e linee mute, dovevi convincere un perfetto sconosciuto, abituato a maciullare cento fotografi al dì dopo i pasti, di come tu, sì proprio tu, solo tu avevi le foto/la storia più interessante del secolo. Quella che avrebbe risollevato l’esistenza della rivista, dell’editore, forse dell’intero Paese. Senza impappinarti con le parole, senza fargli/le perdere tempo, andando in fretta al dunque e senza regalare banalità. Anche perché la chiamata interurbana costava.
Dopo settemila tentativi, un bel giorno riesco a parlare con Gabriello Sguazza, photo editor quotato in borsa, da anni motore e pilastro della pregiatissima rivista Arpione, la quale pubblicava foto spettacolari di natura, ma non solo.
Il giorno X all’ora Y le va bene?
Un minuto dopo correvo in stazione ad acquistare il biglietto del treno per il giorno X. E in quelli che precedettero l’incontro selezionai il meglio del supermeglio che avevo in archivio: i fricchettoni mistici e chiavatori della comunità di Osho, in India; i veneti trapiantati a far vino nel Sud del Brasile; la comunità di matti visionari del Vale do Amanhecer, alle porte di Brasilia (pazzi seguaci di una ex camionista che aveva frullato tutte le religioni del creato e ne aveva fatto un unicum da circo); le tribù mangia cani del Triangolo d’Oro. Altro. Tutto pulito e lucidato, fogli di plastica - i cosiddetti ‘plasticoni’ - per contenere le diapositive nuovi di zecca, un testo di accompagnamento a prova di esame della terza media, didascalie dettagliatissime a prova di Treccani.
Giorno X, ora Y, le ginocchia mi tremavano. Anche perché mi era appena passato di fianco il baffutissimo Danilo Processioni, fotografo storico della rivista cui avrei ambito poter, un giorno, allacciare le scarpe. I suoi reportage erano oro, nulla da invidiare al gringo National Geographic. Mentre altri sognavano di vincere la lotteria io sognavo, in una vita ultraterrena, di diventare Danilo Processioni.
Il signor Sguazza mi face gentilmente accomodare al tavolo e senza troppissimi convenevoli si buttò a pesce, lentino all’occhio, sulla mie foto. Dopo breve iniziò a scuotere la testolina. ‘No, Scazzieri, mi dispiace. Troppe foto. Troppo poche. Troppi dettagli. Troppo generali. Troppo sovraesposte. Troppo sottoesposte. La ringrazio.
Tornai in campagna, a Bulàgna, con le famose pive nel sacco. Era liberatorio, quando facevo il pendolare a Milano, lasciare a fine giornata quanta più zavorra possibile in visione nelle redazioni. Profumava di possibilità di vendita e alleggeriva il carico perdente e bocciato da riportare a casa.
In parallelo, da lettore, decisi di partecipare a un concorso fotografico indetto dalla medesima Arpione. Commissione giudicante: Gabriello Sguazza, Danilo Processioni e la fantasmagorica Graziella Bianchi, CEO – come si direbbe oggi; capa, come si diceva allora – della strafamosa agenzia fotografica omonima. La Trimurti della fotografia italiana, insomma. Inviai una dozzina di immagini, tante quante ne richiedeva il concorso. Circa un mese dopo il giorno X ricevetti una lettera da Arpione. Erano lieti di annunciarmi che avevo vinto un premio. Non fra i primi tre, riservati agli eletti destinati a salire sul podio e ricevere le medaglie da due conigliette di Playboy, ma un premio speciale. Ero invitato il giorno W al trentacinquesimo piano della Torre Velasca, Mailand, per ritirare l’attestato. Ero allibito, a dir poco.
Il giorno W indossai il maglioncino con meno buchi e mi presentai alla cerimonia. Una delle mie foto era appesa nella galleria degli onori e intimamente scodinzolai moltissimo. Fui pure immortalato dal fotografo ufficiale dell’evento mentre ritiravo l’attestato di Vittoria e Gloria nei secoli dei secoli. Nessuna coniglietta: me lo consegnò un ciccione in giacca, ma aveva un bel sorriso. Seguì stretta di mano a Gabriello Sguazza, che mi studiò per un secondo con sguardo che interpretai con un ‘Ma dove cippa l’ho già visto?
Quel secondo valse più dell’attestato e dei salatini che seguirono. Seppe di Vendetta.

Un eccellente collega, Figo Stuoli, autore di numerosi volumi fotografici sull’Italia e sul mondo di fuori, un giorno mi raccontò dell’aneddoto capitatogli mentre andava a provare a spacciare le sue foto alla pregiata rivista milanese Famiglie in Carrozza. Il giorno X all’ora Y, come da copione, fu ricevuto da Tiziana Tazi, photo editor con i calli.
Anche Figo, come me, aveva preparato servizi spaccaculi da proporre alla testata: uno sui cacciatori di teste di cazzo nel Borneo, uno sulle donne wrestlers della Bolivia e uno su una comunità di quattro gatti che a San Marino si era impuntata e aveva scioperato e aveva deciso di non evadere più le tasse.
Mi spiace, Figo, ma il grandangolo fa troppo Sessantotto’.
Così la mancata operaia bocciò le foto spettacolari del mio amico.
Dopo che mi raccontò il fatto, iniziai a pensare: se il grandangolo fa Sessantotto, lo zoom fa nazi? Se vorrò fotografare un panorama dovrò usare un trecento millimetri? Come faccio a fotografare un panorama con lo zoom? Ah, sì, basta fare una serie di scatti alle fette di panorama, poi le incollo con l’UHU e quindi rifotografo il tutto con uno zoom. Ovviamente da una distanza di almeno dieci metri.

Last but not least. Da tempo collaboro a una Prestigiosa Rivista di turismo, una delle poche sopravvissute all’ecatombe dell’editoria italiana. Bravi ragazzi che hanno preso di petto la crisi e hanno deciso di resistere, nonostante tutto (tutto = tagli delle sovvenzioni all’editoria da parte del governo ladro; costo della carta pari a quello delle lamine d’oro; economia italiana in caduta libera, che ha trasformato il lettore medio in ex lettore medio - serve più un chilo di pomodori a tavola che una rivista di viaggio -, se non in ladro di galline; internet vs carta stampata).
Mentre sono in Thailandia per la suddetta testata vengo a sapere da un’amica che lavora nella redazione, Francesca Franceschi, di un cambio traumatico all’interno della suddetta suddetta. La photo editor, Esperta Campagnoli, lascia. Si dedicherà al giardinaggio, al suo golden retriver e a svezzare tre gemelli. Sarà rimpiazzata dalla sua assistente. Okkk, le scrivo dal Triangolo d’Oro.
Qualche giorno dopo, per tenere Francesca al corrente dei miei passi, le invio come cartolina una foto fatta la mattina stessa presso il ristorante dell’albergo per ricchi dove sono ospite. La foto, qui di seguito, ritrae l’elefantina Nina che ogni giorno viene a salutare gli ospiti fra i tavoli, inchinandosi e ricevendo qualche banana in cambio.
Il mio, ovvio, è un invio improntato al ciaocomestai, ecco dove sono, carina l’elefantina, no?
L’ultimo degli scopi allegati al click con il quale invio l’e-mail e la foto è: questo è il risultato del mio lavoro.


Il giorno dopo ricevo la seguente e-mail (copia stampata, incorniciata e appesa sopra il bidè):

ciao pietro, sono domiziana, responsabile dell’ufficio grafico.
ti scrivo su consiglio di francesca, visto che sei in tour asiatico e stai producendo tanti servizi per noi.
volevo darti alcuni consigli sul tipo di foto che "vanno bene" per noi, per non lavorare inutilmente tu, e facilitare il nostro lavoro.

- Le inquadrature dovrebbero essere sempre più pulite possibili.

- Più incisione e più dettaglio nei particolari.

- Le persone non devono essere nascoste e neppure tagliate.

- Attenzione alle invasioni di campo delle piante o degli oggetti.

- Per quanto riguarda le luci, bisognerebbe fotografare nelle prime ore del mattino e mai in pieno giorno.

Nella foto allegata, per esempio, c'è l'invasione di campo delle piante, il personaggio dietro l'elefante è nascosto, si intravede un altro uomo dietro di lui e dietro ancora un cassonetto dei rifiuti?
bastava cambiare prospettiva e far avvicinare di più la cuoca, inquadrare dal basso o dall'alto.

grazie 1000
domiziana sbuffi

Letta e riletta tre volte tre l’e-mail, incredulo, nel cervelletto mi si scatena una tempesta di pensieri.
1) macchiccazzo è ‘sta zoccola, mai vista né conosciuta né inculata manco in incubo??? COME SI PERMETTE???
2) va bene, a giudicare dall’italiano con cui scrive, bisogna capirla. Deve essere una mongoloide assunta per rimpiazzare il buco, senz’altro uscita da un corso breve di Scemenze della Comunicazione, infarcita la testolina di strunzate e giunta in redazione attraverso chissà quali vie traversissime.
3) come si fa a spiegare a una mongoloide che questa NON è una foto da pubblicare, ma un semplice cartolina di saluti (by the way, non indirizzata a lei)?
Trattengo i nervi e, così come si spiegherebbe a un bambino di tre anni, le invio un’e-mail gentile gentile in cui specifico, sillabandolo, che la foto non ha la pretesa di essere la copertina del prossimo National Geographic, ma solo un biglietto di saluti da me ad altra persona diversa da lei essa stessa medesima (Francesca non Domiziana, comprì?). Lei, d’altronde, mi aveva illustrato, come si farebbe a un fotografo di tre anni o a un operaio nel dopo-turno, le regole di base del corso per principianti di fotografia della scuola Radio Elettra.
Ahò, la volete sapere una cosa? Domiziana Sbuffi è stata promossa a Photo Editoressa Ufficiale della Prestigiosa Rivista. E come tale non ha mai più comprato una mia foto.
Quand’è, Dio buonino, che mi dai le chiavi del Mondo, e riporto le braccia strappate all’agricoltura a servire la Madre Terra?


2 commenti:

  1. Bello! Anche i nomi, senz'altro veri.

    Ma secondo te succede anche ai fotografi patinati che vanno ai Caraibi a fare i calendari patinati usati come rivestimento delle patinate cabine di guida dei camion?
    So che ti piacerebbe sentire il coro di "purett!", ma queste simpatiche canaglie non popolano solo il dorato mondo della fotografia. Manie di grandezza vengono un po' a tutti, soprattutto a chi grande non è.
    Come al titolare (anzi, da buon veneto: el paròn) di un'azienda per cui ho lavorato. Sto tipo una sera a Shenzhen ci offre la cena in un ristorante che si rivelerà, poi, pure mediocre dicendo: "vi porto ad assaggiare la migliore Anatra alla Pechinese di tutta la Cina". Si, appunto ... come andare a Gela per rimpinzarsi del "miglior Fegato alla Veneziana di tutta l'Italia".
    E il sino-nippo-fancazzologo ribelle che cova in me in quell'occasione cosa disse?
    "Sa che aveva ragione? Proprio deliziosa".
    Appunto.
    Simone

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  2. Caro Pietro
    Divertente, però non è esattamente come dici … perché ometti che molte sono capre che non distinguono una foto da una fotocopia e che molte da buone donne … hanno amori, simpatie e tangibili interessi
    Ciao
    Guido

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