I prodotti,
utili e preziosi, dei maestri più esperti vivono ancora come nelle antiche
botteghe
La capillare diffusione della media e della piccola
industria nel territorio delle Marche affonda le radici nell’antica tradizione
artigianale della zona che, ancor oggi, annovera numerosi manufatti di qualità
pregevole. Soffermandosi sui più importanti prodotti dell’artigianato
marchigiano vengono in mente, per cominciare, gli strumenti musicali: sono
molto note, infatti, le fisarmoniche di Castelfidardo, così come restano assai
famosi e apprezzati i liutai di Ascoli Piceno.
Suoni di fisarmoniche a Castelfidardo
A Castelfidardo non si può perdere una visita al Museo
Internazionale della Fisarmonica (via Mordini 1). Inaugurato nel 1981, è
ospitato in un piano del cinquecentesco palazzo municipale e raccoglie organetti,
fisarmoniche e altri strumenti musicali ad ancia libera, testimonianza di
un’industria che ha fatto dell’antica cittadina uno dei principali centri
mondiali della produzione di fisarmoniche. La superficie espositiva è
costituita da un’unica sala in cui è illustrata l’evoluzione di questo
eccezionale strumento. La storia narra che nel 1863 un pellegrino in visita a
Loreto ne portasse con sé un esemplare, e questo affascinò così tanto Paolo
Soprani da convincere il pellegrino a vendergli lo strumento. Per l’Italia fu
l’incontro con la prima fisarmonica. Per Castelfidardo fu, invece, l’inizio di
un’avventura industriale che portò nuova ricchezza alla città, fino ad allora
legata prevalentemente all’agricoltura. La raccolta del museo è articolata in
più sezioni: quella principale è costituita da 147 fisarmoniche, costruite fra
il 1840 e il 1968, molte delle quali perfettamente funzionanti. Da segnalare un
Harmoniflute del 1863 e il celebre Cheng cinese (1800 a.C. circa). Vi sono,
inoltre, tre sezioni dedicate a collezioni tematiche: la musica nelle monete,
la fisarmonica nell’iconografia e la fisarmonica nel francobollo. E, se siete
arrivati fino al museo, non potete perdere una visita al resto della città.
Situata in una posizione molto bella, alta su un colle che guarda il mare e
Loreto. Sotto si aprono le valli dell’Aspio e del Musone. Fanno parte della sua
storia i nomi degli Sforza e dei Malatesta, alle cui signorie la città
appartenne in tempi antichi. Del passato Castelfidardo mantiene la conformazione medievale del centro storico, così come il cinquecentesco convento degli Agostiniani. Chi è
interessato alle fisarmoniche, oltre al museo può visitare le fabbriche S.E.M. (via Squartabue) e Titano Victoria (via IV Novembre 61),
entrambe aperte ai visitatori il lunedì e il venerdì, previo appuntamento
telefonico. Nei pressi del Museo Internazionale della Fisarmonica, quello del
Risorgimento, nelle stanze di Palazzo Mordini (via Mazzini 5). Il materiale
documentario e i cimeli qui conservati sono stati ordinati a ricordo della
battaglia del 18 settembre 1860, combattuta a Castelfidardo dall’esercito
piemontese guidato dal generale Cialdini contro l’esercito pontificio agli
ordini del generale De Lamoricière. Il museo comprende tre strutture:
l’archivio, la biblioteca comunale e le sale espositive. In zona, inoltre, il
complesso monumentale dedicato ai Caduti e l’area della battaglia in cui si
trova il sacrario-ossario, dove sono conservati i resti dei soldati giunti da
diversi luoghi dell’Europa.
Pipe per il
mondo
Altro manufatto importante delle Marche sono le pipe
in legno di Cagli - situata 61 km a sud ovest di Pesaro –, di Loreto e di
Recanati. Sono svariati, infatti, i laboratori artigianali marchigiani
specializzati nella produzione di pipe. Fra i più noti, Seriacopo (via V. Rossi 136, Pesaro) e Non canta la raganella (via G.B. Pergolesi 4, Loreto). Il più
importante e meglio organizzato – le sue pipe sono vendute on-line, in
particolare negli USA, in Inghilterra e in Svizzera -, però, è Moretti (via dell’Olmo 4, davanti alla
casa di Giacomo Leopardi, piazzetta Sabato del Villaggio, Recanati). Questa
ditta, fondata nel 1968, produce circa mille pezzi unici all’anno. Sono
esemplari fatti esclusivamente a mano, anche su disegno dei clienti. Il
materiale utilizzato è l’erica arborea calabrese stagionata.
Dalla carta
alla pietra
Nota in tutta Italia è la carta di Fabriano, prodotto
alla quale la città ha dedicato il Museo della Carta e della Filigrana, presso
le Cartiere Miliani. Anche Pioraco produce artigianalmente questo prezioso
materiale, sfruttando le acque del vicino fiume Potenza. La lavorazione della
maiolica, diffusa soprattutto nella provincia di Pesaro e Urbino, risale al
Medioevo. Questo tipo di produzione, però, vide il suo momento di massimo
splendore durante il Rinascimento, grazie al mecenatismo dei Della Rovere.
Preziosi oggetti di maiolica oggi sono conservati nei musei civici di Pesaro e
di Urbania, così come nel Palazzo Ducale di Urbino. La terracotta, invece,
viene lavorata ad Appignano, in provincia di Macerata, e a Montottone, in
provincia di Ascoli Piceno. Anche Fratte Rosa, nella valle del Cesano, è meta
di chi vuole acquistare oggetti di terracotta. Nell’Ascolano, poi, si forgia il
ferro battuto, soprattutto a Comunanza e a Force, mentre Jesi è nota per gli
orafi. La lavorazione della pelle è di antica data a Tolentino e a Mogliano.
Nel Maceratese si producono anche oggetti in vimini, giunco e bambù. Offida,
nell’Ascolano, è conosciuta per il pizzo e il merletto a tombolo, prodotto alla
quale la città dedica una mostra ogni estate. Sempre nell’Ascolano va segnalata
la produzione di cappelli a Montappone (dove c’è un museo ad hoc) e a Massa
Fermana. L produzione di tappeti di lana, invece, è una peculiarità del
Pesarese, in particolare nella zona di Mercatello sul Metauro e di Cantiano. Nella
stessa area sono numerosi, infine, i laboratori artigianali specializzati nel
restauro dei mobili antichi e quelli che lavorano la pietra. Questi ultimi, in
particolare, a Cagli e a Sant’Ippolito.
La Riviera
del Conero
Con un litorale frastagliato e ricchi fondali, la
Riviera del Monte Conero, poco a sud di Ancona, ha molto da offrire al
visitatore. Il tratto di costa adriatica incluso fra Portonovo e Numana è
l’unica propaggine appenninica che, fra l’Istria e il Gargano, si affacci sul
mare. La zona vide la nascita del turismo già nell’Ottocento, quando l’alta
borghesia locale lanciò la moda dei bagni di mare. Il vero boom, però, si ebbe
nell’ultimo dopoguerra. Da allora il numero delle infrastrutture è cresciuto notevolmente,
tanto da ospitare milioni di turisti, italiani e stranieri, negli ultimi
decenni. Il Conero offre una giusta commistione fra natura (il monte, 572 m,
dal 1987 è sede del parco regionale omonimo, che copre un’area di oltre
cinquemila ettari) e piaceri della vita di mare. Nelle baie a falesia della
costa a nord di Numana, solitamente piccole e rocciose, l’acqua ha il colore
azzurro del mare croato e la trasparenza spesso permette di scorgere i fondali.
A Sirolo, antico centro della civiltà picena a 20 km da Ancona, le spiagge più
note sono quella dei Sassi Neri e quella delle Due Sorelle. La prima è lunga e
vasta; in estate la si può raggiungere solo a piedi o in autobus. La seconda è
dominata da due faraglioni gemelli, divenuti simbolo di questa riviera. Priva
di infrastrutture, bisogna portare con sé viveri e può essere raggiunta solo
dal mare oppure attraverso un sentiero piuttosto difficoltoso che si snoda
all’interno del parco. Durante l’alta stagione un traghetto la raggiunge da
Numana. Sempre lungo il litorale del Conero, nei pressi della bella spiaggia di
Portonovo (10 km da Ancona), in passato approdo delle navi turche, c’è l’antica
chiesa romanica di Santa Maria (XI sec.). Formata da una frana e circondata
dalla macchia mediterranea che ricopre il versante nordorientale del Monte
Conero, la spiaggia è ricoperta di ciottolo bianchi levigati dalle onde. Nei
paraggi si possono visitare il Fortino Napoleonico, la Torre di Guardia – un
tempo utilizzata per avvistare le imbarcazioni nemiche – e due laghetti
salmastri attorno ai quali ruotano diverse leggende. Altre spiaggette, più
piccole e riservate, si nascondono lungo le pendici della montagna, e la zona è
così piacevole da essere frequentata già in primavera, quando il Monte Conero è
ricoperto dal giallo delle ginestre, oppure in autunno, durante il periodo di
fioritura del corbezzolo.
Pubblicato su Itinerari
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