martedì 7 febbraio 2012

BRASILE – SEM GRAÇA


Il carnevale fuori stagione di Goiânia.
Un tripudio del kitsch senz’anima

Potrei vivere settecentocinquant’anni in Brasile e difficilmente riuscire a partecipare a un carnevale come un brasiliano doc, a sudare quanto lui/lei, saltare, travestirmi, cantare, muovere le anche, sbronzarmi, rotolarmi per terra, esaltarmi perché la band del momento esegue la hit del momento. Paresi alle anche e al cervello da freddo gringo, pure se bevo venti caipirinhas, deve essere questo il termine pseudoscientifico per definire la mia incapacità di partecipazione. Assistere, invece, da bravo spettatore, è un altro paio di maniche. Gli occhi sono uno scanner sempre acceso, la macchina fotografica una semplice prolunga dei medesimi dotata di memoria, azionata da abusate ansie feticistiche (immortalare = possedere). Se non con le anche e con la sudorazione, almeno con gli occhi e con le Nikon ho goduto diversi carnevali a più latitudini dello sconfinato Brasil. Ho amato l’orgia di ani e paillette a Rio, lungo l’ordinato Sambódromo o tra i busoni variopinti della Banda de Ipanema; ho apprezzato l’insostituibile mix di architettura coloniale, stradine acciottolate strette strette, alcol a fiumi e pazzoidi di tutte le razze a Olinda; ho sopportato con enorme fatica l’arrapamento costante nel vedere indie seminude a Manaus, in una magica unione di chiappe sudate e colori patinati ai ritmi del Bumba-meu-boi, provare per credere, ogni parola è insufficiente per descrivere; ho saltellato e alzato polvere dietro il trio elétrico di Ivete Sangalo a Salvador de Bahia. I Bastioni di Orione e oltre, dunque posso morire in pace. Sapendo, però, che alla follia non c’è limite, soprattutto in Brasile, mi sono lasciato abbindolare al volo quando mi hanno parlato del Carnagoiânia, un’edizione fuori stagione del carnevale di Goiânia. Mi aspettavo un carnevale in salsa caipira, contadina, vagamente ispirato alla versione locale del country, non importa se di matrice gringa, comunque di sapore/cultura goiana. E invece...


Bestemmiato l’imbestemmiabile per trovare un parcheggio, schivato un miliardo di bagarini che mi volevano rifilare un ingresso, una birra, uno spiedino, una cugina, eccomi nell’arena con i leoni e le tigri. Ci metto mezzo minuto a capire com’è l’andazzo. L’autodromo di Goiânia, trasformato per l’occasione in Sambódromo (ma senza samba), è un imbuto di un chilometro intasato di trios elétricos e di migliaia di testine saltellanti davanti, intorno, dietro, sopra, sotto. Ai piani alti dei trios urlano e schitarrano cocainicamente  gruppi baiani - Chiclete com Banana® e Aguia Branca© -, per forza di cose baiani e non goiani. La massa, là sotto, oltre ad avere i timpani deflorati e la birra al posto del sangue, è vestita tutta con la stessa magliettina schifosetta, l’abadá, quella che, come al carnevale di Salvador, si compra al posto del biglietto per partecipare a questa cretinata. Paghi caro, ti metti una divisa di gusto bassino, ti butti nella baraonda e segui la truppa. Senza la minima interpretazione personale, un costume su misura, un’idea originale. Quelli con il massimo della fantasia hanno tra le mani due lattine di birra Skol anziché una. Questo sarebbe il divertimento, e nei giorni che precedono il casino organizzato c’è chi si scanna, si indebita, ruba soldi alla madre, vende l’argenteria o la dentiera del nonno per comprare l’ambita maglietta del menga. Questo il girone A, riservato a chi vuole partecipare, sentirsi parte di qcosa (la grande famiglia delle magliette gialle, piuttosto di quelle rosse), andare da A - il punto di partenza dei trios lungo l’autodromo - a B - il punto finale, passando per un ettolitro di cerveja. Originalità zero, spettacolo totalmente importato dalla Bahia, tutto molto sem graça.



Il girone B, quello dei camarotes, è quanto di più chic l’élite locale - figli di papà fazendeiro o di deputato - apprezzi, forse ancor più della marcia in truppa lungo l’imbuto d’asfalto (i nobili, è noto, non amano faticare). Un posto in un camarote può costare l’equivalente di svariati salari minimi e dà diritto a: vista panoramica sulle masse dall’alto dei cieli; musica personalizzata nei momenti di fiacca sonora, fra un trio e il successivo; maglietta/uniforme personalizzata (si fa per dire) con il numero della scatola in cui ti hanno ingabbiato - il camerino in questione -; abbondanza di cibi e bevande non-stop, portate fino a esaurimento scorte o esplosione delle capacità intestinali da un esercito di camerieri sudati; la possibilità di godere della compagnia della propria turma, la combriccola di amigos, gomito-a-gomito, in un’unica orgia di sudore e aliti; un vago puzzo di aristocrazia da due soldi, giustificata esclusivamente dal portafogli di babbo più capiente di quello dei babbi del popolaccio che si agita là sotto; la rara e inestimabile opportunità di incocciare in un eroe delle novelas, un attore/rice della Rede Globo in carne e ossa che si lustra l’ego fra i comuni mortali.

Ma veniamo al girone C, quello più succoso, con più condimento e più dannati, il vero carnevale. Quello che l’élite chiama pipoca, pop-corn, in quanto è ciò che sobra, che rimane dopo aver tolto i piatti migliori dalla tavola. Per fare la pipoca prendete i seguenti ingredienti:
- troie da autostazione
- sbirri nazionalsocialisti incarogniti
- gente arrapatissima
- alcolizzati terminali
- venditori ambulanti di birre e di whisky mescolato a Red Bull, armati di vassoi e bicchierini
- vergini con l’abito (bikini) della domenica
- ladri e stupratori
- giornalisti e fotografi che tentano di fare il loro porco dovere
- energumeni della segurança che cercano, invano, di tenere calmini i più facinorosi
- clan di pusher rivali
- viados a caccia
- cacciatori di lattine di birra vuote - quelle della Coca o del guaraná non vanno bene, hanno una composizione metallica poco pregiata per rivenderle a chi le ricicla
- rambi su di giri a caccia di facce da spakkare

  Spruzzate il tutto con:
- fiumi di birra, alcolici pesanti e derivati
- qualche sacco di patate pieno di cocaina
- i vestiti più kitsch che riuscite a immaginare
- testosterone a camionate
- un forte aroma di alcol, sudore, urina, sperma, fumo di spiedini
- cappellini e fazzoletti imbecilli in testa ai più imbecilli, sponsorizzati da qualche mafioso politico locale a caccia di voti (per nulla imbecille)
- tonnellate di immondizie non riciclabili


Come ciliegine e candele sulla torta e nella ciotola del pop-corn, aggiungete le seguenti macchiette:

1) un cretino di mezza età che in garage si è costruito un elmetto da capocantiere con incastonati due porta-lattine di birra, il cui contenuto è convogliato non-stop direttamente in gola da un intricato sistema di tubi e pompetta portato sulla groppa a mo’ di zainetto, tipo aspersore di verderame per le viti da uva;

2) un cinghiale ubriaco, parte di una turma di cinghiali ubriachi in tutto e per tutto uguali a lui - stesse magliette, stessa adipe, stessa mancanza di trombate da anni luce -, che, sbronzo marcio, si rotola a terra, eiacula acqua con uno spruzzino da giardiniere addosso alle ragazze di passaggio, pensando che queste si sentano calorosamente lusingate da una tecnica di abbordaggio così galante e aprano le gambe in suo onore; lo stesso cinghiale che, dopo la milionesima spruzzata a vuoto, e il milionesimo vai tomar no cu, esgoto (vaffanculo, fogna) ricevuto in cambio, affoga la frustrazione in un dolcetto al cioccolato comprato da un venditore ambulante, se lo spalma in faccia, rotola per terra, la gente lo osserva schifato, come un musulmano osserverebbe un maiale nel fango; lo stesso cinghiale che, in un improvviso risveglio dei sensi, ha un guizzo, si rialza e, senza motivi apparenti (forse ha telecapito ciò che penso di lui), comincia a prendere a spallate le impalcature che sorreggono me (mi sono appostato su una torretta per fotografi, per meglio godermi il peggio) e le mie sante Nikon, facendomi temere il peggio;

3) una coppia uscita da un luna-park, costituita da un lui palestrato, pantaloni mimetici da Africa Korps, torso scolpito nudo, bandana arrotolata a banana sulla fronte, ghigno omicida sul volto, lattina di Skol in una mano, fidanzatroia nell’altra; una lei uscita da un annuncio sui giornali (faccio tutto per trenta reais), zeppe da cubista, unghie dei piedi laccate e leccate di rosso, pantaloni aderenti di lycra fucsia, lordosi ai limiti della rottura della spina dorsale, top striminzito e capezzolare, lineamenti da bambola di gomma da sex shop, sguardo spermatico elargito a 360°, il tutto a malapena tenuto a bada dal rambo-padrone, che le stritola una mano mentre lei occhieggia i membri dell’intero autodromo;

4) un mauricinho - camicina stirata dalla donna di servizio, mocassini, facciozza da ragazzo per-bene-figlio-di-mamma, conto in banca non sottozero, saldi principi e pochissima gnocca vera, almeno del genere riportato al punto 3 (di solito la fidanzata corrispondente, quando c'è, è una patricinha, bionda, boccuccia a confetto, saldi principi, ambizioni di matrimonio in chiesa, prima causa della debolezza del conto bancario del mauricinho) - ARRAPATISSIMO; questo mauricinho, al momento privo di patricinha, si deve essere imposto scientificamente di raccogliere qualcosa: Skol in mano, espressione troppo seria e tesa - tipo entro da McDonald’s e apro il fuoco - per raccogliere qualcosa di buono, sintomo di un attizzamento fuori dal comune, muove vorticosamente il collo da gallina, come un faro che scandaglia ogni ragazza femmina sopra i dodici e sotto i settanta che gli passi davanti (è piantato in mezzo all’asfalto, a fare da tappo a chi passa, nella vana speranza che qualcuna gli sbatta contro; nessuna gli sbatte contro); vani tentativi di baciare al volo quelle più carine, che lo schivano schifate e sputanti; dopo una mezz’oretta di tecnica così ammaliante - il tipo ha uno sguardo talmente allucinato che non riesco a staccargli gli occhi di dosso -, deve aver pensato che il suo look sia troppo perbene, per cui decide di infilarsi uno schifoso fazzoletto-propaganda dell’ennesimo candidato politico sulla zucca, a mo’ di preservativo; il risultato è quello che è, tragico, tanto che me ne vado, per non vederlo piangere; dopo mezz’ora, quando ripasso, il mauricinho è ancora lì che rotea collo, pupille, Skol e aspettative; domani, oltre che con un bel mal di testa da dopo-sbronza, si deve svegliare con un torcicollo della madonna (qui Nossa Senhora da Aparecida).

Mescolate il tutto, frullatelo per una notte intera, fino all’alba, e con un cucchiaio (rete da tonni) tirate via la schiuma di immondizie - bicchieri di plastica, lattine vuote di Skol scampate ai riciclatori, adesivi e cappellini stronzi di candidati stronzi, preservativi usati, reggiseno saltati, portafogli svuotati e senza più un padrone -, quindi versate il contenuto tiepido in una terrina di coccio. Ecco servito il carnevale più sem graça che c’è (dopo quello italiano, ovvio).


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