martedì 1 novembre 2011

MALESIA, HONG KONG, COREA DEL SUD – FEDE TAROCCA


Fate largo, e aprite il portafogli: in città sono sbarcati i nuovi bonzi. Falsi.

La prima volta che li vidi ci misi un po’ a capire che cosa stesse succedendo. Stavo fotografando la Porta de Santiago, a Malacca. Non che la Malesia pulluli di bonzi, e vederne due vicino all’antico ingresso dell’ex fortezza portoghese era strano. Quando, poi, accerchiarono un anziano turista inglese vestito da cliché (braghini corti, cappellino cretino) capii che qualcosa non andava. Fin da quando, durante l’adolescenza, lessi Siddharta del Buddismo avevo imparato almeno una cosa: i monaci e le monache buddiste NON chiedono l’elemosina, se non in termini di offerta di cibi, presso le case dei fedeli, all’alba. I due avvolsero di chiacchiere il gonzo di turno, l’unica cosa che captai del loro dialogo era ‘offerta per il monastero’. Da che il mondo è mondo e Buddha è Buddha, se proprio vuoi fare un’offerta al monastero vai al monastero. Non regali denaro a questuanti ambulanti. Inforcai Nikon & zoom come se fossero un M-16 in funzione antiscam, immortalai il più lesto dei due mentre, in cambio di qualche ninnolo comprato un-tanto-al-chilo in qualche negozio di articoli religiosi prelevava, con la propria mano, una banconota di quelle serie dal portafogli del credulone britannico. Questi inizialmente gli aveva offerto una banconotina sottodotata, in cambio del ninnolo-ciarpame, e il finto bonzo ci aveva tenuto a sottolineargli che quella banconotona lì - prima solo indicata con l’indice e le chiacchiere, poi prelevata direttamente dal salvadanaio con i propri artigli - era più adeguata alla salvaguardia del santo monastero. Misteri d’Oriente, la religione pervade tutto, così mi hanno detto in agenzia turistica – questi i pensieri che immaginai passassero in quel momento per la testina del turista mentre veniva visibilmente, passivamente derubato.




Raccontai l’aneddoto a una delle due proprietarie del Limau Limau Café, una piccola oasi di pace & delizie che avevo scovato di fianco a una moschea, nel cuore di Chinatown. Di proprietà di due sorelle gattare (una parete del loro caffè è addobbata con l’intero campionario della loro collezione di gatti), identiche come gocce d’acqua, una mi aveva adottato e mi ricopriva di chiacchiere ogni volta che entravo nel locale, l’altra mi ignorava. Entrambe avevano imparato a fare lasagne commestibili, a prova di bolognese, copiando la ricetta da un libro. Quando raccontai l’episodio alla mia amica sembrò prendere fuoco: ‘Sono truffatori cinesi, travestiti da monaci. Sono venuti pure qui a provare a estorcerci danaro. Come abbiamo capito chi realmente fossero abbiamo minacciato di chiamare la polizia, se ne sono andati a passo sostenuto’.


Altri luoghi dell’Asia, stesso business. A Hong Kong, se avete la faccia da turista e gironzolate fra le trafficatissime vie di Tsim Sha Tsui, oltre a dover fare il salto agli ostacoli schivando disoccupati indiani assoldati da sarti e da spacciatori di orologi falsi per proporvi il completo/Rolex del secolo, ogni tanto vi imbatterete anche in qualche falso bonzo. Lo riconoscere subito dal sorriso falsissimo con il quale vi accoglierà. Sì, voi, proprio voi, come se foste vecchi e cari amici. Tra la folla di teste camminanti vi avrà scorto mentre vagate senza meta su uno dei marciapiedi a maggiore densità umana del globo. La manina tesa e la chiacchiera logorroica a seguire. Scappate.


Il luogo, però, in cui ho maggiormente visto questo fenomeno è nei dintorni del tempio Jogyesa, nel centro di Seul. Tempio bellissimo e davvero buddista. I finti bonzi non si azzardano a varcarne l’ingresso, ma il marciapiedi subito fuori ne è infestato. Prede preferite i babbei coreani che arrivano con le escursioni religiose in pullman. Finito il giro turistico, prima di rientrare nell’autobus incappano in un questuante mascherato da monaco. Tunica arancione o grigia, a volte dotato pure di stampelle. Stessa cosa sul marciapiedi opposto, alle fermate degli autobus o lungo il grande imbuto dello shopping per turisti, la vicina Insadong. Qui, più che altrove, i bonzi taroccati sembrano preferire gli indigeni, mediamente più sensibili alle problematiche religiose che non i turisti occidentali. Le manovre sono le stesse: mi scusi, chiacchiere a go-go, faccia interdetta dell’intervistato/a, proposta del ninnolo (venduto nei negozi specializzati a mezzo metro dalla fermata dell’autobus), indice avido che punta il portafogli/borsa/cassaforte. Qualche stolto, ogni tanto, becca e paga lo stipendio al religioso part-time. Altri, soprattutto donne (forse conoscono già la solfa, forse sono prevenute in generale nei confronti delle scimmie maschie), schivano quasi schifate l’importuno molestatore.
Cina, quand’è che richiami i tuoi soldati e dai loro un vero lavoro?






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