domenica 6 maggio 2012

INDIA - VITA IN ASHRAM


Un solo requisito viene domandato a chiunque, sannyasin (‘discepolo’, in sanscrito) o meno, per entrare nell’Ashram (centro di meditazione): un test negativo dell’AIDS, rilasciato in giornata dal moderno ospedale situato in prossimità dei cancelli della comunità, al numero diciassette di Koregaon Park, Puna (Maharashtra), India. L’entrata è a pagamento, una piccola tassa che serve a coprire le molte spese pubbliche dell’ashram. La prima volta che si entra viene rilasciato un pass con la propria foto e la data, da esibire agli incaricati che sorvegliano i cancelli della comunità. La funzione del test dell’AIDS è, oltre a quella ovvia di proteggersi dalla malattia in un luogo in cui i contatti fisici sono incoraggiati - il mistico Bhagwan Shree Rajneesh ha sempre stimolato i suoi discepoli a liberarsi dalla frustrazioni attraverso la piena soddisfazione di qualsiasi sentimento represso, sesso incluso -, anche quella di evitare un’ulteriore scusa al governo locale, da sempre ostile alla comunità, per impedire loro di andare avanti. Se qualche caso di sieropositività venisse scoperto all’interno dell’ashram, la comunità avrebbe vita breve.
‘Osho’, così fu ribattezzato il mistico fondatore della ‘setta’ poco prima della sua morte (avvenuta il 19 gennaio del 1990), sempre volle che la sua creatura, la comunità sorta fra mille avversità, fosse considerata esclusivamente come un grande centro di studio e di meditazione. Mai volle dare all’ashram la definizione di ‘setta religiosa’, essendo contro ogni forma classica o alternativa di religione, e ricercando piuttosto un senso generalizzato di ‘religiosità’. Ed è proprio nella differenza fra questi due termini - ‘religione’ e ‘religiosità’ - che Osho costruì le fondamenta della sua dottrina. Bhagwan elaborò una teoria atea secondo la quale il fine ultimo di ogni persona è lo stato di ‘illuminato’, di persona in pace con sé, con il mondo e con un’eventuale entità superiore, - di cui, però, nessuna prova d’esistenza è data agli uomini. Lo stato di ‘illuminazione’ sarebbe raggiungibile solo seguendo una crescita interiore basata sulla e ottenuta con la meditazione. L’ashram fu costruito, dunque, come centro di meditazione e di studio di tutte le scienze, tradizionali o meno, delle culture occidentale e orientale.



La giornata, all’interno della comunità, viene passata a seguire le quattro meditazioni di base: la Dynamic, alle sei del mattino; la Nataraj, dalle 10,30 alle 11,30; la Nadabrahma, dalle 15 alle 16; e la Kundalini, dalle 16,15 alle 17,15. A queste vengono spesso aggiunti ‘gruppi’, corsi particolari, a pagamento, di meditazione, di massaggio, di arti marziali, di medicina (agopuntura, mora machine, ecc.), di arte (pittura, musica, fotografia, scultura), di tennis, e anche di yoga, di danza, di astrologia, d’ipnosi, d’inglese, sauna, pranoterapia e molti altri. A Puna, insomma, risiede il maggior centro mondiale di studio del fisico e della mente, ove il meglio delle dottrine orientali e occidentali si fondono in una ‘multiversità’ del sapere.
La cosa che più balza all’occhio del visitatore esterno, non appena varca i cancelli dell’ashram, oltre alle tuniche amaranto - in passato arancioni - che tutti indossano (per formare un’unica ‘energia’), è il cosmopolitismo del luogo: la popolazione dei sannyasis è costituita da persone di qualsiasi angolo della terra, con una forte dominante tedesca, italiana e giapponese: alcuni tra i popoli più lavoratori al mondo, dunque anche i più bisognosi di una ricerca di interiorità, troppo spesso dimenticata a favore del lavoro.
Cileni, russi, sudafricani, svedesi, statunitensi e brasiliani vivono nella comunità di Puna, lì con una regola comune: dimenticare nazionalità e nome, si è cittadini del mondo, il passaporto, le bandiere e la propria lingua d’origine vengono lasciati nel comodino, le donne diventano Ma e gli uomini Swami, seguiti da due nomi indiani dai significati profondi, come ‘consapevolezza’ o ‘colui che è se stesso’. La lingua ufficiale, nonostante l’enorme difficoltà per apprenderla dei giapponesi (e di pigrizia degli italiani), è quella che, a detta di molti, prima o poi diventerà la ‘lingua universale’: l’inglese (cinese permettendo).
L’organizzazione dei servizi, gestita da molti tedeschi, è esemplare: il lavoro viene eseguito volontariamente, in cambio di qualche piccola agevolazione, aumentabile nel tempo: cucina, giardinaggio, amministrazione, ufficio stampa, vendita presso il negozio di libri, di musica o di vestiti, così come il servizio ai bar, ai cancelli d’entrata, al pronto soccorso, all’ufficio postale o all’agenzia di viaggi sono solo alcune delle mansioni che i più volenterosi o i più bisognosi di vitto e alloggio (e comunque chi nell’ashram ci passa mesi o anni) svolgono.
I tre ristoranti  della comunità - quello indiano, quello giapponese e quello internazionale -, terrorizzati dalla sporcizia e dalle molte malattie del resto dell’India (basta uscire dai cancelli per cambiare radicalmente panorama), offrono piatti iperigenici ed esclusivamente vegetariani: pizze, fettuccine al pesto, goulash vegetale, carne di soia, ecc.




Un po’ di storia
L’ashram di Puna è un’isola all'interno del subcontinente indiano, con regole, volti, lingue e culture nettamente differenti dall’ambiente circostante. Basta uscire dai cancelli della comunità, prendere un risciò e farsi condurre in centro, per sentire l’enorme diversità di ritmi e di atmosfere che ti circondano. Il rapporto con lo Stato ospite che, a mala pena tollera questa comunità antireligiosa e antinazionalista sul proprio territorio, è sempre stato difficile, fin dai primi tempi, quando Bhagwan la fondò, parecchi anni addietro. L’ashram è sempre stato visto dagli esterni come il ‘tempio del peccato’, dove il sesso libero regnava sovrano e il ‘comandante’ Osho si faceva servire dai suoi schiavi, facendosi comperare (durante il periodo in cui la comunità si trasferì nell’Oregon) numerose Rolls Royce. Su tali dicerie giornali scandalistici hanno campato per anni. ‘Giornalisti’ prevenuti e frettolosi si limitavano a visitare la comunità per poche ore, senz’alcuna documentazione sull’argomento o elasticità mentale, limitandosi poi a trascrivere articoli precostituiti in redazione o ‘notizie’ d’agenzia. Pochi sono i giornalisti che hanno passato un certo tempo all'interno della comunità, vivendo sulla propria pelle le tante situazioni positive che vi accadono.
La totale anarchia promossa da Bhagwan contro ogni forma di governo, religione e nucleo familiare, ha sempre fatto sì che gli stati a cui veniva richiesto asilo lo rifiutassero a priori. D’altronde, quale mai sarebbe potuto essere il governo che permettesse l’ospitalità, sul proprio territorio, di un predicatore del ‘non-governo’?
Dopo l'esperienza americana - la comunità dell’Oregon finì malamente, in seguito alla fuga con i fondi comunitari della compagna di Osho -, i sannyasis si videro cacciati da ogni nazione in cui richiedessero asilo, e furono costretti a fare ritorno in India, terra-madre di Bhagwan, che già li aveva ospitati in precedenza.
Nonostante le molte polemiche e disaccordi, oggi la comunità di Puna vede la folta presenza anche di molti sannyasis di origine indiana. Bisogna notare, però, che costoro si distaccano parecchio dall’indiano-medio: appartengono generalmente a un ceto medio-alto, benestante, piuttosto colto, prevalentemente proveniente dalle grandi città (Delhi e Bombay), ove più sviluppato è il sapere internazionale e il numero degli studenti universitari è maggiore. Il popolo di ‘bassa’ estrazione (soprattutto culturale) della città di Puna, invece, continua a vedere la comunità come un luogo pieno di sporcaccioni atei, drogati (una delle regole d’oro, all’interno dell’ashram, è proprio il divieto assoluto di consumare sostanze stupefacenti) e un po’ folli (opinione condivisibile, quest’ultima, ma in senso positivo). Verso il tramonto si vedono giovani indiani camminare attorno al perimetro della comunità, nella vana speranza di intravedere da una fessura qualche ‘sporca’ donna nuda, in atto amoroso.
Da Osho il sesso libero venne sempre indicato come tappa fisicamente necessaria per arrivare alla sublimazione dell’energia sessuale, impossibile da reprimere così come hanno imposto tutte le religioni in millenni di storia. Il voyerismo degli ‘esterni’, dunque, non è che una delle reazioni della società indiana che circonda la piccola isola culturale di Puna.
Per quanto riguarda, invece, la fama di ‘comunità d’élite’, in cui i ricchi discepoli usavano abbandonare ogni loro avere per farne dono al loro ‘capo’ carismatico, bisogna precisare che siamo di fronte a un ulteriore luogo comune, da sfatare. Le tante Rolls Royce di Osho dei tempi dell’Oregon sono sempre state regalate volontariamente dai sannyasis ricchi, di cui il mistico ha fatto uso ma non ha mai posseduto un singolo bullone. Molti sannyasis dispongono di buone riserve economiche, alcuni sono ricchi californiani provenienti da esperienze nel cinema, altri hanno alle spalle fortune accumulate che, arrivati a un certo punto della vita, hanno deciso di destinare a una causa ritenuta giusta, secondo una scelta spontanea e ben meditata. Non sono, cioè, miliardari fessi che  si sono fatti fregare dal guru di turno, ma gente colta e consapevole che ha fatto una scelta a lungo ponderata.
Bhagwan, d’altro canto, non ha mai predicato una forma di religiosità che volesse proteggere, attraverso l’elemosina, i più poveri. Tutto il contrario. Ha sempre sostenuto che nelle società c’è chi nasce ricco e chi povero, e alcuni, dotati d’intelligenza, fortuna e tenacia, riescono ad arricchirsi, giustamente. La ricchezza materiale, dunque, è sempre stata vista come un giusto bene terreno, a disposizione di alcuni, ma impossibile da allargare a tutti. Ecco, quindi, una spiegazione all’edonismo ostentato della comunità, assai visibile attraverso orologi da capogiro e macchine di lusso, come espressione culturale alternativa alla millenaria carità gratuita e lacrimevole promossa dalle tante religioni.




Igiene e meditazione
L’unico posto in tutta l’India in cui sia possibile bere acqua dal rubinetto è, probabilmente, l’ashram di Puna, da cui sgorga purificata. I cibi sono tutti altrettanto ‘sicuri’, accuratamente controllati prima di essere serviti. I servizi igienici sono comuni, non c’è distinzione fra uomini e donne.
La giornata viene passata da una meditazione all’altra, intervallate dal pranzo o la cena presso i ristoranti dai nomi mistici, e a bere grandi quantità d’acqua - ne vengono consigliati almeno tre litri al giorno - per purificarsi.
Nell’ashram il denaro non circola. Gli acquisti, sia per il cibo sia per i souvenir (libri, musica, abiti), vengono cancellati sui cosiddetti food-pass, cartoncini che indicano stampato il quantitativo corrispondente in rupie con le quali sono stati comperati all’entrata.
Ogni giorno, alle 18,30, i cancelli dell’ashram si chiudono, e all’interno vi rimangono solo coloro che vogliono prendere parte al Darshan, il discorso quotidiano di Osho, registrato e riproposto su di un grande schermo dopo la sua morte. Questo utilizzo della videoregistrazione non ha tolto spettatori al rito, ma anzi, nuovi sannyasis arrivano a Puna sempre più numerosi nel tempo, nonostante la dipartita del loro ‘capo’ carismatico. In questa occasione tutti si vestono esclusivamente di bianco - il colore della purezza -, mentre l’usuale tunica amaranto viene indossata in ogni altro momento. Si deve essere ben lavati e senz’alcun profumo: negli ultimi tempi Osho era molto malato e debole, e ogni tipo di microbo o di essenza artificiale avrebbe potuto farlo peggiorare. Dunque, ancor oggi, dopo la sua morte, all’entrata del luogo di ritrovo vigilano gli sniffers, gli ‘annusatori’ che, accostando discretamente il naso ad ogni persona che entra, controllano che nessuno si sia cosparso di profumi o di repellente per le zanzare, continuando l’usanza come se Bhagwan fosse ancora presente. Tutti i sannyasis puntualizzano come Osho non sia ‘morto’, bensì abbia solo ‘lasciato il corpo’.
Il Darshan è preceduto da una musica, eseguita dal vivo, dolcissima e coinvolgente, durante la quale chi lo desidera danza liberamente. Ed è questo uno dei momenti più belli della vita in ashram, che un po’ ne rappresenta tutto lo spirito: la totale libertà, mentale e fisica, senz’alcuna inibizione né timore di essere deriso perché ‘si balla male’, cosa normale in una qualsiasi discoteca fuori dalla comunità. Qui tutti possono danzare come, quando e dove pare loro, senza venire osservati, criticati e giudicati.
L’apice di esaltazione, scandito dalla musica in un crescendo a zigzag verso un’esplosione finale, culmina nel grido di ‘Osho!’, un boato che per qualche secondo scuote l’atmosfera dell’ashram. Segue qualche minuto di silenzio, in cui meditare, per poi passare al discorso - che generalmente dura un’ora - sotto forma di risposta alla domanda posta da uno dei discepoli. Dopo pochi secondi di riflessione Osho comincia a rispondere, intercalando pensieri semplici ma profondi e chiari a barzellette che fanno sbellicare dalle risa e riflettere al tempo stesso. Bhagwan, a differenza degli altri ‘guru’ che affollano l’India, si è sempre distinto per la totale mancanza di serietà, voluta e ostentata, durante le sue prolusioni: un profondo odio per l’atteggiamento serio nel dire qualsiasi cosa, sintomo di un autostima eccessiva, è sempre stato oggetto di derisione da parte del mistico; un ulteriore segnale a non considerarsi centro del mondo, bensì a vedersi come piccola parte di esso.
Ecco un esempio di discorso, tratto da uno dei tanti Darshan:

Domanda -:«Amato Osho, a volte mi sento estasiato dall’idea che questa comunità stia lentamente divenendo un unico corpo, un organismo a sé, rappresentante ciò che il mondo intero dovrebbe essere. Sono ancora una volta un utopista? Sto sognando? Per favore, dimmi di no...»
Osho - «Sarjano, è un sogno che si sta facendo realtà, ma è un sogno - non il tuo sogno, ma quello di tutti coloro che si trovano qui ora. È impossibile trovare un uomo senza una sua utopia di un mondo migliore, più umano, più bello, più amabile e pieno di amore; un mondo senza conflitti, guerre, discriminazioni, un mondo sensibile, compassionevole, comprensivo. Ogni essere umano porta in qualche angolo nascosto della propria coscienza questo sogno. E non è un fenomeno nuovo.
Fin dall’inizio questo sogno era presente nell’umanità, e sono stati fatti sforzi per farlo divenire realtà. Quasi tutti sono falliti, non a causa di qualche difficoltà intrinseca, ma a causa della vastità del mondo che ci circonda. I tuoi sogni non corrispondono a quelli del mondo intero, che sono ben più potenti dei tuoi. Il sognatore è un essere molto delicato, fragile, almeno quanto i suoi sogni.  È una comunione di sognatori.
Avevamo creato un sogno negli Stati Uniti, ma il governo locale non lo poteva tollerare, poiché il sogno di vivere in pace e con amore in un’unità organica va contro tutte le politiche, contro tutti i potenti.  È contro le cosiddette religioni, perché se tu costruisci un sogno qui e ne fai realtà, chi ti potrà seccare col suo inferno, paradiso e dio?
Bertrand Russell ha ragione quando dice che se le persone fossero davvero felici, allora le religioni scomparirebbero. Le religioni hanno un enorme interesse nella miseria delle persone. Le persone devono rimanere miserabili; altrimenti cosa accadrebbe al Cristianesimo, all’Induismo, al Giudaismo, e a milioni di preti che vivono come parassiti perché tu sei miserabile?
Nella tua miseria hai bisogno di qualche forma di consolazione! Prima ti fanno sentire peccatore, poi ti obbligano ad andare in chiesa a confessarti dal prete. Il prete ti ‘multerà’ e pregherà Dio per te, affinché tu venga perdonato - è uno stupido gioco!
Ed è andato avanti per secoli, e comunque l’uomo è ancora così rimbecillito che non riesce a vedere in che maniera viene manipolato. Quando la comunità in America venne distrutta - quasi rasa al suolo dai bulldozer - in modo criminale, qualsiasi persona al mio posto avrebbe gettato la spugna, e avrebbe smesso di seguire l’utopia; ma io sono ostinato! Continuerò fino all’ultimo respiro... o anche dopo. Sarjano, quello che sta accadendo qua ora è che il sogno si sta facendo di nuovo realtà. Ed abbiamo imparato così tanto dalla distruzione della comunità in America, non è stata un’esperienza malvagia. Imparare è sempre un bene, e si apprende anche fallendo. La comune ha avuto successo, eccome! Adesso le cose stanno migliorando, le persone ritornano e con più esperienza. Qualcosa di totalmente nuovo, un corpo più organico, non un regime dittatoriale; non l’obbligo di dieci o dodici ore di lavoro, ma più gioia di vivere. Ognuno in base ai propri bisogni e alle proprie scelte. Stiamo facendo di tutto per non urtare l’individualità di nessuno, non vogliamo sacrificare qualcuno nel nome della comunità. Al contrario, stiamo rendendo gli individui forti, dato che questa sarà la forza della comunità, e i semi hanno cominciato a diffondersi.
Non ci interessa andare in paradiso; noi vogliamo il paradiso qui. Tutto dipende dal nostro amore, dal nostro silenzio, dalla nostra pace, dalla nostra meditazione, e dall’essere attenti a non ricadere nelle trappole dei tanti interessi.
Una volta che l’albero è divenuto forte, e ha affondato le radici nella terra, sarà difficile abbatterlo.
Io credo nella terra. Io recito Zarathustra che disse ai suoi discepoli: «non tradite mai la terra». Tutte le religioni hanno tradito la terra. La terra è l’unica realtà.
Tutte le altre cose delle quali le religioni parlano è solo falsità per distrarti. Noi non vogliamo religioni che predichino un paradiso futuro dopo la morte. Il nostro interesse è qui, ora - prima della morte. Perché mai dovremmo aspettare dopo la morte?
Questa è stata la routine fino ad oggi perché le persone non sono state capaci di creare qualcosa di bello in vita. Hanno iniziato a rimandare a dopo la morte perché nessuno sa cosa c’è dopo. Non male come manovra tattica.
Io non voglio rimandare nulla, neanche per domani. Tutto ciò che si può fare ora andrebbe fatto ora. Non tradite la terra; non tradite il presente. Non tradite i vostri sogni; i vostri sogni sono la vostra vera anima.

A una festa un vecchio vescovo, stanco degli impegni pubblici, sprofondò con tutto il suo peso su di una sedia.
La padrona di casa immediatamente arrivò proponendogli una tazza di tè.
«Niente tè», brontolò il vescovo.
«Caffè?»
«Niente caffè», fu la risposta solenne.
«Scotch con soda?»
«Niente soda».

Sarjano, semplicemente evita lo scotch. Evita lo stato di incoscienza. La soda è ottima. Sii chiaro nelle tue idee, sii conscio dei tuoi sforzi. Il sogno sta affondando le radici e spero che presto potremo vedere i fiori. Non sono così lontani».
(Osho - The Invitation, 21 agosto 1987, discorso mattutino).



L'Iniziazione
Ogni domenica, alle 9,30, all'interno della Buddha Hall, chi lo desidera riceve il sannyas, lo status di discepolo, nel corso di una cerimonia molto suggestiva. L’essere sannyasin non implica alcuna rinuncia né l'appartenenza a una nuova religione o setta. Corrisponde, semplicemente, a riconoscersi come persona meditativa, alla ricerca di un nuovo sistema di vita e di una maggiore conoscenza di se stessi. Le uniche ‘regole’ da seguire - nulla, nell’ashram, è da intendersi con la serietà e la rigidità di qualsiasi altra forma di associazione civile o religiosa, dunque anche il termine ‘regola’ sembra eccessivo per definire una serie di comportamenti - sono il cambiamento del proprio nome, e l’indossare una tunica amaranto per la meditazione ed una bianca per il Darshan.
Ai piedi della poltrona in cui Osho sedeva si radunano gli aspiranti sannyasis, circondati da un pubblico di amici, e di curiosi; un’orchestrina scandisce il ritmo, in una perfetta mescolanza di strumenti orientali e occidentali, mentre cinque o sei ‘iniziatori’ - la cui funzione è di ‘passare’ il sannyas ai nuovi arrivati - presiedono alla cerimonia. Il discepolo si siede al centro del gruppo di persone, su un tappeto, e scambia qualche parola con l’iniziatrice, cadendo lentamente in meditazione. Viene aiutato a concentrarsi per mezzo di un cristallo passato sulla fronte o sul petto, o attirandone lo sguardo su di una barra trasparente, entro la quale oscillano porporine colorate. Il discepolo, totalmente rilassato, si lascia accompagnare, fino a distendersi, su un grande cuscino che un iniziatore provvede a sistemare alle sue spalle, dove giace per qualche minuto. L’iniziatore gli consegna quindi un attestato di sannyasin, sul quale viene riportato il suo nuovo nome, scelto a caso fra una vasta gamma. La musica coinvolgente fa da continuo sottofondo alla cerimonia, fino al momento della consegna della collana con la foto di Osho.
A volte anche alcuni bambini ricevono il sannyas, nonostante i genitori vengano scoraggiati a portare i loro figli nella comune: non si vuole dare l’impressione all’opinione pubblica che l’ashram cerchi di ‘indottrinare’ chi non lo desideri. Tuttavia molte sono le famiglie che ritengono opportuno non dare ai loro figli un’educazione ‘classica’ (casa & chiesa). I più giovani, generalmente dotati di energia in eccesso e, dunque, poco portati alla meditazione, frequentano un edificio a parte, a cui è annessa la scuola; raramente si vedono all’interno dell’ashram ‘dei grandi’.  È  vero, però, che la comunità, oltre a non avere nazionalità, è anche senza età.


Puna come Ibiza?
A chi sono ignoti i 650 libri tratti dalle parole di Bhagwan - tanti ne sono stati editi -, e lo immagina come uno dei tanti ‘guru’ indiani predicatori di religioni alternative e di astinenze terrene, arrivare a Puna per la prima volta fra le dieci e le undici di sera può offrire una doccia gelata. A quell’ora, infatti, apre il bar della comunità, del tutto identico ad un luogo di ritrovo turistico in stile ibizeco, in cui si passa il tempo bevendo piña colada e facendo conoscenza con altri, discorrendo del più e del meno. E queste sono le stesse persone che di giorno, con un alone profondamente mistico e serio sul volto, hanno frequentato le meditazioni più importanti, con dedizione totale.
Di notte i sannyasis si trasformano, come camaleonti, in una folla bisognosa di divertimento, che trova risposta a tale esigenza nelle molte feste organizzate sui tetti dei maggiori alberghi della città, affittati appositamente da qualche sannyasin per lucro. Alcuni si pagano la permanenza a Puna in questo modo, organizzando feste a pagamento. D’altronde questa è la legittima richiesta dei frequentatori della comunità, generalmente abituati a tali forme di divertimento nei Paesi d’origine, e mancanti nella maggior parte della mistica India.
Il carattere ‘godereccio’ del sannyasin in passato ha causato non pochi problemi in questo strano Paese. La rinuncia a molte forme di gioie terrene, volute dalle molte religioni presenti nel subcontinente, ha fatto sì che i discepoli di Osho spesso fossero mal visti dai governi locali. Anni fa, sbarcare all’aeroporto di Bombay e venire riconosciuti come sannyasis, equivaleva a farsi rifiutare il visto d’entrata e ad essere immediatamente rispediti in patria. Ultimamente, tuttavia, i rapporti sono decisamente migliorati, anche grazie alle grandi quantità di denaro che gli stranieri portano alla città: case e condomini sorgono in continuazione nei dintorni dell’ashram e, nel periodo di ‘alta stagione’ (dicembre-febbraio) la comunità vede la presenza di circa 15.000 persone, portatrici di dollari. Molti abitanti locali, inoltre, trovano lavoro all’interno dell’ashram, e buona parte del denaro di questi ‘turisti’ atipici finisce nei canali commerciali della città.


OSHO (Bhagwan Shree Rajneesh), 1931-90
L’11 dicembre 1931 Osho nasce a Kuchwada, un piccolo villaggio nello Stato del Madhya Pradesh, India. A 26 anni insegna sanscrito, e nel 1958 viene nominato professore di filosofia presso l’università di Jabalpur, dove insegna fino al 1966. Dopo nove anni d’insegnamento, inizia a viaggiare attraverso tutta l’India, tenendo discorsi pubblici e confrontandosi con leader religiosi in accesi dibattiti.
Nel 1969 si trasferisce a Bombay, dove comincia a iniziare i suoi discepoli al Sannyas, uno status meditativo che non implica alcuna rinuncia terrena: Osho, allora chiamato Bhagwan Rajneesh, sottolinea come la sua ricerca non sia una nuova religione, bensì una via verso la religiosità, una scoperta più profonda di se stessi. I primi occidentali cominciano ad arrivare. Nel 1974 viene costruito l’ashram di Puna, e per circa nove anni Osho tiene, quasi ogni mattina, discorsi in cui affronta tutti i temi delle filosofie e delle religioni orientali ed occidentali, poi riportati su circa 650 volumi e tradotti in venti lingue.
Nel 1981 le condizioni fisiche di Osho degenerano, e urge un’operazione chirurgica negli USA; nel frattempo i suoi discepoli costruiscono una gigantesca tenuta nell’Oregon, chiamata ‘The Ranch’, presto trasformata in una comunità agricola modello in pieno deserto. Ma l’ambiente statunitense è ostile al ‘Ranch’: Osho consiglia la totale libertà da qualsiasi vincolo (famiglia, religione, nazionalità, lavoro inteso come ricerca di denaro), e tutto ciò il governo americano mal lo sopporta. Il 14 settembre del 1985, finalmente, le autorità americane trovano la tanto aspettata occasione per arrestare Bhagwan, nel momento in cui la cerchia di responsabili della comunità - tra cui la compagna del mistico - scappano con una somma enorme, portando alla luce truffe gigantesche. Osho viene imprigionato per dodici giorni a El Reno Federal Penitentiary, dove - si scoprirà in seguito, per mezzo di analisi - è avvelenato di nascosto attraverso radiazioni di tallio. Multato di 400.000 dollari, viene deportato. Inizia quindi una peregrinazione che dura un anno, e che vede Osho viaggiare in 21 Paesi di tutto il mondo, regolarmente scacciato dopo pochi giorni, grazie alle pressioni della chiesa o del governo americano sugli indebitatissimi governi locali.
Nel 1987 non gli resta che fare ritorno a Puna, dove i suoi sannyasis ormai lo chiamano ‘Osho’, nome derivato dal giapponese antico, che significa ‘armonia’ e ‘conoscenza di sé’. Da allora, per tre anni, Osho guida ogni sera la meditazione che segue il suo discorso, e introduce nuove forme di meditazione, come la Mystic Rose.
Durante la seconda settimana del gennaio 1990 Osho si indebolisce visibilmente. Il giorno 19 il polso diviene irregolare, e quando il suo dottore gli chiede se debba preparare un massaggio cardiaco, Osho risponde: «No, lasciami andare. La vita deve decidere quando cessare». Alle cinque del pomeriggio Osho muore. Dopo due ore il suo corpo è portato nella sala dei raduni e, eseguita una breve celebrazione, viene cremato. Le sue ceneri giacciono nel samadhi, quella che per un breve periodo fu la sua dimora, dove una lapide recita: «Osho, Mai Nato, Mai Morto, solo di passaggio sulla Terra tra il Dicembre, 11, 1931, e il Gennaio, 19, 1990».



Intervista ad AMRITO
(Dr. George Meredith), medico personale di Osho, membro della cerchia dei ventuno responsabili che, dopo la morte di Osho, ha gestito la comunità

D. - Cosa sta accadendo nella comunità dopo la morte di Osho, qualcosa è cambiato? So che ora esiste una cerchia di ventuno persone che gestisce l’ashram, me ne può parlare?
R. - Nulla è cambiato, Osho ha trascorso trentacinque anni della sua vita a preparare la ricetta per come portare avanti la comunità, e lo ha fatto molto chiaramente. Ora, dunque, ci limitiamo a seguire la ricetta del maestro, ancor più facilmente di quando fosse ‘nel corpo’, quando la sua debolezza e le sue malattie negli ultimi tempi lo torturavano. Il nostro scopo è quello di stimolare le persone a meditare, soprattutto in questa epoca di grandi cambiamenti - disastri ecologici, guerre, ansie produttive e inibizioni delle persone -; e ciò ora ci risulta più facile, ora che Osho ha lasciato il corpo. Come lui aveva predetto, dopo la sua morte sempre più persone arrivano a Puna, e molte di loro non sono sannyasis. Senza la sua presenza fisica, le persone crescono più forti, poiché sono maggiormente lasciate a se stesse, senza una guida onnipresente che dica loro cosa fare della propria vita. Dopo un primo momento di disorientamento, dunque, trovano la strada da soli, ispirati unicamente dalle parole di Osho, e crescono più forti.
La cerchia dei ventuno non ha altro scopo se non quello di diffondere il pensiero di Osho in tutto il mondo; la comunità è portata avanti sempre dal solito personale indiano, senz’alcun problema o differenza rispetto a prima.
Mentre Osho era nel corpo la gente aveva paura di lui, perché lui maltrattava il loro ego. Le persone sono generalmente terrorizzate dal sentirsi dire che cosa devono fare. Ora che fisicamente lui non è più qui, si sentono più sicuri, e arrivano in numero sempre crescente.
D. - Qual è stato, secondo lei, il maggior merito di Osho?
R. - Osho ha dichiarato il fallimento di ogni organizzazione (stato, religione, famiglia), e ogni tipo di medicina per curarle è stato sperimentato (comunismo, capitalismo), con insuccesso.
Osho ha detto che la via verso un paradiso in terra - e non certo dopo la morte - non è il terrorismo né la guerra, bensì la meditazione. Una società perfetta è quella anarchica, ma fatta di persone coscienti di sé, che sono arrivate all’anarchia come tappa finale, dopo aver provato il comunismo e la meditazione.
Non si può dunque creare il paradiso in terra senza la meditazione, che è l’unica ricetta genuina, perché viene dal nostro interno, e non ci è imposta da nessuno.
Lo scopo dell’ashram è questo: portare il paradiso in terra, allargandone lentamente i confini là fuori, e facendo vedere alle persone quanto sono infantili nel giocare ai soldatini, a erigere frontiere, ad uccidersi fra loro. Qui ci sono persone di cinquanta Paesi diversi, e convivono pacificamente, nonostante le origini più disparate. Il paradiso in terra è possibile.
D. - Pensa che ora, dopo la morte di Osho, l’opinione pubblica della stampa internazionale cambierà, dopo anni e anni di Rolls Royce e fidanzate che scappano con la cassa?
R. - Fino a oggi la stampa a scritto ciò che il proprio Paese voleva fosse scritto: i tedeschi vedevano in Osho il ritorno di Hitler, gli olandesi un predicatore dell’omosessualità (nonostante lui l’abbia sempre condannata), gli statunitensi vedevano nei sannyasis dei portatori di pistole. Ogni Paese ha riversato le proprie paure, i propri fantasmi su Osho. Ora che lui non c’è più si spera che l’opinione pubblica cambi, visto che nessuno più, fisicamente, può incutere paura.
I giornali piuttosto dovrebbero occuparsi di problemi seri, quali la distruzione ecologica a cui ci stiamo avvicinando. Sono stato recentemente in Germania, e le foreste sono distrutte, sembra che ci sia passato King Kong a caccia di banane. Tutti gli ex Paesi socialisti si sono avvicinati al capitalismo, e sono pieni di desiderio per beni da consumare; per ottenerli occorrerà un ulteriore incremento produttivo, che decapiterà definitivamente la nostra natura. Tutto ciò equivale a un suicidio ecologico: ma nessuno, se non per moda, sui giornali si pone queste domande.
D. - Nonostante la parola di Osho sia sempre presente, attraverso il video e i libri, nessuno di voi sente la sua mancanza fisica? Per lei, che era il suo medico personale, è cambiato qualcosa?
R. - No, solo la mia giornata e le mie mansioni. Al di là di questo tutto è come prima, anche per le persone, come me, che gli erano vicine fisicamente, e che lo conoscevano bene. Ma, in fondo, nessuno lo conosceva bene.


Futureshape machines

Giacere in silenzio, senza fare nulla, il movimento parte, e il corpo comincia a provare piacere.

Il sistema Futureshape è costituito da sette macchine che mettono in moto diverse parti del corpo, una volta distesi su lettini e completamente rilassati. Queste macchine sono state progettate per far muovere i muscoli e le giunture principali del corpo, permettendo al tempo stesso di eliminare tossine e altre sostanze superflue. Negli Stati Uniti e in Europa sono state generalmente utilizzate in combinazione con esercizi per la perdita del peso. Nell’ashram di Puna vengono usate per sviluppare la consapevolezza di parti del proprio corpo solitamente ‘dimenticate’. Aiutano anche il rilassamento e la meditazione.
Mentre la macchina lentamente esegue il movimento, stirando e massaggiando il corpo, si viene incoraggiati, attraverso l’aiuto delle terapiste e l’ascolto di una musica molto soffusa, al rilassamento più profondo, in sintonia con la respirazione e la consapevolezza piena del proprio fisico. Un poco per volta, man mano che ci si lascia abbandonare al movimento delle macchine, le tensioni accumulate nel tempo scompaiono, ed una migliore conoscenza, fisica e mentale, del proprio corpo appare. Si cominciano a percepire, attraverso il movimento - uno diverso per ogni macchina -, muscoli e giunture troppo spesso dimenticati nelle posizioni abitudinarie assunte quotidianamente.
Alcune terapiste, per mezzo di massaggi manuali, aiutano a completare l’effetto della Futureshape, accompagnandone i movimenti ed accentuando, così, il rilassamento. Le funzioni delle macchine sono molteplici: ridanno forma ed elasticità ai muscoli, aiutano a bruciare tessuti adiposi accumulati nel tempo, e danno una nuova mobilità, bellezza e conoscenza del fisico.
La Futurshape Machine si basa sul principio del movimento ‘passivo’, nel senso che è la macchina stessa a muovere il corpo, mentre questo si limita ad accompagnarla. I muscoli vengono così stirati e contratti, il sangue scorre e pulsa come negli esercizi più tradizionali di stretching e di massaggio, mentre l’ossigeno viene portato nelle aree di solito meno irrorate: il tutto senza il minimo sforzo.


Massaggio Divine Healing

Il massaggio Divine Healing è una gradevole forma di armonizzazione tra l’energia fisica e una buona salute, che trova la propria origine in una combinazione di tecniche proprie dello Shiatzu, dell’agopuntura, della Moxibustion (riscaldamento dei meridiani dell’agopuntura attraverso le erbe), e di un profondo lavoro sui tessuti. Questo massaggio agisce principalmente sulla compressione e la decompressione dei meridiani dell’agopuntura, centri energetici del nostro corpo. I movimenti del massaggiatore sono eseguiti in perfetta sincronia con la respirazione di chi riceve il massaggio, in una continua successione di movimenti respiratori e di pressione sui meridiani. Il massaggio Divine Healing è appropriato per la cura di dolori vertebrali o della colonna, emicranie, perdita di energia, problemi mestruali. Le sessioni sono generalmente di un’ora/un’ora e mezza, oltre la quale, di solito, qualsiasi forma di dolore scompare e il rilassamento più profondo viene raggiunto.




Agopuntura

L’agopuntura è l’arte di usare aghi ultrafini per regolare l’energia del corpo. L’agopuntura è la più antica disciplina curativa conosciuta, nata in Cina circa 5000 anni fa. Fin da allora questo tipo di medicina si è diffusa in Giappone, Corea, Tibet e Vietnam e, negli ultimi duecento anni, anche nel resto del mondo.
Il principio di base della medicina cinese è l'equilibrio omeostatico dello Yin e dello Yang nel nostro corpo: quando l’energia corporea riesce a mantenere in equilibrio questi due, la salute viene conservata facilmente. Si è malati quando l’equilibrio, per qualche motivo, viene meno. L’agopuntura è una medicina preventiva di questi squilibri, così come è largamente utilizzata per curare malattie già in corso o croniche. Ogni sessione è preceduta da un’accurata analisi, misurando le pulsazioni del polso e controllando il colore della lingua e dell’epidermide facciale. Assieme all’utilizzo di aghi sterilizzati, spesso vengono adoperate altre tecniche, quali la Moxibustion, l’appoggio di coppe sui punti di applicazione, lo stimolo della pelle attraverso uno strumento ‘saggiatore’ (il cosiddetto ago a ‘prugna in fiore’), o utilizzando un laser indolore al neon, sempre in corrispondenza dei punti energetici.



Mora Machine

La Mora Machine fu inventata nel 1978 dal fisico Morell e dall’ingegnere Rasche (MO-RA), al fine di diagnosticare e curare un’ampia gamma di malattie connesse alla bioenergia. La caratteristica principale della macchina è quella di poter leggere il campo elettromagnetico del paziente (attraverso un diagramma di onde), senza produrre alcuna forma sintetica di energia, e di stabilirne la correttezza o meno, trasmettendogli - qualora una disfunzione venga rilevata - la giusta quantità/qualità di energia mancante. Le funzioni della Mora sono svariate: utilizzando i principi dell’agopuntura è in grado di analizzare e curare i meridiani; le cicatrici, spesso causa di blocchi per la bioenergia, possono essere ‘pulite’ attraverso un programma speciale; allergie al cibo e alle medicine possono essere verificate e combattute fino al loro annullamento; può scoprire se un’operazione odontoiatrica (otturazioni, corone, ponti) stia causando problemi all’organismo. La Mora Machine, inoltre, offre molte possibilità per la diagnosi e la cura di dolori, il trattamento di infezioni, la prescrizione personale di medicine omeopatiche, e verifica se una data medicina sia appropriata o meno al paziente.
Dalla Mora Machine sono derivate altre due macchine, basate sul principio dei colori presenti in natura: una coi colori principali - erogabili al corpo separatamente tra loro -, l’altra con tutti i colori, erogabili tutti insieme allo stesso tempo. È questo un programma speciale della Mora Machine: basandosi sui principi dell’agopuntura, il terapista determina quale colore e in quale quantità sia necessario al paziente per ricostruire il proprio equilibrio fisico, e gli eroga - attraverso una pistola apposita che agisce localmente - le frequenze corrispondenti del colore mancante. Si è riscontrato, ad esempio, che nelle città altamente inquinate, è forte la mancanza di blu - soprattutto per l’epidermide e gli intestini -; la Mora Machine è in grado di erogare la quantità mancante attraverso i canali energetici (meridiani dell’agopuntura).

Pubblicato su Frigidaire




Meditazione Kundalini

È una delle forme di meditazione più coinvolgenti, basata sull’immagine di un cobra che, lentamente, si eleva verticalmente - acquistando energia dalla terra -, per poi ritornare al suolo. Accompagnata per la maggior parte da una musica che ne scandisce il ritmo ed aiuta alla concentrazione, è divisa in quattro fasi.
I primi quindici minuti sono dedicati al fremito, alle vibrazioni del proprio corpo, utilizzando come base di partenza della bioenergia il suolo. Attraverso i piedi, poi su, fino alla testa, tutto il corpo freme, tenendo gli occhi chiusi, e lasciandosi andare al ritmo ondulatorio (in senso verticale) della musica.
I quindici minuti successivi - la seconda fase - sono caratterizzati sempre da una musica ondulatoria, questa volta, però, in senso orizzontale e diagonale: ancora a occhi chiusi ci si lascia andare verso qualsiasi forma di danza.
La terza fase è quella della stasi, e si rimane seduti o in piedi, ascoltando musica soffusa e monotona, che ricorda, attraverso gli stridii di un violino, il movimento di un serpente.
L’ultimo quarto d’ora viene trascorso nel silenzio più assoluto, e tutti giacciono a terra, con gli occhi chiusi, in una forma di restituzione di energia al terreno. Il ‘risveglio’ è battuto da un gong che riporta gli individui, dopo un’ora di pace e solitudine - in senso positivo - con se stessi, al mondo della luce, dei colori, degli odori, dell’udito e del tatto.





per saperne di più:
http://www.osho.com/

2 commenti:

  1. ciao! vorrei saperne di più! lascio la mia email logosluna@gmail.com saluti ananda

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    1. ciao! vorrei saperne di più! lascio la mia email andrebruno@hotmail.it saluti,Andrea(maschile)

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